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Archivio per il Tag »M5S«

→  febbraio 12, 2021


Logico che non ci sia giornale o televisione che non descriva, tra l’ammirato e lo stupefatto, come Draghi, con la sua sola presenza, prima ancora di essere ufficialmente insediato, abbia scompaginato il quadro politico, dato nuova vita ai riti un po’ sclerotizzati della formazione dei governi, aperto nuove prospettive a un paese indebolito e provato. Incomprensibile invece che la maggior parte di loro non dedichi una riga o un minuto per riconoscere, non diciamo il merito, ma nemmeno il ruolo che, nel provocare questa svolta, ha avuto colui che avevano invece severamente condannato: colui che, per pura ambizione personale e imperdonabile incoscienza, aveva buttato in una crisi al buio un paese in piena pandemia. E parlo dei grandi giornali nazionali, delle reti televisive e della maggior parte dei loro autorevoli commentatori.

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→  dicembre 11, 2018


di Ferruccio De Bortoli

La nostalgia del pubblico padrone e salvatore (Alitalia, ma anche Enel-Open Fiber)fa il paio con l’incapacità governativa di seguire le catene di valore (taglio degli incentivi 4.0). Ma la piccola industria, unico soggetto di cui i gialloverdi si sentono alfieri, ora si ribella. Teme l’oblio e gli appetiti esteri, che userebbero i nostri guai per comprare a prezzi di saldo

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→  novembre 27, 2018


Libertà dei mercati, in cui le lobby non la facciano da padroni; mobilità del lavoro e, invece della protezione ad infinitum di imprese decotte, spostamento di risorse da settori e imprese meno produttivi a quelli più produttivi; premi al merito per favorire la mobilità sociale; una tassazione che non penalizzi chi lavora; blocco dei trasferimenti a pioggia a questa o quella categoria che riesce ad alzare la voce più di altre. Dieci anni fa era alla sinistra che bisognava insegnare che liberalizzare fa bene all’economia, e non solo. “Il liberismo è di sinistra”, il libro di Alesina e Giavazzi del 2007, voleva dimostrare che le ricette liberali sono coerenti con i principi cardine della sinistra, anzi sono i soli che li possono inverare.

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→  ottobre 22, 2018


La crisi politica che attraversiamo potrebbe risultare la peggiore che abbiano visto gli italiani viventi. E sì che di drammatiche ce ne sono state. Andando a ritroso: nel 2011, quando sull’Europa si abbatté lo tsunami originato dal terremoto dei subprime; nel 1990-92, quando la crisi, politica, economica, morale, fece crollare il sistema che aveva governato l’Italia per più di mezzo secolo; la guerra civile negli anni di piombo. Perfino nel 1943, quando l’Italia fu teatro di guerra guerreggiata.

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→  ottobre 10, 2018


Ciò che accomuna i populisti al governo agli intellettuali è la diffidenza verso i mercati

“Al MEF, i soldi che servono, devono decidersi a tirarli fuori!” “Se devo scegliere tra lo spread e gli italiani, io scelgo gli italiani.” “Bruxelles deve rendersi conto che milioni di italiani col loro voto hanno scelto una politica economica diversa”.

Per Ernesto Galli della Loggia (Le risorse contese tra i Poteri, Corriere della Sera, 1 Ottobre 2018), “la polemica in corso tra l’osservanza o meno delle regole europee in materia di deficit”, deriva da un cambiamento del rapporto tra politica ed economia, tra democrazia e potere economico. La democrazia ha bisogno di risorse in quantità sempre crescenti, e per procurarsele è spinta fatalmente a cercare di sottomettere ai suoi bisogni l’economia. Mentre fino agli anni 80 del Novecento c’era stata la prevalenza della politica sull’economia, da allora le cose sarebbero cambiate, come conseguenze di due fenomeni: primo, aver reso le Banche centrali indipendenti dal potere politico; secondo, avere liberalizzato il mercato dei capitali, rendendolo “unificato e interconnesso”. Per effetto della prima, la politica ha perso il controllo sui tassi di cambio e di interesse; per effetto della seconda, il mercato ha “accresciuto il proprio raggio d’azione e d’influenza rispetto ai bilanci statali bisognosi di credito”.

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→  ottobre 4, 2018


Pensare alla lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è una rivolta del Lumpenproletariat contro le élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni. Però è vero che nel breve arco di cinque anni, dall’avere la presenza dello Stato più grande che in qualsiasi altra economia occidentale, siamo passati a vincere l’Oscar delle privatizzazioni.

Che si tratti di Bekaert perché delocalizza la fabbrica o di Autostrade perché le crollano i ponti, la prima reazione dei gialloverdi e del M5S in particolare, è quella di mettere lo Stato al posto dei privati: una pulsione sottopelle che aspetta solo un fatto eclatante per trasformarsi in bubbone. Ma il tentativo di vederlo come un altro episodio della lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici, è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è unas rivolta del Lumpenproletariat contro élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni.

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