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Archivio per il Tag »Telefonica«

→  dicembre 24, 2013


Una delle ragioni della bassa crescita, italiana ed europea, è che troppi lavoratori sono impiegati e troppi capitali investiti nei settori diventati meno dinamici dell’economia. E’ il tema di uno dei dossier preparati per il semestre europeo a presidenza italiana, per essere proposti a Enrico Letta. Spostare capitali e persone in settori trainanti richiede cambiamenti radicali: può non bastare il cambiamento del management, servono culture diverse, può essere necessario l’innesto di outsider, fino al trasferimento del controllo.

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→  ottobre 25, 2013


Il Senato ha approvato una mozione che impegna il Governo a modificare la legge sull’Opa obbligatoria. Oggi scatta se un investitore raggiunge una quota del 30%; secondo la proposta, se si accerta un nuovo controllo di fatto. Che si tratti di una norma ritagliata su Telecom Italia è evidente, e i proponenti, Massimo Mucchetti del Pd e Altero Matteoli del Pdl, non ne fanno mistero. Telecom è controllata da Telco con il 22,4%; se Telefonica, che ha il 46,8% di Telco, ne diventa azionista di maggioranza, prende il controllo di Telecom stando sotto il 30%. Con la legge attuale non è obbligata all’Opa; Mucchetti vuole obbligarla a farla.

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→  ottobre 21, 2013


I debiti eccessivi, si sente dire, che siano conseguenza di scalate a debito, o che siano il risultato di fusioni con partner indebitati, pregiudicano il futuro dell’azienda. Le aziende, si sente pure dire, in cui la struttura proprietaria è congegnata in modo da consentire il controllo a una minoranza, tendono a essere meno efficienti di quelle dove ogni azione dà diritto a un voto: la scatole cinesi sono da evitare.

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→  ottobre 12, 2013


di MAssimo Mucchetti

Caro direttore, una volta passi, due volte sono tante, tre volte sono troppe. Quello che si annuncia per il 2014 sarebbe il terzo passaggio di mano della partecipazione di controllo di Telecom Italia senza che i nuovi «padroni» lancino un’offerta pubblica d’acquisto rivolta ai soci di minoranza. I benefici del controllo sono riservati ai soci eccellenti della finanziaria Telco, che detiene il 22,4% dell’ex monopolio dei telefoni. Un simile esito può e deve essere criticato sia perché danneggia l’85% della compagine azionaria (contando le azioni di risparmio) sia perché Telefonica sarebbe il «padrone» meno adatto che si possa immaginare. E questo per almeno tre ragioni: a) Telefonica ha già molti debiti e una storia di feroce monopolio in Spagna, dunque non è credibile quando promette investimenti in Italia per rassicurare il nostro Governo e rabbonire Antitrust e Agcom; b) la multinazionale iberica sta già trattando lo spezzatino di Tim Brasil, la gallina dalle uova d’oro del gruppo italiano: a Vivo, la sua filiale locale, Telefonica intende riservare le attività di Tim Brasil in alcuni Stati della confederazione brasiliana, al messicano Carlos Slim le attività di altri Stati e tutto il resto al tandem Oi-Portugal Telecom, indebitato ma benedetto dalla presidente Dilma Roussef; c) l’accordo negoziato da Telefonica a suo proprio beneficio dovrà essere ratificato dal consiglio di Telecom dove gli unici non in conflitto di interessi sono ormai i consiglieri eletti dalle minoranze. Ma, per quanto lo si possa criticare, un tale esito sarebbe legale.Secondo il Testo unico della finanza, che risale al 1998, l’obbligo dell’Opa (offerta pubblica d’acquisto) scatta solo quando un investitore accumuli una partecipazione superiore al 30% della società bersaglio ovvero quando cambi la maggioranza assoluta di una scatola finanziaria o di un sindacato azionario che possiedano la partecipazione superiore al 30%. Se il cambio del controllo avviene sotto la soglia del 30%, il nuovo dominus può lasciare gli altri soci a bocca asciutta. Questo sacrificio delle minoranze azionarie venne a suo tempo giustificato con la natura pionieristica della normativa sull’Opa obbligatoria (la Germania, se ben ricordo, non l’aveva ancora) e con l’idea che il cambio del controllo facesse bene non solo ai venditori privilegiati ma anche all’azienda. Dopo 15 anni di esperienza, anche i sassi hanno capito che il cambio del controllo non è un vantaggio in sé: talvolta fa bene e talaltra fa male. In Telecom Italia, per dire, ha fatto malissimo.Si può rimediare prendendo spunto dal caso Telco-Telecom per modernizzare il mercato, pensando anche a Generali, Pirelli piuttosto che alle aziende pubbliche’ Il Senato ci sta provando. Ieri è stata depositata una mozione che impegna il governo ad aggiornare, attraverso la decretazione d’urgenza, la normativa sull’Opa obbligatoria aggiungendo alla soglia secca del 30% una seconda soglia determinata dalla partecipazione che dà il controllo di fatto, quando questa sia inferiore al 30%. La mozione, che ha raccolto consensi vastissimi e autorevoli, induce il Governo ad avere coraggio. Le possibili obiezioni, del resto, sono inconsistenti.A chi imputasse a questa riforma effetti retroattivi sul caso Telco-Telecom, il Governo potrà ricordare quanto ha appena detto in Senato il presidente della Consob, Giuseppe Vegas: il passaggio del controllo nel sistema Telco-Telecom è stato annunciato ma non ancora eseguito e dunque, fino all’attribuzione dei diritti di voto alle nuove azioni Telco in mano a Telefonica (che avverrà nel 2014), la normativa sull’Opa può essere modificata senza effetti retroattivi sul caso specifico.A chi lamentasse un effetto frenante sugli investimenti esteri, il Governo potrà osservare che un conto sono gli investimenti nelle attività reali, un altro conto sono quelli finanziari. I primi sono sempre i benvenuti, ma in questo caso non un euro va all’azienda Telecom Italia. I secondi vanno visti caso per caso. Questa volta, con 850 milioni, gli spagnoli vorrebbero prendersi una società che vale almeno 11 miliardi, danneggiando gli investitori esteri che hanno messo i loro denari direttamente in Telecom.A chi prospettasse la difficoltà di individuare le situazioni di controllo di fatto, il Governo potrà rispondere che sarà facile per la Consob accertare ogni anno quali siano gli azionisti che, da soli o in concerto tra loro, abbiano nominato per almeno due assemblee di seguito la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione, con ciò esercitando un’influenza dominante nella società.A chi esortasse a non avere fretta perché la materia è complessa, il Governo potrà far presente che, essendo la soluzione molto semplice, ogni rinvio favorisce Telefonica e i suoi partner, Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo. I quali potrebbero anche anticipare le decisioni in Brasile e finalizzare il contratto.A chi infine bollasse come antieuropea la doppia soglia, il Governo ricorderà che europeisti come Mario Draghi e Tommaso Padoa-Schioppa nutrivano serie riserve sulla soglia unica fin dall’origine e che la direttiva Ue 2004/25/CE lascia agli Stati la definizione della soglia medesima, unica o doppia che sia. E se a lamentarsi fosse Telefonica, le si potrebbe sempre ricordare che l’iniziativa del Senato copia la normativa spagnola.Dopo di che, se Telefonica mettesse sul tavolo i denari dell’Opa, ci toglieremo il cappello e verificheremo quanto il debito impatti sugli investimenti nella rete. Ogni cosa a suo tempo.

