Un decreto che non va ignorato

luglio 3, 2001


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Se un Paese adotta misure protezioniste, soleva dire Giuliano Amato quand’era presidente dell’antitrust, sono i suoi cittadini che finiscono per pagarne il costo. Anche se lo fa a fin di bene, avrebbe dovuto aggiungere: c’è infatti sempre il pericolo che un provvedimento protezionista scappi di mano, e finisca per sortire conseguenze molto diverse dalle intenzioni di chi l’aveva proposto. Per ironia del destino, è proprio quello che sta succedendo con il decreto del suo Governo che sterilizza al 2% il diritto di voto di quel 20% di azioni Montedison che Edf aveva rapidamente messo insieme.

Quel decreto costa agli italiani, sostenevo («La Bolletta Edf» La Stampa. 26 maggio 2001): pagano i consumatori che devono rinunciare ai vantaggi di minore concorren­za nel mercato elettrico; pagano gli azionisti delle banche che hanno in porta­fogli titoli Montedison, che non possono lucrare plusvalenze; pa­gano gli azionisti di Montedison che rischiano di vedere bloccate operazioni che richiedono mag­gioranze qualificate in assem­blee straordinarie. Certo, è per guadagnare tempo e forzare una liberalizzazione a livello europeo: ma i vantaggi della liberalizzazione andranno a tutta l’Europa, mentre i costi per ottenerli li avre­mo pagati solamente noi.

È passato poco più di un mese, e il prote­zionismo ha prodotto il suo più classico effetto: il trasferimento di una rendita ai soggetti del paese “protetto”. Soggetto italia­ni — Fiat e le tre banche grandi azioniste di Montedison — possono così inserirsi vantag­giosamente nel gioco, offrendo a Edf la possibilità di “sdoganare” il suo 20% e di uscire dal vicolo cieco in cui la legge l’ave­va messa. “L’Opa aggira (circumvent) la legge italiana”, titola il «Financial Times» di ieri. E questo fa sorgere un problema politi­co, reso delicato dal fatto che si svolge a cavallo tra il vecchio ed il nuovo Governo. Prima di firmare il decreto. Amato ha doverosamente verificato con la nuova maggio­ranza, in attesa che si formasse il nuovo Governo, l’accordo su questo scambio, tem­poraneo protezionismo in Italia contro futu­ra liberalizzazione in Europa. Se ora il nuo­vo Governo dice di voler restare neutrale, deve essere chiaro che questo non è in osse­quio agli accordi a suo tempo intercorsi, ma è una decisione autonoma. Una decisione che modifica, non che prosegue, quella del Governo Amato.

Oggi il decreto inizia al Senato l’iter per la conversione. Il Governo o lo ritira o lo modifica in relazione a un’iniziativa di mercato che lo “circumvent”. Un Governo non lascia che i suoi decreti, ancor più quando sono in corso di approvazione e quindi emen­dabili, sia aggirato. E se lo fa, la responsabi­lità è interamente sua. E tanto meno può chiedere l’approvazione di un decreto “aggi­rato”. Approvare quel decreto oggi vorrebbe

dire non più approvare i suoi obiettivi inizia­li, per quanto discutibili — e io ritengo lo fossero — i mezzi impiegati: vorrebbe dire approvare le conseguenze distorsive imprevi­ste a cui esso sta dando luogo. Nell’Opa Telecom la neutralità del Governo servì al funzionamento di una legge del Governo, la legge Draghi, qui la neutralità serve a con­sentire l’aggiramento di una legge prima ancora che sia approvata. Se proprio si vuole il paragone con Telecom, è quello della prima privatizzazione a cui ci si dovrebbe riferire, e del “nocciolino duro” a cui Prodi chiese di assumere la guida del gruppo tele­fonico, nel timore che finisse in mani estere: ancora una volta dunque un’iniziativa detta­ta dal protezionismo.

Abbandonare il tentativo di liberalizzare il mercato europeo, o evitare che il decreto sia aggirato: lasciare libero gioco alla forza di mercato o guidare la transizione verso nuovi assetti del capitalismo. Questi i temi su cui ci si dovrebbero confrontare maggio­ranza e opposizione. La sinistra deve assolu­tamente evitare di far scadere la vicenda a una contabilità tra favori fatti e favori resi: una tentazione che, proprio perché autolesio­nistica, per la sinistra è pericolosa. La destra deve essere cosciente che il tema degli inte­ressi è per lei un nervo scoperto, e quindi deve affrontare la sostanza dei problemi e non nascondersi dietro formalismi, del decre­to o di patti parasociali a difesa della bandie­ra. Questo non è un paese delle banane: né maggioranza né opposizione possono per­mettere che insinuazioni fuori luogo interfe­riscano in questa vicenda. Perché interessa il nostro maggior gruppo industriale e perché il rivolgimento che si sta innescando modifi­cherà dal profondo, molto di più di quanto ha fatto la scalata alla Telecom, gli assetti industriali e finanziari del nostro Paese.

I giornali francesi ovviamente cantano vittoria perché. sosten­gono, la guida industriale del gruppo sarà in mano all’Edf. C’è da capirli: per averla, hanno pagato un prezzo d’affezione, 3,3 euro comprando sul mercato per mettere insieme il loro 20%, contro i 2,8 di prezzo dell’Opa, e inoltre devono accettare una va­lutazione degli impianti conferiti da Fiat giudicata dagli analisti molto generosa. Quanto a noi, immaginando i sommovimen­ti che stanno per prodursi negli assetti della nostra economia, ricordando le poche vitto­rie e le tante sconfitte nei nostri tentativi di allargarne i confini, riandando con la memo­ria a vicende su cui una generazione si è appassionata, se nondimeno riuscissimo a osservare tutto questo con distacco, come una storia di ordinario capitalismo, e ricor­dassimo la frase di Amato citata all’inizio, potremmo limitarci a trarne una morale: an­che i francesi pagano un prezzo per il loro protezionismo, parte dei soldi sborsati dal loro campione nazionale serviranno a regola­re i conti e a ridefinire gli equilibri del capitalismo in un paese vicino.

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