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→  marzo 24, 2020


di Alberto Bisin, Natale D’Amico e Franco Debenedetti

Il lock down impone a tutti grandi sacrifici, lo reggiamo solo perché è evidente a chiunque che, in questa situazione, è il solo rimedio possibile. Ma l’ansia crescente con cui leggiamo il bollettino di guerra, non ne è la conseguenza inevitabile: dipende dalla carenza di analisi scientifiche per capire e spiegare cosa sta succedendo. E non può essere diversamente: perché manchiamo di dati oltre ai numeri, giornalieri e progressivi, di contagiati, guariti, morti. Certo di questo virus anche gli esperti conoscono poco, come sceglie le sue vittime, come le assale, come muta, se chi guarisce si può considerare immunizzato. Ma ci sono fatti che conosciamo o altri che potremmo conoscere se solo avessimo dati accurati su cui basare analisi attente.

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→  marzo 19, 2020


di Franco Debenedetti e Natale D’Amico

Tutti i giorni leggiamo il bollettino di guerra, i numeri della nostra guerra contro il Covid-19. E ognuno cerca di estrarre dai numeri le risposte alle domande che ci assillano: come stiamo andando? I sacrifici che facciamo servono a qualcosa? Domande che a loro volta ne sottintendono una perlopiù inespressa: quando ne usciremo?

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→  marzo 3, 2020


Buona o cattiva che sia l’idea dello stato imprenditore, in Italia l’insana idea ha dato il peggio di sé

Giuseppe Conte ha inserito Mariana Mazzucato nel suo staff in qualità di consigliera: per pensare a un rilancio dell’economia, dice. Dopo il premier protettore che blocca aerei e chiude chiese, dopo il premier taumaturgo che, giorno e notte, dalla Protezione civile, dirige e indirizza prelievi e quarantene, sarà la volta del premier innovatore che trascina l’Italia fuori da una crisi che potrebbe diventare disastrosa? E’ nota la teoria di Mariana Mazzucato, enunciata in un libro di invidiabile successo: l’imprenditore più audace, l’innovatore più prolifico, il finanziatore più lungimirante è lo stato.
L’i-phone, il touch screen, la nanotecnologia, il Gps, le tecnologie rivoluzionarie della nostra epoca non sono che lo sfruttamento commerciale di idee originate in strutture statali o grazie a finanziamenti pubblici. Altro che “insana idea della politica industriale” dei suoi detrattori: il suo “stato innovatore” è “virale”, diffuso in tutto il mondo. Chi meglio di lei, deve aver pensato Conte, può aiutarci a uscire dalle conseguenze dell’epidemia da coronavirus? Apparentemente, una scelta perfetta. Altro che il Piacentini che Renzi aveva sottratto alla Apple per provare a digitalizzare la Pubblica amministrazione: la Mazzucato è il simbolo dell’interventismo, la rabdomante delle innovazioni, l’aquila dello sguardo lungo, il Pindaro dell’investitore paziente: chi meglio di lei per motivare le burocrazie nostrane e rassicurare i capitali stranieri? E, per parlare in prosa, chi meglio di lei per tenere a bada un’irrequieta maggioranza, divisa su quasi tutto, ma, dai Cinque stelle al Pd (per non parlare di LeU), compatta nel pretendere l’intervento dello stato? Perfino Renzi: Openfibre chi l’ha inventata?

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→  febbraio 20, 2020


Al direttore.
Molto accomuna i due Matteo, nell’editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera di mercoledì. Davvero a distinguerli sarebbero solo le contingenze del momento politico? Renzi liberò la sinistra dall’antiberlusconismo; Salvini ha infettato l’Italia con la paura dell’immigrato. Renzi scrisse una riforma della Costituzione che perfino Scalfari e Zagrebelski alla fine approvarono; la prospettiva che Salvini possa vararne una, senza neppure dover indire il referendum, terrorizza tutti. Renzi fa eleggere uno straordinario presidente; Salvini dal Papeete chiede i pieni poteri. Renzi vorrebbe che il Pd non fosse succube del M5s; Salvini del M5s ha condiviso e sfruttato il populismo. Renzi cerca di cancellare la legge sulla prescrizione; Salvini la promosse. Renzi trasformando le maggiori banche popolari in società per azioni ha assestato un colpo al capitalismo di relazione; Salvini e i suoi inviati preferiscono gli alberghi di Mosca; Renzi fa Industria 4.0; Salvini quota 100. Renzi con il Jobs Act aumenta la flessibilità del mercato del lavoro; Salvini chiudendo gli Sprar, mette nell’illegalità i migranti, favorendo così il caporalato se non peggio. E si potrebbe continuare.

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→  novembre 29, 2019


La vicenda della Tirreno Power è davvero lo specchio di quella dell’Ilva, come titola un editoriale del 27 novembre? Se nel senso che entrambe furono bloccate da un “intervento giudiziario paralizzante”, certamente sì. Sì, probabilmente, perché come a Savona, anche a Taranto potrebbe risultare che non sono dimostrabili i nessi causali tra le emissioni, quelle reali e ancor più quelle consentite, e i danni sanitari. Sì, ancora, perché i provvedimenti giudiziari colpirono le aziende in un momento di gravissime crisi di Mercato, a Vado per la concorrenza delle fonti rinnovabili unita al calo della domanda dovuta alla crisi, a Taranto per la concorrenza della sovrapproduzione cinese, che colpa gravemente tutti gli acciaieri europei.

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→  novembre 12, 2019


Se lo stato non fa rispettare i contratti perché mai dovrebbe gestire un’acciaieria che non è il suo mestiere?

L’Ilva, oltre che acciaio, produce dividendi politici. È così fin dalla sua origine, nel 1959, quando Antonio Segni, presidente del Consiglio, per creare posti di lavoro nel Mezzogiorno, e contro il parere dei tecnici dell’Italsider, decide di dare il via a Taranto alla costruzione del quarto centro siderurgico.

Sessant’anni dopo sia la decisione di continuare a produrre acciaio, sia quella di chiudere tutto, pagano ciascuna un dividendo politico a una parte di cittadini. Se si fa la scelta di mantenere l’Ilva si incassa il dividendo da chi era favorevole. Ma poiché il grido di chi si oppone è più forte della voce di chi è d’accordo, diventa più forte il dissenso di chi era contrario, e quindi più alto il dividendo politico che si può incassare rovesciando la decisione.

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