Non ci sono terze vie

marzo 23, 2004


Pubblicato In: Giornali, La Stampa

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L’occidente deve combattere il terrorismo

Quanti cartelli ieri a Roma e nei cortei pacifisti chiedevano a Chirac e a Schroeder di aiutare a “imboccare strade nuove che siano politicamente gestite dall’ONU”, come sintetizza Barbara Spinelli sulla Stampa di ieri? Eppure è da loro che in primo luogo dipende questa possibilità: Bush non vi si opporrebbe, i timori di Kofi Annan cadrebbero di fronte a un comando unificato che desse garanzie di efficienza. Un anno fa, la minaccia di veto di Jacques Chirac ha bloccato la strada multilaterale. E oggi?

E’ il 30 Giugno la data che hanno in mente le grandi democrazie europee, o il secondo martedì di Novembre, con l’intento inconfessato di influire sugli americani che quel giorno sceglieranno tra George W.Bush e John Kerry? Si rabbrividisce a pensare che cosa può accadere, a Bagdad o in Europa, tra luglio e Novembre. Il solo sospetto che l’ipotesi di cinico calcolo politico non sia infondata, dovrebbe accendere sentimenti di rivolta, anche in chi manifesta. Che invece tollera, nella migliore delle ipotesi, che una minoranza aggressiva espella fisicamente chi non la pensa come loro.

Così com’è, la formuletta dell’ONU contiene troppe ambiguità per essere utilizzabile. E’ ambiguo chi prospetta di mandare i propri soldati a portare a termine una guerra che però ritiene sbagliata; è ambiguo chi dice di essere pronto a chieder loro di combattere accanto a soldati di paesi a cui rimprovera di avere trasformato quel paese in una base terroristica. Non dice il vero, chi propone di mettere a combattere fianco a fianco, sotto un comando unificato, chi avrebbe fatto lo sbaglio e chi dovrebbe rischiare la vita per ripararlo.

Non ci sono “terze vie”. La lotta al terrorismo comprende necessariamente la lotta agli stati che praticano il terrorismo. Come scrive A. Glucksmann (Occidente contro Occidente, Lindau, 2004), terrorista è «l’uomo armato che aggredisce deliberatamente esseri disarmati». Terrorista può essere uno Stato e quella al terrorismo può essere, di conseguenza, una guerra, sebbene una guerra di tipo nuovo. La risposta alla violenza è il diritto d’ingerenza: la versione attuale dello jus in bello è la guerra umanitaria in chiave antiterroristica: Bosnia, Kossowo, Afghanistan, Irak.
Che cosa significa, concretamente, prosciugare l’acqua in cui nuotano i terroristi? Da dove la si aspira? Come si può pensare di risolvere tutto con la sola intelligence, se, per scoprire che non c’erano le armi di distruzione di massa della cui esistenza tutti, francesi in testa, erano convinti, si è dovuto andare a vedere? Se la stessa previsione dell’ONU – la guerra provocherà mezzo milione di morti – se non era rozza propaganda, discendeva proprio dalla convinzioen che quelle amri ci fossero e che sarebbero state usate? La guerra ai rogue states è parte integrante della lotta al terrorismo. Dire che non asseconda il terrorismo uno stato costruito sulla pace dei cimiteri, è un errore diffuso dall’antiamericanismo. Di terrorismo non c’è solo quello jhadista ma anche quello di Hamas che manda bambini kamikaze in azioni congiunte con le brigate Al Aqsa di Al Fatah per tentare di far esplodere un deposito chimico al porto di Ashdod. Non erano ancora di Saddam i soldi con erano finanziati, e sue le protezioni con cui è stato possibile sfruttarli?

Si è fatto tanto parlare di verità, si è rimproverato a Bush e a Blair di non essere stati trasparenti in tema di armi di distruzione di massa; Anzar avrebbe perso per avere mentito sulla pista dell’ETA. Dopo Madrid, non c’è scampo: tacere è non dire la verità. E dire la verità, per un uomo politico europeo, significa rappresentare ai propri cittadini i pericoli a cui inevitabilmente andranno incontro se non avranno il coraggio di spegnere ora il focolaio terrorista là dove ora lo si può affrontare; e questo posto oggi, piaccia o non piaccia, si chiama Bagdad. O Kosowo. Spegnere il focolaio terrorista: questo compito lo può svolgere solo l’Occidente, quello geografico in primo luogo, per rafforzare e trascinare ma anche quello ideale a cui appartengono i governi moderati del mondo islamico: noi siamo i bersagli, ma loro sono gli obbiettivi.
C’è la possibilità, scrive Robert Kagan su Foreign Affaire, che gli europei calcolino il rischio del nuovo terrorismo inferiore a quello rappresentato da un’America non vincolata. Scrivendo, così, la trama di una tragedia.

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