Le verità (comode) sul petrolio e le bugie sulla finanza cattiva

novembre 22, 2007


Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair

vanityfair_logo_red
da Peccati Capitali

Cento dollari per un barile di petrolio, un dollaro e mezzo per un euro: soglie che impressionano. E preoccupano: se aumenta il prezzo del petrolio aumenteranno riscaldamento, luce, trasporti, dunque tutti i beni; se l’euro forte rende più difficile alle nostre aziende vendere all’estero, diminuirà l’occupazione. I prezzi salgono per motivi reali o perché qualcuno li fa salire?

Che Cina e India per sostenere la loro crescita abbiano bisogno di enormi quantità di energia, lo si sapeva già quando il barile costava 50$. Se il prezzo in poco tempo è raddoppiato è forse colpa di chi butta immense quantità di danaro per guadagnare sul rialzo? Il caso di manipolazioni del mercato più famoso in tempi recenti è quello dei fratelli Hunt di Dallas con l’argento: nel 1979-80 ne fecero incetta, fecero salire il prezzo da 8 a 50$ all’oncia, poi crollò e i due finirono in carcere. Ma il petrolio non è l’argento, nessuno può manipolare un mercato così gigantesco. La manipolazione perturba i mercati, è un reato. Invece la speculazione è quella che fa funzionare i mercati: tra l’altro si può speculare sia al rialzo sia al ribasso. I prezzi forniscono informazioni. I 100$ del petrolio ci dicono: che la crescita dei paesi emergenti continuerà a lungo a questi ritmi; che i paesi ricchi tarderanno a prendere misure di risparmio; che le scoperte di nuovo petrolio sono inferiori al consumo di quelle note. In base a queste informazioni, le società petrolifere intraprendono ricerche di petrolio altrimenti non convenienti, le popolazioni accettano centrali nucleari e torri eoliche, i consumatori acquistano case autosufficienti e cambiano l’auto con una che consumi meno. Non leggere l’informazione contenuta nel prezzo del petrolio rafforza le resistenze a politiche energetiche alternative.

Non c’è un’economia reale buona opposta a una finanza cattiva. Non ci sono gnomi nei grattacieli di New York o di Zurigo che determinino “il prezzo del pane per sfamarsi o del cherosene per riscaldarsi”. Sostenere che gli hedge fund – operatori che usano metodi di gestione adatti ad alcuni tipi di investitori – siano “il capitalismo delle bische” (Marcello De Cecco, Repubblica del 9 Novembre), induce solo nei risparmiatori una diffidenza verso le attività finanziarie in generale. E poi ci si lamenta se solo il 20% dei lavoratori ha scelto di investire il proprio TFR in fondi, e la maggioranza ha preferito lasciarlo in azienda o consegnarlo all’INPS, anche se il rendimento è decisamente inferiore, sprecando un’occasione unica di costruire una futura fonte di reddito da affiancare alla pensione. Un peccato capitale: commesso per diffidenza verso la finanza.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: