→ aprile 13, 2001

Pensavo agli attentati di Roma e Torino, leggendo due ricerche. La prima, «Cultura, apertura e finanza», di Rene M. Stultz della Ohio University, dimostra quanto, nel mondo globalizzato, l’elemento religioso nazionale conti nella tutela dei diritti dei creditori. La seconda di Charles Wyplosz, riscontra che la liberalizzazione finanziaria produce nell’immediato un boom del prodotto interno lordo, seguito da crisi valutarie più o meno accentuate a seconda del grado di efficienza dei regolatori, e quindi da periodi recessivi: ma che per i paesi in via di sviluppo la crescita del Pil che segue la liberalizzazione è molto più accentuata che nei paesi più avanzati, e anche il rallentamento che segue le crisi nel medio periodo è meno forte.
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→ ottobre 19, 2000

Sarà proprio la globalizzazione a farci raggiungere gli obbiettivi per cui violentemente manifestano i contestatori irriducibili
A Seattle per l’Organizzazione del Commercio, a Genova per le biotecnologie, a Praga per il Fondo Monetario: ovunque si radunino organismi economici internazionali, accorre il variopinto circo Barnum dei professionisti anti-globalizzatori: ad essi è tempo sprecato esporre teorie ed esibire statistiche. Però la globalizzazione ha anche altri nemici: i moderati del “sì ma”, i progressisti del “prima le regole e poi il mercato”, gli intellettuali che temono l’omologazione sotto il “pensiero unico”.
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→ febbraio 17, 2000

In Europa sono diventato liberale. « Quando a ventitré anni scappai dal Cile di Pinochet, ero socialista in politica e marxista in economia. Oggi, da liberale, dico che senza rispetto dei diritti civili e politici non c’è libertà. Ma per garantire lo sviluppo e la libertà ci vuole il mercato. E perché il mercato funzioni bisogna portarlo a chi ancora non ce l’ha. Per questo serve un mondo economicamente più integrato e aperto. E per questo combatto i catastrofisti che nella globalizzazione vedono una doppia tragedia: la fine del lavoro nei paesi avanzati e lo sfruttamento dei paesi poveri». Mauricio Rojas condensa in questo suo biglietto da visita il senso della sua ultima fatica, quel volume Perché bisogna essere ottimisti sul futuro del lavoro (pubblicato da Carocci editore) che non solo confuta, dati alla mano, le obiezioni di famosi critici della globalizzazione come Jeremy Rifkin e Vivianne Forrester, ma che oggi costituisce un manuale per uscire dalle secche in cui si è cacciata la Wto dopo Seattle.
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→ febbraio 6, 1997

In tutti i paesi industrializzati dall’inizio degli anni 80 si è assistito ad una riduzione di richiesta di lavoratori non qualificati. In USA e Regno Unito, dove c’e’ flessibilità salariale, ciò ha prodotto una forte divaricazione di redditi tra lavoratori secondo il loro grado di istruzione, senza provocare forte disoccupazione; negli altri paesi europei, in cui minore è la flessibilità salariale, l’effetto è stato un forte aumento della disoccupazione.
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→ novembre 10, 1993

La brusca flessione registrata’ ieri dai titoli Sip e Stet è un segnale di allarme che sarebbe superficiale sottovalutare. Esso è tanto più eloquente se rapportato al reale contenuto della notizia: l’ipotesi di un accordo futuro e parziale (perché limitato alla sola trasmissione dati) tra France Telecom e la tedesca Telekom, con le apertura all’americana At&t. Questa reazione certo si inserisce nel generale nervosismo dei mercati. Ma a questo tono di fondo si è sovrapposta ieri la preoccupazione che alla fine ci si trovi a privatizzare un bene (il monopolio delle telecomunicazioni) che ha perduto il suo valore.
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