Le bombe contro il boom

aprile 13, 2001


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Pensavo agli attentati di Ro­ma e Torino, leggendo due ri­cerche. La prima, «Cultura, apertura e finanza», di Rene M. Stultz della Ohio University, dimostra quanto, nel mondo globalizzato, l’elemento religioso nazionale con­ti nella tutela dei diritti dei credito­ri. La seconda di Charles Wyplosz, riscontra che la liberalizzazio­ne finanziaria produce nell’imme­diato un boom del prodotto inter­no lordo, seguito da crisi valuta­rie più o meno accentuate a secon­da del grado di efficienza dei regolatori, e quindi da periodi recessivi: ma che per i paesi in via di sviluppo la crescita del Pil che segue la liberalizzazione è molto più accentuata che nei paesi più avanzati, e anche il rallentamen­to che segue le crisi nel medio periodo è meno forte.

Il mondo descritto in queste due ricerche è certo molto più integrato, ma è ben diverso da quell’orrido scenario di omologa­zione uniculturale, sfruttamen­to e alienazione che i terroristi del Nucleo d’iniziativa proletaria rivoluzionaria spacciano per glo­balizzazione nel loro documento di rivendicazione.

E ci pensavo anche incontran­do ieri degli operai espulsi anni fa dalla fabbrica, e segnati da una flessibilità vissuta come penaliz­zante precarietà. Torino ha già conosciuto, due decenni fa, la terribile stagione in cui bisognò com­battere perché la paura della perdi­ta del posto di lavoro, esplosa in uno scontro sociale violento, non assicurasse l’acqua torbida in cui i terroristi nuotavano. Chi, come me, si occupa di mercato e concor­renza – pensavo – dovrà raddoppia­re gli sforzi, perché gli studenti abbiano ben chiaro che nel mondo non tutto è rose e fiori e nessun pranzo è gratis. Dobbiamo ripete­re che la globalizzazione ha sottrat­to alla miseria e alla fame centina­ia di milioni di persone, che i paesi poveri sono quelli che ne restano ai margini, che le multinazionali spingono verso l’alto il livello degli stipendi e che sono più efficaci di un programma governativo nel diffondere conoscenze e tecnolo­gie. Anche se gli stipendi restano sperequati, il mercato libera diritti e non li concula. Viviamo meglio e più a lungo di quanto non sia mai successo nella storia. Al con­tempo, però, proprio l’incontro con quegli ex operai mi ha ricorda­to che il terrorismo non si sconfig­ge con un programma di «educa­zione nazionale».

Stimo Valentino Parlato, ma non condivido il dubbio che ha lanciato dalle colonne del «manife­sto», che le bombe di Roma e Torino siano la riedizione elettora­le della destabilizzazione di oscuri apparati deviati. No, sono due anni che sappiamo bene che in Italia c’è chi lavora intorno a un’ rilancio in grande stile della lotta annata: e il documento dei Nipr si chiude con un appello rivolto pro­prio ai responsabili del delitto D’Antona, le Brigate Rosse-Pcc. Che i terroristi rimproverino ai governi di centro sinistra di avere razionalizzato i contratti di lavoro e il diritto di sciopero, per me è motivo di orgoglio. Ma la lezione del passato è che nessuna, per quanto legittima, diversità d’opi­nioni sul conflitto sociale può in­durre la sinistra democratica a sottovalutare la necessità di af­frontare con le armi dello Stato i terroristi. Sotto questo profilo, mi sento meno orgoglioso di quanto vorrei. Dopo l’assassinio D’Antona, forte è stata l’impressione che qual­cosa non abbia funzionato: scolla­ture tra le indagini della polizia giudiziaria e l’attività delle procu­re iterate fughe di notizie che han­no vanificato mesi di indagini. A Torino, è un rischio che inquirenti e forze dell’ordine devono evitare.

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