Ma cedere la rete allo Stato è follia

novembre 23, 2001


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Un ribaltamento nella politica di privatizzazioni in Italia

C’è un progetto che gira nei palazzi della politica, un progetto temerario, perché significherebbe il totale ribaltamento della politica di privatizzazioni seguita finora dall’Italia, un progetto originato in una parte della maggioranza, ma sarebbe già stato illustrato anche ad altri Ministri. Si tratta nientemeno che di creare una rete pubblica di telefonia mobile. Un fatto che annullerebbe la credibilità internazionale che il Paese si è conquistato con la sua politica di privatizzazioni, che porrebbe l’Italia in contrasto con gli organismi comunitari, che potrebbe avere riflessi anche sul patto di stabilità.

Si stenta perfino a credere che il Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’Economia siano disposti a mettere la loro firma su un progetto del genere. Essi non possono neppure consentire con il loro silenzio che questi propositi vengano avvalorati e prendano piede.
Il progetto, attribuito all’ing. Chirichigno – già AD Telecom e ora consulente di Gasparri, si sviluppa in tre tappe. Primo: Wind si divide in due società separate: l’una titolare della rete e delle infrastrutture, l’altra che fornisce il servizio. Secondo: Wind-Rete viene venduta all’Enel e i vecchi soci restano proprietari di Wind-Servizio. Terzo: Enel procede alla scissione di Wind-Rete che diventa così proprietà pro quota degli azionisti Enel. Risultato: lo stato è proprietario al 65% di una infrastruttura moderna di telefonia con licenza e frequenze GSM e UMTS.

Il progetto nasce dalle difficoltà che sta incontrando Wind. Nei primi 9 mesi del 2001 ha preso a livello di EBIT 920 milioni euro. I due soci, Enel e France Telecom, difficilmente possono accettare di ricapitalizzare la società. La fusione tra Wind e Infostrada potrebbe rappresentare una soluzione dal punto di vista bilancistico, ma non sostanziale. A Bruxelles, il tasso di interesse praticato dalle banche a Wind, il prezzo a cui Enel ha ceduto le sue infrastrutture telefoniche, quello che oggi Enel paga per il proprio traffico telefonico, potrebbero essere visti come aiuti di Stato e come tali fatti oggetto di indagine. A Napoli, prima o poi l’Autorità Garante delle Comunicazioni dovrà comunicare a Wind lo status di operatore con rilevante potere di mercato, facendo cessare le sue aggressive operazioni di marketing.

Il fondamento teorico della proposta è la teoria della separazione rete – servizio. Una teoria che ha significativi precedenti. Fu Gianni Bilia, Direttore Generale della RAI sotto la presidenza Moratti, ad avanzare la proposta di vendere alla Stet di Pascale le infrastrutture Rai: Billia voleva creare una rete della pubblica amministrazione, Pascale blindare Stet pubblica. Nelle aziende pubbliche locali la separazione reti e servizi, ora diventata legge, fu il cavallo di battaglia del Sen. Luigi Grillo nella passata legislatura, col dichiarato proposito di lasciare sulle spalle del pubblico il costo della rete, e di consentire ai privati di gestire il servizio con un investimento ridotto.
La proprietà pubblica della rete è la soluzione ideale per gli statalisti che vogliono vestire i panni dei privatizzatori. Si riscuotono gli applausi di chi teme la perdita dell’italianità delle imprese, di chi non vuole che le utilities finiscano nelle mani di grandi aziende. La proprietà pubblica delle reti è lo strumento per una forma aggiornata dell’intervento pubblico in economia. Quello che è al centro del convegno sulla “terza via” promosso da “Destra protagonista”, la corrente di AN che fa capo a Gianfranco Fini, e che avrà luogo ad Arezzo domani e domenica.

Una volta imboccata la strada della rete mobile pubblica, si potrebbero anche avere ulteriori sviluppi. (Sarebbero necessari aggiustamenti regolamentari relativi alle concessioni GSM e UMTS, non un ostacolo insormontabile quando c’è la “volontà politica”). Innanzitutto Blu: i suoi conti economici non hanno nulla da invidiare a quelli di Wind; Berlusconi ha venduto, Benetton deve vendere, liberarsi dall’onere di costruire una rete può essere la salvezza.
Anche l’eterogenea compagine societaria di IPSE potrebbe essere interessata a una rete pubblica che faccia lei gli investimenti in infrastrutture. E Ipse vuol dire Telefonica, quindi Atlanet, quindi Fiat, quindi Telexis, quindi Edisontel, tutte iniziative in cui nessuno desidera investire grandi somme e tutti mirano a valorizzare al massimo il proprio nome e il proprio peso politico.
Questo progetto è figlio del fallimento della strategia Enel multiutility, che già ha registrato la chiusura delle trattative sull’Acquedotto Pugliese e che ora si tenta di rilanciare anche con una banca. Io, che su questa strategia sono stato molto critico, sono certo che questo progetto non è condiviso da Franco Tatò. Comunque, il cambiamento di strategia di un’impresa non può essere pretesto per il rovesciamento della politica di un Paese. E proprio perché riguarda il Paese, non un Ministero o un’azienda, è il Presidente del Consiglio stesso da cui si attende un chiarimento non equivocabile.

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