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→  settembre 1, 2009


Una storia operaia
di Riccardo Ruggeri
Francesco Briochi Editore, 2009
pp. 230


La storia è, classicamente, storia di fatti. Oppure biografia, storia di «vite di uomini illustri». O ancora autobiografia, storia della propria vita e dei fatti di cui si è stati personalmente partecipi.
Questa storia è diversa, costruita com’è da ritratti di persone incontrate. Chi è il protagonista? L’autore in quanto è lui presente in ognuno di quegli incontri? O l’altro, i personaggi incontrati e rappresentati?

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→  maggio 20, 2009

Nel “giorno della Fiat”, a fare previsioni sul futuro dell’azienda Torinese ci sono Franco Debenedetti, Udo Gumpel, Loris Campetti e Gianni Dragoni. Conduce Paola Saluzzi

L’importanza di Marchionne
[flv]http://www.francodebenedetti.it/http%3A/www.francodebenedetti.it/wp-content/uploads/video/sky_tg_24_parte_prima.flv[/flv]

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→  aprile 29, 2009

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Secondo il Washington Post è stato raggiunto anche l’accordo tra i creditori della casa di Detroit e il Tesoro Usa: 6,9 mld di dollari svalutati a 2 mld. Dopo la ratifica da parte dei sindacati, dovrebbe essere la volta dell’ultimo atto, cioè l’accordo con Torino, che non dovrebbe però arrivare prima di giovedì. «La Fiat – commenta Franco Debenedetti – che prima sembrava destinata ad essere preda, ha ribaltato i giochi. Grande mossa strategica. Marchionne é stato l’uomo giusto nel posto giusto, al momento giusto con il prodotto giusto. Poi, come sempre, una cosa sono le strategie, un’altra la loro implementazione». In mezzo? I costi.

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→  febbraio 18, 2009

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di Orazio Carabini

Per il momento la domanda di servizi che hanno bisogno della banda da ioo mega non esiste. E per molti anni ancora tutto quello che serve alle famiglie e alle imprese si potrà fare con la banda da 20 mega. Investire adesso nella rete di nuova generazione non avrebbe senso». Franco Bernabè ha spiegato così, a chi l`ha incontrato nei giorni scorsi, la sua secca presa di posizione sull`ipotesi di scorporare la rete di telefonia fissa di Telecom Italia.

Il Ceo del gruppo telefonico era infatti convinto che l`accordo raggiunto con l`Autorità delle Comunicazioni (Agcom) su Open Access, la divisione di Telecom Italia che gestirà autonomamente la rete, segnasse la fine del dibattito.

Che invece ha ripreso quota con le iniziative del Popolo della Libertà, corroborate dall`intervista al Sole 24 Ore di Angelo Rovati, ex-consigliere di Romano Prodi. Perché proprio ora? «Scavare le buche e riempirle», consigliava John Maynard Keynes per battere la recessione.

E non è un caso se Bernabè, che ha una formazione da economista, ha evocato Keynes. Il suo sospetto è che a premere per la rete di nuova generazione siano soprattutto le imprese che dovrebbero costruire e attrezzare la In questa fase di congiuntura negativa la prospettiva di realizzare un`opera colossale raccoglie facilmente il sostegno entusiasta di chi combatte tutti i giorni con budget sempre più striminziti e ordini in calo.

Ma i propugnatori dello scorporo, che non sono solo di centrodestra (vedere l`articolo diFranco Debenedetti sul Sole 24 Ore del 13 febbraio), raccontano un`altra storia.

Per loro il problema vero è che, indebitata com`è, Telecom Italia non avvierà mai il progetto Ngn, la rete di nuova generazione. Occorre pertanto guardare oltre e dare una prospettiva sia alla società sia alla rete, per il bene dell`economia italiana.

Lo scorporo risponde, in quest`ottica, al duplice obiettivo.

Telecom incasserebbe dei soldi e potrebbe attrezzarsi per competere al meglio e per espandersi sui mercati internazionali.

La rete, conferita a una società autonoma, potrebbe investire nelle tecnologie del futuro.

E normale che la politica si interessi di un`infrastruttura importante come la rete delle telecomunizioni. Non c`è nulla di sconveniente se esponenti del Pdl, nei convegni e nei dibattiti parlamentari, sostengono la necessità di scorporarla da Telecom Italia per farne una società autonoma.

Così come era legittimo nel 2006 che ministri del centrosinistra si ponessero lo stesso problema.

Va tutto bene. Purché si parta dal presupposto che Telecom Italia è una società privata (al ioo%), che è quotata in Borsa e che la rete di telefonia fissa è di sua proprietà.

