Quando l'Antitrust fa autogol

giugno 28, 2008


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

sole24ore_logo
Stato e mercato. Poteri regolatori

La relazione di Catricalà contiene una serie di raccomandazioni in materie di cui non é competente che, per paradosso, evidenziano le proprie carenze. I casi contoversi: costi al dettaglio, class action, massimo scoperto. Ma il garante non é un ombudsman nazionale, una cassetta delle proteste.

“Un’Autorità è quello che vale nell’opinione pubblica”: aveva destato qualche interrogativo questa affermazione di Antonio Catricalà, (nel saggio “Autorità indipendenti e non autoreferenziali” per un volume edito da Donzelli). In diversi passaggi della sua relazione annuale quegli interrogativi sono diventati perplessità.

Diffondere una cultura del mercato fa parte dei compiti della Autorità che da essa prende il nome. Ma è un compito subordinato rispetto alla prima e fondamentale missione: sanzionare assetti e azioni lesive di mercato e concorrenza, i beni di cui è garante. Il “capitale” dell’Antitrust è l’indipendenza: non solo dai soggetti su cui deve vigilare, ma anche dalla volubilità dell’opinione pubblica, e dagli interessi della politica. Mette invece a rischio la sua indipendenza l’Autorità, se partecipa alla definizione di una politica industriale, se intende “lavorare per un nuovo sistema di amministrazione pubblica”. Già si ebbe modo di osservarlo alla prima uscita di Catricalà, nel 2005.

Quando si interviene in campi non esattamente propri, si mettono in evidenza i mancati interventi in campi invece assolutamente propri. E’ il caso della “commissione di massimo scoperto”. Se nella relazione leggiamo che “deve essere abolita”, vien da chiedersi perché, da chi, e come. E’ perché questa modalità del rapporto contrattuale tra banca e suoi clienti lede di per sé la concorrenza? O lo si presume, se lo adottano tutte le banche? E perché non lo si dovrebbe presumere se tutte lo abolissero? A chi tocca imporlo? Se la sua eliminazione è motivata da un bene pubblico, tocca alla Banca d’Italia. Il Governo potrebbe ordinare al Banco Poste di prendere l’iniziativa: ma l’Antitrust, pur prodiga di suggerimenti, su questo tace.

A proposito di Poste, Catricalà si attribuisce il merito di avere ottenuto l’abolizione del costo di incasso del vaglia, pari a 2,50. Ma non dice una parola sul monopolio di fatto del recapito corrispondenza, che ha consentito l’abolizione del francobollo ordinario e la sua sostituzione forzosa con quello prioritario.

Il tema degli incroci negli assetti ai vertici delle maggiori istituzioni finanziarie, (Orazio Carabini ne ha dottamente illustrato i precedenti sul Sole 24Ore) è diventato un cavallo di battaglia di Catricalà, da quando la legge sul risparmio ha conferito all’autorità il potere antitrust anche sul settore bancario. Che il “capitalismo di relazioni” sia un ostacolo alla contendibilità delle imprese, è opinione condivisa. Ma ci vorranno prove di ben altra consistenza del solo sospetto che da lì partano comportamenti collusivi, se si vuole che le eventuali sanzioni non siano subito annullate dalla giustizia amministrativa.

La federazione ABI-Ania “avrebbe fatto aumentare il peso della associazione di categoria” e il presidente si dà il merito di averla bloccata. L’effetto anticoncorrenziale di questo maggior “peso” è così chiaro da giustificare di negare un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di associazione?

Un’intera sezione della relazione è dedicata alla tutela del consumatore.
Il numero di passaggi per arrivare dal produttore al consumatore finale grava sui costi al dettaglio, in particolare nel settore alimentare, già di per sé in forte tensione. Ma nella relazione non c’è una parola per chiedere che vengano rimosse alcune delle ragioni per cui in Italia il ruolo della grande distribuzione è molto minore che negli altri Paesi europei ( per non parlare degli USA), le politiche restrittive dei comuni e (probabilmente) anche contratti di lavoro troppo onerosi.
Se si fissano i prezzi, si impedisce il funzionamento del mercato. Se il Governo decide di mettere un tetto al prezzo dei libri scolastici, Catricalà approva ma teme che così si inducano “le imprese a comportamenti uniformi”: perché plaudire a un’iniziativa così contraddittoria con le proprie funzioni?

Si parla di class action. A parte le forti riserve su alcune delle modalità che sono state proposte, a parte le riserve fortissime sulla sua estensione alla pubblica amministrazione, la candidatura dell’Antitrust a “inibire su scala nazionale l’utilizzazione di clausole vessatorie nei contratti di massa”, magari estendendo l’uso di call center di cui è iniziata la sperimentazione, desta preoccupazioni che è bene esplicitare fin d’ora. L’Antitrust non è la casetta di proteste e suggerimenti, non è l’ombudsman nazionale, non amministra giustizia. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha suoi compiti essenziali, esclusivi, non surrogabili. Nel mercato si incontrano produttori e consumatori. La vera “tutela del consumatore” sta in un mercato ampio e trasparente: se oltre a questo sono necessarie tutele speciali, è già indizio che qualcosa non funziona. Magari la causa sta proprio nel fatto che sono i diritti dei produttori a non essere sufficientemente garantiti. Magari questo avviene per effetto di uno degli infiniti vincoli che il pubblico, la proprietà pubblica, la legge e la sua interpretazione ad opera della magistratura, impongono al mercato.

ARTICOLI CORRELATI
Convegno: L’Antitrust e il libero mercato
di Franco Debenedetti – 02 luglio 2008

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: