Zuffe in aereo: il sedile non è uguale per tutti

giugno 8, 2011


Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair


C’erano due caccia dell’Air Force a scortare il Boeing 767 della United Airlines: il comandante aveva temuto che la zuffa tra due passeggeri mascherasse un attacco terrorista e aveva deciso per un atterraggio forzato. Invece si trattava solo di un sedile: il passeggero davanti voleva inclinarlo, quello dietro impedirglielo. La notizia ha suscitato ricordi: quello del giocatore di basket che cerca di piazzare il suo femore come ipotenusa tra i cateti della seduta e dello schienale; quello di chi s’è fatto 12 ore a fianco di 150 chili orgogliosamente portati (e non adeguatamente docciati).

Problemi risolubili con un po’ di buon senso. Scrivere sulla “scheda di fronte a voi” che reclinarsi è consentito solo tra vicini consenzienti. Chiedere ai watussi “verticalmente avvantaggiati” (il giocatore di basket ora gioca in una squadra con jet privato) e ai debordanti sovrappeso, pardon, agli “orizzontalmente svantaggianti”, di fare come quelli che vogliono menu speciali: quando prenotano, dovranno avvertire il vettore, che lascerà un sedile libero accanto a loro. Sarà la concorrenza a tenere a bada il sovrapprezzo.

Già sento le urla: discriminazione! il mio sedile per legge! Non c’erano gli aerei, ma sapere qual è il proprio posto in ogni rapporto con gli altri, era naturale nella società che il filosofo Ken Minogue chiama “deferente”. Il one seat fits all è un esempio di dove porta il principio di uguaglianza esteso senza limite. E se la società diventa un agglomerato di persone vulnerabili alle cui necessità lo stato moralizzatore deve provvedere per legge, finisce la libertà: che è decidere come vogliamo vivere. E sederci.

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