L’Europa dura del mercato

novembre 19, 1997


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


La vicenda iniziata con l’OPA ostile delle Assicurazioni Generali sulle Assurances Generales de France, diventata battaglia con la contro-OPA amichevole della tedesca Allianz, ha una sua straordinaria importanza anche sotto un duplice profilo che ci aiuta a comprendere che cosa e’ davvero l’Europa dell’euro.
Il primo aspetto riguarda le inevitabili conseguenze che investono le forme giuridiche stesse dell’impresa, i modelli nazionali affermatisi, la Hausbank in Germania, i noccioli duri in Francia.

La mossa delle Generali ha avuto uno sconvolgente impatto sull’opinione pubblica francese.
E’ stato Edouard Balladur a farsene interprete con un articolo su Le Monde, lui che da presidente del Consiglio aveva codificato i noccioli duri, che consentivano al governo di privatizzare garantendo pero’ la continuita’ del controllo reale sulle imprese vendute. Nonostante i noccioli duri della cultura statalista di allora, nonostante i veti di adesso, in Francia si e’ privatizzato alla grande: la compagnia petrolifera e quella aerea sono gia’ tutte private, quest’anno toccherà alla Renault.
Ma l’OPA delle Generali svela una uova realta’, i noccioli duri non ci sono piu’, la proprieta’ e’ diventata contendibile. Anzi, e’ gia’ passata di mano. Improvvisamente i francesi si accorgono che il 50% delle azioni delle principali societa’ quotate a Parigi sono di proprieta’ di fondi pensione: non francesi.
I prezzi espressi in un’unica valuta rendono le merci immediatamente confrontabili. Cio’ vale per i prodotti, vale ancor piu’ per le azioni delle aziende che li producono. Che si tratti di titoli Philips o Siemens, Daimler o Alsthom, FIAT o Generale des Eaux, solo le prospettive di guadagno guideranno le scelte degli investitori, in particolare degli investitori istituzionali. Nessuna azienda e’ inattaccabile: cio’ che sconcerta l’opinione pubblica francese non e’ che le Generali tentino la scalata alle Assurances de France, ma che domani Deutsche Bank conquisti la Banque Nationale de Paris.
C’e’ poi il secondo profilo, quello che ci riguarda piu’ da vicino in quanto Italia. Il Parlamento un anno fa ha dato delega al governo per emanare norme su quella che in gergo si chiama corporate governance.
Se ne discute dal dopoguerra e ancora una volta si corre il rischio di inseguire obiettivi velleitari. Come la cosiddetta “democrazia economica”, tema caro a populisti di ogni specie.
Al contrario, che la patria stessa dei noccioli duri scopra, per effetto di un’iniziativa italiana, che i modelli di controllo e gestione escono dalle rassicuranti tipologie nazionali, per assumere la fisionomia caldeggiata dai grandi investitori istituzionali, e’ una lezione non meno valida in Italia.
La separazione tra proprieta’ e controllo, il segreto del successo dell’economia capitalistica, ha avuto da noi due forme peculiari: l’industria di stato guidata dai virtuosi manager nittiani; la proprieta’ familiare basata sui gruppi piramidali. Ma le industrie di stato le si deve vendere, e la leva delle “scatole cinesi” e’ ormai inadeguata a consentire lo sviluppo. Ferma restando la contendibilita’ del controllo, saranno infine i fondi pensione con le loro scelte di investimento a decidere quale azienda ha statuti che meglio assicurano controlli piu’ affidabili sulla gestione. Dopotutto ne hanno pure diritto: gestiscono i soldi dei pensionati.

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