Può essere stato un errore, dieci anni fa, privatizzarla così com`è, con una rete che, finito il monopolio, è utilizzata da tutti i concorrenti. Ma questa è la realtà di oggi.

E la reazione di Bernabè è comprensibile. Per lui la partita è chiusa. Lo scorporo della rete lo può solo imporre l`Agcom che però ha appena accettato gli impegni di Telecom Italia su Open Access. A questo punto può essere soltanto la società, quindi l`ad e il consiglio di amministrazione, a prendere una decisione di questo tipo. Che, eventualmente, dovrebbe essere ratificata anche dall`assemblea degli obbligazionisti, oltre che dagli azionisti.

Ma Bernabè ha altri progetti.

La sua idea è di estendere la copertura dell`Adsl a 20 Mega e di introdurre la Ngn man mano che si renderà necessario.

Sempre, però, con un vincolo: raggiungere le aree dove la domanda giustifica l`investimento.

La partita tuttavia non si può considerare chiusa. Nei prossimi giorni Francesco Caio presenterà il suo piano per la banda larga. Che, secondo le indiscrezioni finora circolate, suggerisce lo scorporodi una parte dell`infrastruttura di telefonia fissa di Telecom Italia.

Finora il governo non si è esposto. Di sicuro nessun ministro ha voglia di spendere qualche miliardo di curo, sia pure attraverso la Cassa depositi e prestiti, per “nazionalizzare” la società della rete in questa fase congiunturale.

Il presidente dell`Antitrust Antonio Catricalà ha già fatto capire, in un`audizione parlamentare, di non vedere di buon occhio una Rete spa in cui fornitori e gestori si ritrovano tutti insieme e magari ne approfittano per “coordinarsi”.

Bernabé ripete che l`epoca delle Partecipazioni statali è finita e che ogni intrusione della politica nelle scelte della società va respinta. Ma le parole d`ordine quali italianità, ammodernamento e indipendenza della rete torneranno all`ordine del giorno.

Con il rischio che l`azienda debba scontrarsi, come è già accaduto in passato, con la politica. E che tocchi ai maggiori azionisti una difficile mediazione.

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→  febbraio 15, 2009

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Torna il progetto di evoluzione in fibra ottica e si apre l’ incognita dei soci

di Massimo Mucchetti

Nell’autunno del 2006, il progetto di staccare da Telecom Italia l’infrastruttura di rete per attribuirla a una nuova società partecipata dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) venne accolto con critiche sdegnate da parte dell’opposizione di centro-destra, dell’intellettualità liberista e dei vertici della Confindustria. Il progetto, che Angelo Rovati, consigliere economico di Prodi, aveva inviato in via confidenziale all’allora presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, fu eletto a simbolo del ricatto statalista contro la libertà dell’impresa. Nella primavera del 2009, la stessa idea viene riproposta con incalzante pubblicità dal responsabile economico di Forza Italia, Pierluigi Borghini, senza che i censori di ieri elevino analoghe proteste. Eppure, anche adesso, Telecom è una società privata guidata da un amministratore delegato, Franco Bernabé, contrario al piano Rovati comunque riverniciato. Potremmo finirla qui sottolineando come, per l’ennesima volta, l’Italia si riveli un Paese senza memoria votato alla polemica strumentale. Ma oggi c’è dell’altro. L’Italia ha interesse a far evolvere la rete telefonica in rame in una nuova e assai più potente rete in fibra ottica. Prima si fa e meglio è: per modernizzare il Paese e sostenere keynesianamente l’economia.

A Telecom, invece, conviene diluire nel tempo l’investimento per poter via via intercettare la nuova domanda di banda larghissima e non appesantire troppo il debito ereditato dalle vecchie gestioni. Paese e azienda potrebbero avvicinarsi riducendo l’onere dell’investimento grazie all’utilizzo delle frequenze radio che, con il passaggio dall’analogico al digitale, non saranno più necessarie alle tv, e dunque dovrebbero tornare nella disponibilità del Tesoro. In Europa e Usa questo è il dividendo digitale che i governi reinvestono a favore dell’intera economia. Nell’Italia, dove Mediaset considera le frequenze proprietà privata, non avviene. Vogliamo parlarne? L’attribuzione della rete a una nuova società può migliorare la concorrenza? Bene. Non abbiamo mai pensato che bastasse evocare il fantasma dell’Iri per bocciare un’idea. La svolta pro-concorrenziale di Forza Italia non può far che piacere. Purché non celi il diavolo nei dettagli. L’azionariato ideale della nuova società, riferisce il Sole 24 Ore, comprenderebbe Telecom, la Cdp, il fondo F2i, Mediaset, Fastweb e i fornitori. In un simile schema i conflitti d’interesse sono evidenti: i fornitori che, da soci, concorrerebbero a fare il prezzo delle forniture; il supercliente, la tv del premier, che, forse deluso dalla sperimentazione sarda sul digitale terrestre, guadagnerebbe con poca spesa l’accesso privilegiato alla Ip television.

