La questione del conflitto di interessi è proprio un vaso di Pandora: e le discussioni che l’affare Mediaset ha suscitato sono lì a dimostrarlo. Nessun commentatore, pare, si è ricordato del progetto di legge di iniziativa dei senatori Pasquino e Passigli, approvato dal Senato e in attesa di passare alla Camera. Esso mira a il conflitto individuando un percorso che, durante il periodo di permanenza al governo, separi dal loro controllo il proprietario di aziende dominanti in alcuni settori strategici.
Questo percorso prevede la quotazione in Borsa delle aziende in modo da poter alienare ciò che eccede il 5. Sulla utilità politica, e sulla praticabilità di tale proposta, chi scrive ebbe occasione di manifestare le proprie perplessità: ma è evidente che la quotazione di Mediaset è un primo passo nella direzione voluta dal progetto progressista. Se Berlusconi nuovamente accedesse a responsabilità di governo l’essere proprietario di un’azienda già quotata gli leverebbe un alibi per non risolvere alla radice il suo conflitto d’interesse, diminuendo la propria quota di possesso. È alquanto sorprendente che il progetto Wave abbia suscitato così severe critiche proprio da parte dei commentatori più vicini al centrosinistra.
Inoltre la quotazione era stata indicata come la strada maestra per portare trasparenza in assetti proprietari giustamente criticati per la loro opacità; la presenza di investitori istituzionali nel capitale viene in generale auspicata per esercitare funzione di supervisione sull’operato del management. Se questo, e non il concorso al controllo – su questo bisogna essere chiarissimi – è il loro ruolo, l’intervento delle banche è lungi dall’essere anomalo. Esso è poi indispensabile almeno nella costituzione di un consorzio di collocamento e garanzia. Quali banche? Mediaset è attiva praticamente solo sul mercato italiano, da escludere quindi la quotazione su borse estere, meno naturale il ricorso a banche straniere. C’è ovviamente Mediobanca: ma se anche questa operazione le fosse stata affidata coloro che accusano l’istituto di via Filodrammatici di disporre di una posizione dominante avrebbero ricevuto un’ulteriore conferma per le loro critiche. Restano dunque le banche pubbliche, o perché del Tesoro (Bnl e la quota IRI nella Banca di Roma) o perché di proprietà di fondazioni, o da esse controllate (Imi). Chi, come il sottoscritto, considera Berlusconi proprio avversario politico ha qualche difficoltà ad addossargli anche la colpa di non avere provveduto a privatizzare le banche di proprietà di fondazioni: deve anzi notare che, mentre si esten de il consenso al proprio progetto di privatizzazione istituti, permane, nel centrosinistra, un atteggiamento di dura chiusura. Già sono stati giudicati pochi i due anni previsti dal mio progetto per restituire al controllo del mercato banche di proprietà di fondazioni: imporre loro di astenersi durante tale periodo di tempo da interventi del tipo in questione, significherebbe o dare a Mediobanca l’esclusiva di operazioni in odore di conflitto di interessi, oppure rendere impossibile il procedere sulla strada indicata proprio dal disegno di legge progressista.
L’intera questione si riconduce dunque al sospetto che le banche pubbliche siano indotte a prendere parte alla quotazione di Mediaset da pressioni politiche esercitate dal deputato Berlusconi, leader dell’opposizione. Si tratta di più che un sospetto, Berlusconi ha più volte accennato a percorsi diversi, mediante scambi con azioni di società di proprietà dello Stato: avances maldestre, soluzioni inaccettabili, che comunque non hanno avuto risposta. Restando al progetto in questione, bisognerebbe essere ingenui per non pensare che Berlusconi, come farebbe qualunque venditore, abbia usato tutte le sue relazioni e capacità di pressione per spuntare le condizioni di scambio più favorevoli. La dimostrazione di interferenze di carattere politico si avrà dunque non dal fatto che le banche pubbliche sottoscrivano quote azionarie o partecipino a consorzi, ma dalle condizioni economiche alle quali lo faranno. E qui si entra nel campo delle valutazioni, estremamente ardue proprio per la posizione di Fininvest sul mercato.
Posizione che, a ben vedere, è tutt’altro che della sola Fininvest, ma propria di tutti i monopoli che si intende priva-tizzare.
Come si vede la questione è resa intricata da una serie di nodi, non tutti riconducibili al cavalier Berlusconi. Oltre al conflitto di interessi, ci sono lo status pubblico delle banche, la posizione dominante di Mediobanca, le incertezze del processo di privatizzazione di tutti i monopoli, l’assetto del settore radiotelevisivo (compresa la privatizzazione della Rai). Fra tanti nodi che non ci si decide a sciogliere, tra legittimi sospetti ed evidenti contraddizioni, sembra illogico concentrare sul progetto Wave anche critiche che non gli sono proprie.
dicembre 27, 1995