Schröder si che ha dubbi “pesanti”

gennaio 7, 1999


Pubblicato In: Varie


In Italia molti hanno accusato il governatore Fazio di essere alla testa del partito euro-scettico. In Germania, nel corso di tutta la campagna elettorale Schröder si è conquistato sul campo il titolo di eurofobo. Perché Kohl era troppo eurofilo, si diceva, anzi perché era il padre della moneta unica come condizione per­ché la riunificazione tedesca non inquietasse i partner europei. Ora che Schröder siede alla cancelleria te­desca è più che legittimo, oltre che curioso, fare un paragone a distanza tra la sua Germania e l’Italia in nome della quale ammoniva il governatore. Chi è il vero eurofobo? Uno solo, nessuno o tutti e due?

Cominciamo dal leader socialdemocratico tedesco. No, Schrö­der non era eurofreddo solo per contrapporsi a Cdu-Csu. Tale atteggiamento deriva invece da una precisa valutazione degli interessi e degli umori di un blocco sociale che la Spd mirava a conquistare stabilmente, come mai era riuscita a fare da vent’an­ni a questa parte. Un blocco che considera essere tre i pilastri fondamentali dell’identità tedesca: una Sozialmarktwirtschaft che tiri, un ruolo riconosciuto dei sindacati, e la forza sacrale del marco. Un blocco che unisce piccole e medie imprese del Mit­teistand, strati popolari e lavoratori delle categorie più forte­mente sindacalizzate. Il blocco che, fruendo e avvantaggiandosi dello Stato sociale più prodigo del continente, aveva ragione di ritenere che, qualunque cosa facesse l’Europa, non poteva che tradursi in un annacquamento del modello germanico.

Quella battaglia elettorale è stata vinta. E ora che è al pote­re, la coppia Schréder-Lafontaine con la sua proposta di ar­monizzazione dei salari chiede che l’intera Eurolandia si pon­ga agli standard tedeschi. Ma un’Europa basata sulla riprodu­zione dei costi tedeschi potrà anche rinfrancare il blocco so­ciale che ha decretato la vittoria socialdemocratica. Ma non è un’Europa che possa stare in piedi. Per questo i veri eurofobi non stanno certo a Palazzo Koch a Roma, ma a Bonn oggi e dalla prossima primavera a Berlino.

Fazio era ed è tutt’altra cosa. La franchezza dei suoi ri­chiami al potere politico esprime la con­vinzione – suffragata dai fatti – che, in as­senza di riforme strutturali, l’Italia in­tanto non può contare né sulla forza pro­duttiva del modello tedesco, né sulla tra­dizionale spina dorsale della tecnocrazia francese. Ma questa convinzione nasce dal desiderio di entrare in un club per restarne membri, e non esserne domani magari sospesi. Per questo non ho dub­bi. Il vero eurofilo è Fazio. Se l’Europa ha da temere, si guardi da chi attraversi i ponti della Sprea.

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