Il cavo Telecom che porta Internet consentirà, in prospettiva, di personalizzare gli spot con un sensibile miglioramento dei ricavi pubblicitari. Un conto è se Mediaset accede a questa piattaforma in regime di par condicio con i concorrenti attuali e potenziali. Un altro conto è se lo fa da azionista comunque più influente della società della rete, visto che Berlusconi presiede un governo che ha il 70% della Cdp e detta le regole per Mediobanca, Intesa, Generali e Autostrade, azionisti eccellenti della stessa Telecom.

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di Antonella Olivieri

Il dibattito politico sullo scorporo della rete Telecom ha finito per risolversi in un braccio di ferro con l’ex monopolista nazionale. La questione è complessa perché si tratterebbe di conciliare due esigenze differenti. L’una, quella pubblica, di dotare il Paese di un’infrastruttura all’avanguardia, sostenendo nel contempo l’occupazione, l’altra, quella privata di un gruppo come Telecom, di investire in un’ottica di ritorno reddituale.
È chiaro che la strada non potrebbe che essere quella dell’accordo consensuale, perché qualsiasi formula che suonasse come un esproprio sarebbe accolta con sospetto dal mercato e non potrebbe che finire per pesare sul valore dei titoli. D’altra parte la costituzione di una rete di nuova generazione a prescindere dall’esistente – e il “grosso” della rete è in mano a Telecom- rischierebbe di tradursi in un’inutile duplicazione oltre che rivelarsi certamente troppo dispendioso.

Il dialogo sarebbe più semplice se non ci fosse Telefonica? Che, da operatore del settore, non ha nascosto il suo scetticismo (qui alcuno la chiama contrarietà) su un’ipotesi di scorporo della rete. Può darsi che ci si intenderebbe meglio parlando la stessa lingua, ma la questione Telefonica potrebbe presto porsi su un altro piano.

È di ieri la notizia che l’Antitrust dell’Argentina ha respinto il ricorso di Telefonica, Telco, Pirelli e Generali contro la mancata notifica formale del passaggio del pacchetto di riferimento di Telecom alla holding cui partecipano gli stessi spagnoli con la quota di maggioranza. È sempre ammissibile il ricorso alla giustizia ordinaria, ma è chiaro che l’Authority di Buenos Aires sta tirando dritto per la sua strada, partendo dal presupposto di una commistione tra i due maggiori operatori telefonici del Paese. Al vaglio è cioè se Telefonica, pur possedendo indirettamente meno del 2% di Telecom Argentina, non sia in realtà da considerare controllante del suo più diretto concorrente tramite la partecipazione in Telco. Presupposto che cadrebbe se Telefonica possedesse direttamente il 10% di Telecom che oggi detiene tramite la holding.

Evento che potrebbe verificarsi, come prevedono i patti tra i soci Telco, se l’Antitrust argentino dovesse disporre «oneri o disinvestimenti» a carico dell’uno o dell’altro operatore. In quel caso scatterebbe la facoltà di scissione da Telco di Telefonica o dei soci italiani di Telecom, se per esempio fosse quest’ultima a essere penalizzata nell’inibizione a esercitare le opzioni per rilevare il controllo di Telecom Argentina.

Ma in America Latina, un’altra situazione in evoluzione è quella del Brasile, dove la Consob locale ha chiesto a Telco l’Opa sulle minoranze di Tim Participaçoes, sullo stesso presupposto che sia passato di mano il controllo di Telecom. Richiesta, che se andasse avanti, potrebbe portare l’Anatel, l’Authority locale delle tic, a riconsiderare le sue valutazioni sul dossier Tim Brasil-Vivo-Tele-fonica, rendendo scomoda la presenza degli spagnoli nell’azionariato di Telco. Telecom però ha ribadito con i fatti di considerare strategica la sua presenza in Brasile. Tanto che Tim Brasil sta studiando il modo di rientrare nella telefonica fissa a cui aveva rinunciato uscendo da Brasil Telecom.

Su richiesta della Consob locale, ha infatti confermato ieri che sta negoziando con l’imprenditore Nelson Tanure, titolare di testate come la Gazeta mercantil e il Jornal do Brasil, per rilevare la compagnia telefonica Intelig. Con un’operazione economicamente sopportabile, che potrebbe anche essere carta contro carta, e che soprattutto eviterebbe a Tim di affittare la rete fìssa dei concorrenti.

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