Se la STET resta divisa tra partiti e manager

luglio 21, 1996


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Se verrà adottato il testo varato dal Consiglio dei Ministri di mercoledì, la questione televisiva si concluderà con un compromesso: la RAI archivia i progetti di privatizzazione, Mediaset riesce a mantenere l’esistente, con qualche sacrificio che lo stesso Prodi si è dichiarato pronto a riconsiderare.

Sarebbe un esito pessimo, ma prevedibile. E resta aperto il problema Stet, che “il varo dell’Autorità non ha neppure scalfito”, come ha scritto giovedì Massimo Riva su “la Repubblica”. Per questo avevo sempre insistito sulla opportunità di tenere separate le due autorità, delle telecomunicazioni e della TV.
Condivido tutti i presupposti del ragionamento di Riva. Ciò che mi lascia perplesso è che una persona del suo valore avanzi alla fine un dubbio per il quale, francamente, non vi è luogo. Riva ricorda che la vendita di Stet è urgente per salvare l’IRI dal fallimento; depreca l’assenza di liberalizzazione nel ddl Maccanico, che anzi amplia il monopolio; sostiene che, contrariamente a quanto previsto, sarebbe conveniente vendere le varie componenti della conglomerata Stet. Fin qui l’accordo è pieno e completo: se questa fosse la sostanza del progetto di legge, io non lo voterò.
Il dissenso viene nella conclusione: Riva sostiene che alla fine, per quanto riguarda STET, o non si farà niente oppure “qualcuno, sul versante pubblico lavora per il Re di prussica”: ricordando la proposta Mediobanca di acquisto a fermo di Stet, e gli antichi rapporti tra Maccanico e Via Filodrammatici, non lascia dubbi su chi sia il Re di Prussia e quali siano i “poteri, questi sì fortissimi” che muoverebbero l’intera vicenda.
Se dissento, è forte di ciò che ho fatto in questi anni. Fui il primo a presentare una proposta di legge che, consentendo la nascita di reti-cavo, creasse concorrenza nella telefonia urbana; fui il primo a proporre un piano dettagliato per la vendita di tutte le attività non di telefonia fissa della Stet, e quindi non solo Sirti e Pagine Gialle, ma anche TIM; fui il primo a battermi per la regolamentazione asimmetrica che impedisse a Stet di estendersi anche nella TV, finché non ci fosse concorrenza nel telefono; fui il primo a suggerire di anticipare la liberalizzazione rispetto ai tempi di Bruxelles; fui il primo a suggerire che Enel si diversificasse nel telefono; fui il primo a protestare contro una precedente versione del ddl che avrebbe impedito a Mediaset di concorrere alla gara per il radiomobile. Tutte azioni volte a far entrare nel settore nuove imprese e nuovi imprenditori.

Le cose non stanno come dice Riva, e sono i fatti che parlano.
1. Chi ha voluto una unica Autorità, consentendo quindi che a Stet si schiudesse la porta della TV? In Senato, un’ala del PDS; e nessuno negherà la pressione della lobby Stet sulla Commissione Napolitano alla Camera.
2. Chi si è opposto alla vendita delle attività separate della conglomerata Stet, compresa la più redditizia e la meno giustificata, TIM, chiamando spregiativamente “spezzatino” quella che in ogni paese sarebbe considerata una utile operazione finanziaria? L’elenco è lungo, i personaggi sono disseminati da Via Veneto a Palazzo Chigi.
3. Chi, con lo slogan “tutti possono fare tutto”, esclude ogni regolamentazione asimmetrica, impedendo la nascita di concorrenti a Stet nella telefonia urbana, consentendole di fare televisione e di entrare trionfalmente nella porta socchiusa? Per creare il fatto compiuto, Stet investiva quando Maccanico neppur pensava di fare il Ministro.
4. Ho sostenuto che il progetto Maccanico è statalista, ed il Ministro si è risentito: ma è vero o no che esso sanziona uno scambio per cui, per dare qualcosa di più al privato Mediaset, si dà tutto l’immaginabile al pubblico, Rai e Stet?

La verità mi sembra dunque assai più semplice, e più sconsolante, di ciò che dice Riva. Enrico Cuccia potrà avere tanti difetti, ma non ha la responsabilità degli errori – gravi – che politici e manager stanno compiendo nelle telecomunicazioni. Stet verrà privatizzata, tutta intera, telefono e tv, o sotto forma di una public company a proprietà frazionatissima (Prodi non dovrebbe ripetere l’ “errore” Comit e Credit) o col nocciolo duro delle banche pubbliche e dell’IMI che esse hanno “privatizzato”. Il potere rimarrà là dove è sempre stato, diviso tra partiti e manager.
Riva conclude dicendo che la vicenda Stet sarà il banco di prova tra due culture di governo, una riformista, e una trasformista, per la quale “la gestione della cosa pubblica” si riduce “ad una mediazione tra gli interessi costituiti”. La prima, caro Riva, stento a intravederla; ma se davvero vogliamo ostacolare la seconda sarà bene cercare gli interessi veri. Non è difficile trovarli, parlano e si manifestano, lavorano in proprio. Lo spettro del re di Prussia serve in primo luogo a loro.

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