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→  gennaio 5, 2015


Editoriale di Giuliano Ferrara

Curare i gay” è una scemenza col botto, un gesto di piccola intolleranza ignorante. Sono molto sorpreso da Costanza Miriano, una scrittrice popolare e ben disposta verso la scorrettezza connaturale alle idee; da Luigi Amicone, un ciellino che mi pare vivace e autentico; da Roberto Maroni, sassofonista e politico di talento ma ambiguo, oggi inzuppato nel nazionalismo macho dei tombini di ghisa in mancanza di meglio. Tutti abbiamo bisogno di essere curati e soprattutto di essere lasciati in pace. A tutti sono dovuti rispetto, libertà personale, privacy. La lettura del Simposio platonico o del Fedro, lo studio delle biografie di Anselmo d’Aosta e del cardinale Newman, una scorsa ai romanzi di Isherwood sono attività facoltative, e anche le tirate di s. Paolo contro i sodomiti sono le benvenute, perché parlano di peccato e non di malattia, sono illuminate dal precetto che “il giusto vivrà per la fede” e non dal positivismo burlesco della cattiva ideologia contemporanea. Invito caldamente i nominati, nel giorno del convegno lombardo al quale hanno promesso di partecipare, giorno ch’è imminente, a starsene a casa o a organizzare la protesta contro l’insegnamento nelle scuole milanesi dell’ideologia del gender o dell’indifferenza sessuale, senza dimenticare che la sola radiografia del fenomeno da parte di un prete di curia milanese ha indotto l’arcivescovo a scusarsi per l’iniziativa. Le sentinelle leggano libri buoni in piedi invece di mettere in provetta, con l’assistenza di psichiatri psichiatrizzabili e di tradizionalisti senza il senso della tradizione, chimismi, ormoni in pillola e altre vaghezze dagli scaffali del farmacista Homais. Il buco della serratura e il comune senso del pudore lasciatelo alla dottoressa Boccassini, una specialista.

Un tetro silenzio della ragione, mascherato da lago d’amore, ha preso il posto vuoto lasciato dalla generosa e apocalittica abdicazione al soglio di Ratzinger. Tutto quello che era pensiero strutturato, elegante, mite, forte e intenso, si è come volatilizzato in un batter d’occhio. Da un lato abbiamo il cedimento intellettuale di un pensatore debole come monsignor Bruno Forte, che ha sostituito Karl Barth con Roland Barthes; dall’altro l’irrigidimento caricaturale e clinicizzante dei materiali culturali non negoziabili che furono lo stigma d’intelligenza di una lunga stagione cattolica e laica del contemporaneo. Quelli della Manif pour tous in Francia hanno trovato spesso modi sensati e colorati di sense of humour per esprimere il rigetto del dottrinarismo di gender e delle teorie omosessualiste ortodosse, qui ci balocchiamo con il dottrinarismo terapeutico e altre perversioni da capofamiglia. Ma scherziamo? Ratzinger aveva spiegato in tutta la sua teologia e predicazione che il mondo moderno era diventato – esso sì – relativisticamente dottrinario, che stava crescendo come una schiuma noiosa e infeconda di pregiudizi, insultante per la fede alleata della ragione. Dottrinario sarà lei – era il suo insegnamento – i libri cristiani e il libro cristiano aiutano a pensare anche il tempo e la storia oltre le sue miserie, oltre la banalizzazione del peccato, oltre il pensiero unico, esclusivo, irregimentato. E noi vogliamo riportare la cultura cristiana e cattolica dentro le ossessioni ideologiche del tempo, mettendo la psicologia comportamentale e altre bellurie dentro la nuova evangelizzazione. Almeno andate al cinema, se siete interessati alle visioni del mondo. C’è The imitation game in tutte le sale: se avessero messo Alan Turing in un sanatorio per froci, oggi saremmo tutti sudditi del Terzo Reich, molto probabilmente.

E prendete nota della biografia di Winston Churchill scritta da Boris Johnson, il machissimo e rutilante sindaco di Londra. Raggiunsero affannati Churchill nella quiete dalla campagna mentre scriveva. Gli dissero che era stato trovato un alto funzionario del governo mentre si faceva un militare della guardia su una panchina di Hyde Park alla fine di novembre, alle tre del mattino, e che lo scandalo sarebbe scoppiato in poche ore. Churchill sollevò il capo dai fogli e chiese conferma. Era avvinghiato a una guardia? Su una panchina del parco? Alle tre del mattino? Con questo tempaccio? “Ma c’è di che rendere orgoglioso lo spirito britannico”, concluse.

→  dicembre 13, 2014


di Pierluigi Panza

È un errore piccolo piccolo, scoperto grazie all’ex senatore Franco Debenedetti, ma…anche i tedeschi non sono perfetti. È successo l’altro ieri al presidente della Repubblica Joachim Gauck nel discorso all’«Italian-German High Level Dialogue». «Ogni volta che entro nel mio studio a Schloss Bellevue – ha detto – assisto a un dialogo italo-tedesco: alla parete è appeso uno splendido quadro dell’italiano Canaletto che ritrae Dresda. Girandomi, posso ammirare il Paesaggio italiano del tedesco Adolf Friedrich Harper». Ma il quadro in questione è una Veduta di Dresda da sotto il Ponte di Augusto dipinta tra il 1751 e il 1753 non da Canaletto ma dal nipote Bernardo Bellotto (nella foto, una sua raffigurazione di Dresda). C’è da dire che Bellotto, dal 1747 pittore di corte presso l’Elettore di Sassonia, nei primi tempi sfruttò il nome del celebre zio.


Una voluta omonimia a ravvicinare la fredda trasparenza dell’aria di Dresda al caldo vibrare dell’atmosfera della laguna? Oppure il sotterraneo influsso del clima dell’incontro, in cui si è discusso di realtà e di rappresentazioni, di radici comuni e di interlocuzioni difficili, di passati ideali e di recenti contrasti?
(F.D.)

→  novembre 16, 2014


Recensione di
The end of normal
James Galbraith
Simon & Schuster, pagg. 304

Siamo vissuti nella cultura della crescita: desiderabile, dovuta e perpetua, normale, appunto. Ruolo dei governi è promuoverla, moderando i cicli economici: le recessioni saranno seguite da riprese, l’economia ritornerà al trend di lungo periodo, l’output potenziale. Non era così per gli economisti dell’epoca vittoriana: per loro, scrive James Galbraith, «il fine ultimo non era la crescita economica ma l’investimento o l’accumulazione di capitale».

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→  settembre 17, 2014


Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l’Italia.
di Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri
Rizzoli, 2014
pp. 235


MoSE, Expo e Tav. Tre casi di scuola sulle “poche parole che valgono milioni” analizzate da Giavazzi e Barbieri

Di corruzione si può scrivere con la lente del magistrato, con i modelli dell’economista, con la gioia perversa del moralista. Se ne può scrivere anche con amore e dolore, amore per una delle più straordinarie città del mondo, dolore per gli scempi, morali e fisici, che in suo nome si sono compiuti: Venezia. E’ quello che fanno Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri in “Corruzione a norma di legge”.

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→  settembre 14, 2014


House of Debt
How They (and You) Caused the Great Recession, and How We Can Prevent It From Happening again

by Atif Mian e Amir Sufi
The University of Chicago Press, Chicago and London,
pagg. 220

La Grande Recessione come crisi bancaria: è la spiegazione standard. Che variamente combina eccesso di mutui garantiti dal Governo, cartolarizzazione che riduce il premio al rischio, tassi di interesse troppo bassi, mancato salvataggio della Lehman; e, per i moralisti, avidità dei banchieri e conflitto di interesse delle agenzie di rating.

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→  maggio 20, 2014


E’stata l’accusa di conflitto di interessi a creare l’affaire Pereira. Senza, sarebbe rimasto una polemica, una delle tante che nascono nel mondo della lirica, e di cui quel mondo vive. Con quell’accusa, una questione manageriale diventa politica, una contestazione al sovrintendente diventa un’accusa al sindaco.

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