→  settembre 26, 2013

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Sono in prevalenza negativi i commenti giornalistici sulla vicenda Telecom-Telefonica. Si va dal diffidente “questo presepe non mi piace” al perentorio “questo matrimonio non s’ha da fare”. Sono valide le ragioni contrarie all’operazione? Esistono strumenti per impedirla? Con quali le conseguenze?

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→  settembre 25, 2013


Le alternative

Non è giunta come una sorpresa l’offerta di Telefonica di aumentare la propria quota in Telco, diventandone il primo azionista: non è che un’azienda compera il 40% del controllo di un suo concorrente e poi resta ferma per sempre. Ma quando sui giornali gli articoli sulla Telecom contendono lo spazio a quelle su Alitalia, e pochi giorni prima a quelli sulle aziende a partecipazione pubblica o dei rami di azienda che il governo Letta intende mettere in vendita, allora è impossibile non vedere il filo rosso che unisce tutti questi avvenimenti: stiamo assistendo a un ulteriore capitolo del processo di privatizzazioni. E allora è impossibile resistere alla tentazione di autocitarsi: dopo 22 anni, conto sulla prescrizione. “Perché non fare un inventario di tutte le aziende o rami d’azienda [interne ai macrosettori delle PPSS] che potrebbero essere convenientemente isolate e vantaggiosamente vendute?” Era il luglio del 1992, lo scrivevo sul Sole24Ore, che, con efficace enfasi, aveva titolato il mio pezzo “Vendiamo i bonsai di Stato”. In USA si stava dimostrando quanta efficienza economica ci fosse da guadagnare e quanto valore finanziario da estrarre smontando le conglomerate. Da noi c’era una ragione in più per farlo, noi avevamo bisogno di creare un mercato là dove non c’era: le privatizzazioni non potevano ridursi a un passaggio di proprietà, dal pubblico al privato. Nelle Partecipazioni Statali si erano formate aggregazioni che non rispondevano a logiche di mercato, erano state fatte per accrescere il potere, per salvare aziende, per occupare persone: quei legami andavano smontati.

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