Non si può espropriare Berlusconi Ma si può togliere la Rai alla politica

febbraio 26, 2003


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

il_riformista
Conflitto d’interessi. L’anomalia irrisolvibile per legge

La legge Frattini sul conflitto di interessi, approvata al Senato e che riprende il suo iter alla camera, è una legge inutile. Infatti il conflitto di interessi consiste nell’essere Berlusconi sia presidente del Consiglio sia proprietario di metà del sistema televisivo italiano. Questo è il nodo da sciogliere: se Berlusconi vuol farlo, non ha bisogno che glielo comandi una legge approvata dalla sua maggioranza; e se non vuole, non farà passare nessuna legge che glielo imponga.

Ciò che rileva non sono (tanto) gli interessi economici, ma quelli politici. Non (tanto) se Berlusconi possa trarre vantaggi economici dalla sua carica di capo del governo, ma lo unfair advantage di un “tycoon televisivo che diventa premier” (Il Foglio del 22 Febbraio). In gioco non è l’etica dei comportamenti, ma il funzionamento del sistema democratico. Il “normale” conflitto di interessi è , per così dire, tutto interno al soggetto, tra il suo particolare e il dovere inerente alla sua carica. In questo caso invece, il conflitto è tra l’interesse politico del governante – che per lui si identifica con il bene del paese – e l’interesse dell’opinione pubblica al corretto funzionamento della competizione democratica. E’ quindi in ultima analisi la volontà politica dell’elettore che può sanzionare ed eliminare questa anomalia.

Non è solo questa legge ad essere inutile: questo specifico conflitto di interessi nessuna legge lo può risolvere. Affermazione che suona come eresia per quanti accusano i leader dell’Ulivo, in primis Massimo D’Alema, di non avere risolto il problema quando eravamo maggioranza: se con 4 voti in più è stato possibile far superare alla legge sul federalismo gli scogli procedurali delle modifiche costituzionali – così argomentano – perché non si è fatta la legge per impedire al titolare di un impero mediatico di fare il capo del governo? Le uniche soluzioni radicali sono l’obbligo a vendere e la perdita dei diritti all’elettorato passivo: entrambe probabilmente non praticabili sotto il profilo costituzionale, certamente suicide sotto il profilo politico. Infatti presentarsi agli elettori avendo approvato una legge che obbliga il proprio avversario politico a vendere l’impresa che ha costruito col suo lavoro, e lo mette fuori gioco se non lo fa, è sicura ricetta per la sconfitta. Ancor più sicura quando l’una è un partito della sinistra, e l’altro è uno come Berlusconi. I leader dell’Ulivo, vituperati per la loro timidezza, hanno invece mostrato coraggio nell’aver resistito e non aver portato la nostra legge all’approvazione definitiva. A maggior ragione devono resistere oggi alla tentazione di proporre soluzioni radicali. Berlusconi, con un vantaggio numerico di 100 parlamentari, non accetterebbe certo come emendamento quello che ha combattuto come legge quando era all’opposizione: se continuassimo a sostenere quelle tesi, ai negativi risultati politici aggiungeremmo una dichiarazione di impotenza.

Bisogna quindi dire chiaro e forte che la legge Frattini risolve alcuni problemi, ma non “il” problema. Paradossalmente l’Ulivo dovrebbe presentare un solo emendamento, inserendo nel titolo la parola “alcuni”: “Norme in materia di risoluzione di alcuni conflitti di interessi”. “Questo” conflitto rimane irrisolto, e questa legge non basta a Berlusconi per mantenere ciò che aveva promesso di fare “entro 100 giorni”.

C’è il problema del conflitto di interessi: ma giganteggia l’anomalia di un sistema televisivo il cui controllo fa capo ad un unico soggetto. Se non si riesce a risolvere il primo con lo strumento della legge, con tanto maggior vigore si esiga di por mano al secondo. Se è incostituzionale o politicamente impraticabile chiedere a Berlusconi di vendere quello che è suo, questa è una ragione in più per esigere che il suo governo restituisca all’iniziativa privata quello che è di fatto nella disponibilità del potere politico: bisogna privatizzare la RAI nell’àmbito di una legge di sistema. La riforma dell’assetto del sistema televisivo é in discussione alla Camera, in comitato ristretto alle commissioni cultura e lavori pubblici. Si archivi la Frattini, incapace di risolvere il problema di Berlusconi, e si rilanci con determinazione sulla Gasparri. Il suo assunto di partenza è condivisibile: gli obblighi di servizio pubblico, i doveri di pluralismo e di correttezza dell’informazione, competono alla totalità del sistema televisivo. Del tutto inaccettabili – non a caso – sono invece i “dettagli”: il calcolo del limite antitrust; la data di implementazione, legata al passaggio al digitale terrestre; e l’intero processo di privatizzazione della RAI.
Le scandalose vicende degli ultimi mesi, culminate ora in un’indecorosa battaglia all’ultimo sangue tutta interna alla maggioranza, dovrebbero ridurre al silenzio quanti, in buona e in meno buona fede, continuano a parlare di modello BBC, di fondazioni indipendenti, di qualità e quant’altro. Potrebbe perfino darsi che le faide tra i suoi colonnelli convincessero Berlusconi: persa l’occasione di mantenere la promessa sul conflitto di interessi, potrebbe rifarsi mantenendo quella, fatta a fine 2001, di privatizzare la RAI.

Facendo le trincee sulla Frattini, compiamo un’azione da cui ricaviamo una perdita, mentre allo stesso tempo procuriamo un vantaggio all’avversario. Chiedendo la privatizzazione della RAI, facciamo come quelli che ottengono un vantaggio per sé e nello stesso tempo lo procurano a tutti. Secondo la Terza (ed aurea) Legge Fondamentale di Carlo Maria Cipolla, i primi sono sprovveduti, i secondi intelligenti.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: