L’esempio di Bilbao

novembre 11, 1999


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Per la sistemazione del museo egizio

La tradizionale discrezione subalpina deve riconoscerlo: quello di dare una sistemazione più adatta al nostro Museo Egizio è diventato un tema nazionale; tanto da andare in prima pagina perfino sul «Sole 24 Ore». Dichiaro subito dove va la mia preferenza: per l’Egizio vorrei un museo nuovo, costruito su misura.

Lo vorrei perché una città parla con le sue architetture; e se è doverosa la cura del proprio passato, recuperare piazze, ricostruire teatri, riutilizzare fabbriche, è legittimo l’orgoglio di lasciare memoria di sé. Da 50 anni a Torino non si è costruito quasi nulla per cui vorremmo essere ricordati; e non poco per cui desiderare di non esserlo. E poi un museo può costituire esso stesso motivo di attrazione, e aumentare l’interesse per quanto altro la nostra città può offrire.
Lo vorrei perché sarebbe una scelta in continuità con la passione da cui nacque l’Egizio. Quella di Carlo Felice che arrivò a stanziare in certi anni fino ad un quinto del bilancio dello Stato per acquisire i reperti messi insieme da ambasciatori e mercanti; e quella di tanti piemontesi, se, come testimoniano i registri delle regie dogane, a Torino arrivarono 15000 mummie.
Lo vorrei perché l’altra soluzione — la reggia di Venaria in corso di recupero — a molti torinesi apparirebbe come una sottrazione; ma soprattutto perché mi sembra estremamente improbabile la coincidenza di due fatti entrambi casuali, che Venaria sia il contenitore ideale per valorizzare l’Egizio, e l’Egizio il contenuto adeguato a riempire la reggia.
Vorrei per Torino il «modello Bilbao», la città basca dove Frank Gehry ha realizzato il nuovo museo della Fondazione Guggenheim, una straordinaria opera decostruzionista che nel primo anno ha già attirato 1.300.000 visitatori. All’Egizio sono 280.000.
Storia istruttiva quella del museo di Bilbao. Il primo contatto della città con la Fondazione Guggenheim è avvenuto nel 1991, il protocollo siglato nel dicembre, l’accordo firmato nel febbraio 1992, il progetto presentato nel febbraio ’93, l’opera inaugurata nell’ottobre 1997: e dunque sei anni dall’idea alla cosa, quattro dalla prima pietra al primo visitatore. Il costo dell’opera è stato sopportato dalla regione Basca, grazie ai contributi di oltre 100 aziende private.
A Bilbao la politica ha garantito che non ci fossero incertezze sul progetto, né ritardi nelle autorizzazioni, né modifiche per impatto ambientale. Non ci sono state sospensioni per irregolarità negli appalti, non interventi di magistrati penali o amministrativi.
La grande architettura, si dice, nasce da scelte elitarie: e si citano, in tempi moderni, il Beaubourg di Pompidou, le piramidi del Louvre di Mitterrand, il discusso Millennium Dome di Blair. Bilbao ha democraticamente seguito una guida aristocratica.
Esistono a Torino le condizioni che hanno fatto il successo del museo di Bilbao? È legittimo chiederselo, per questo ho usato il condizionale. Se la politica non sa dare a Torino questa garanzia, sarà giocoforza ripiegare sulla scelta conservatrice, lasciare l’Egizio dov’è, ampliarlo spostando la Galleria Sabauda. Per l’Egizio una scelta inoppugnabile, al riparo del filologicamente corretto; per la città, indiscutibilmente una rinuncia, in un’occasione forse unica. All’appuntamento del 2006 mancano sei anni: quelli che ci ha messo Bilbao.

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