La rete della discordia

febbraio 13, 2009


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Il tema della proprietà della rete Telecom Italia é riemerso, sabato scorso grazie a un nuovo intervento di Angelo Rovati, ieri con uno di Pierluigi Borghini. Franco Bernabé ha risposto immediatamente a ciascuno dei due, chiudendo ad ogni ipotesi di scorporo della rete Telecom. Ma la banda larga é un acceleratore di sviluppo, e resta aperto il problema di come debba essere fatta, in quanto tempo eseguita, e da chi finanziata. Un problema solo dello Stato, ma anche di Telecom.

Conviene partire da una ricognizione degli interessi in gioco: quelli che potrebbero essere colpiti da “interventi keynesiani” – per usare le parole di Bernabé – e quelli che vengono lesi dal temporeggiare con rinvii.

Partiamo dagli interessi indiscutibili, quelli dei 3,5 milioni di persone (secondo Telecom, ma forse 5 o 6) che accedono a Internet solo con il dial-up di 10 anni fa. Garantire a tutti una connettività decorosa (2 Mbit/secondo effettivi sempre), con doppino telefonico, radiomobile, o satellite, consentire l’informatizzazione di tutti i rapporti con la PA, il costo non proibitivo ( stima 800 milioni di euro) giustificano un finanziamento pubblico.

Il problema è il passo successivo, fornire i 100 Mbit/sec effettivi. A chi? Un piano ragionevole prevede 10 milioni di utenze, entro 5 anni, a un costo stimato in 8 miliardi di euro, l’80% per opere civili, il 20% per macchine e software. La rete sarà ovviamente una sola, costruita a partire da quanto già esiste, dove il grosso é rappresentato dai doppini di rame dell’ultimo miglio tra le centraline Telecom e le abitazioni o gli uffici, e che Telecom valuta intorno ai 15 miliardi di euro. Che quindi vanno aggiunti agli 8 miliardi.

Bernabé ha dalla sua la Costituzione quando qualifica “da Gosplan” piani che impongano a Telecom la vendita della rete, come quello del collaboratore di Prodi e ora quello del coordinatore per le Attività Produttive di Forza Italia. La rete, gli azionisti di Telecom l’hanno pagata. Tra l’altro, è il collateral per i creditori. Ma sta il fatto che perseguire tutti e tre gli obbiettivi strategici – infrastruttura, internazionalizzazione, indipendenza – non é stato possibile quando a controllare Telecom era Pirelli, e lo è meno ancora oggi che finanziare debiti è più difficile. Centellinando gli investimenti, un bel giorno la pressione per privarla della rete potrebbe diventare insostenibile. Telecom, se non vuole finire fagocitata, deve fare una scelta di priorità, tra svilupparsi in Sud America e tenersi la rete ammodernandola. A favore di quest’ultima opzione ci sono le difficoltà culturali e organizzative che incontrano gli ex- monopolisti in un mondo di feroce competizione su marketing, innovazione e qualità; l’interesse a di non mettere in tensione i rapporti con Telefonica; il mantenimento dell’italianità, assicurata, non senza fatica, dal sistema politico ed economico dopo l’uscita di Pirelli.

Chi paga per la rete? A sentire gli utenti, il suo utilizzo dovrebbe essere gratuito o quasi: i canoni, di telefonia fissa o di RAI, sono impopolari. Finanziare con la fiscalità generale investimenti in una rete di cui inizialmente beneficeranno solo alcuni e che mai coprirà tutto il territorio, sarebbe fiscalmente regressivo. I giganti delle telecomunicazioni che sono corsi alle aste per le frequenze UMTS dovrebbero pagare per l’uso della rete e addebitarne il costo ai loro clienti, secondo i propri piani tariffari.

Di chi dovrebbe essere la società rete? Con un regime regolatorio da utility che garantisca investimenti e ritorni sul capitale, con un cash flow importante, è interessante per soggetti che cercano ritorni a lungo termine. Con una governance che consenta di verificare l’equivalenza delle condizioni di offerta, lo sarebbe per i concorrenti e per i fornitori di apparecchiature. Lo stesso dicasi per i grandi comuni, che con la banda larga divengono più attraenti per insediamenti industriali e commerciali: come é avvenuto a Milano con Fastweb e come, quattro anni prima, avevo proposto in un mio disegno di legge (12esima legislatura AS 1237). Telecom, conferendovi la propria attuale rete, ne avrebbe la maggioranza. Sarebbe un compromesso tra il controllo proprietario necessario per garantire l’italianità cara al governo, la trasparenza nelle condizioni di accesso richiesta dagli altri operatori telefonici, la garanzia di concorrenza imposta da Bruxelles. La società rete agirebbe come stazione appaltante di opere civili, mentre ciascuno degli operatori possederebbe e gestirebbe le parti “intelligenti”, macchine e SW.

La rete, che entra fisicamente dentro casa del cliente, offre un vantaggio prezioso a chi vende contenuti e combatte per conquistare gli occhi degli ascoltatori e controllare le dita che azionano il telecomando: non per nulla Murdoch nel 2005 ha comperato l’inglese Easynet. È una piattaforma nuova, destinata a competere con digitale terrestre e satellite. Difficile stimare quali ricavi la società rete saprà estrarne: questa è un’ulteriore ragione per cui i vari piani di dismissione alla Rovati o alla Borghini, che ripaghino solo i ricavi tradizionali, o, peggio, il solo il costo di rimpiazzo, sarebbero inaccettabili per Telecom. Più praticabile una soluzione in cui Telecom mantenga una quota maggioritaria.

Telecom quanto a contenuti propri ha solo La7: deve cercare alleanze, o con la RAI dei partiti, o con la Mediaset di Berlusconi, o con la News Corporation di Murdoch. Non obbligatoriamente con tutti, dato che questa non é una essential facility, ma una piattaforma in concorrenza con altre. È fantaeconomia immaginare Telecom tra il signore italiano delle televisioni e il magnate australiano dei media, tra il caimano o lo squalo? Prevarrà il conflitto di interessi o la loro convergenza? Le controindicazioni sono evidenti, ma certe retoriche – l’italianità, gli investimenti in funzione anticongiunturale – circolano a destra come a sinistra. Per il tema del conflitto di interessi, che ha tenuto la scena politica per 15 anni, l’esplosione potrebbe rappresentarne insieme il culmine e la soluzione: l’ultimo bang prima del whisper.

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