Le banche alla prova trasparenza

maggio 23, 1997


Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero


Come mai questa accelerazione improvvisa nelle privatizzazioni, tanto piu’ sorprendente in un processo che sembrava bloccato dall’epoca del Governo Amato, nonostante dichiarazioni di ministri e ammonimenti di governatori?

Il mese scorso Sanpaolo ha annunciato il suo piano di privatizzazione. Nei giorni scorsi l’ha fatto Cariplo. Anche la privatizzazione di BNL-Banco Napoli-INA appare oggi piu’ vicina.

Come mai questa accelerazione improvvisa, tanto piu’ sorprendente in un processo che sembrava bloccato dall’epoca del Governo Amato, nonostante dichiarazioni di ministri e ammonimenti di governatori?
Nel disegno di legge per privatizzare le anche possedute da Fondazioni, che avevo preparato con Giavazzi, Penati e De Nicola, si indicava un termine di 18 mesi: ci era stato “dimostrato” che la cosa non era materialmente possibile, che un termine cosi’ breve avrebbe significato obbligare le fondazioni a “svendere”. E alcuni ci avevano accusati di essere dei pericolosi giacobini. Invece il Sanpaolo ha avviato la sua privatizzazione 17 mesi dopo la presentazione della nostra proposta di legge, e la Cariplo ha concluso l’accordo con Ambroveneto in circa 3 mesi.

Questi cambiamenti di proprieta’ sono ora diventati possibili perche’ era gia’ intervenuta una modifica nei rapporti di forza. Il potere finanziario in Italia vedeva da un lato la cosiddetta finanza laica – ma sarebbe meglio dire privata – intorno a Mediobanca; dall’altro, la finanza controllata dal potere politico, tramite le Fondazioni bancarie. Una situazione di stallo: era anche per il timore del potere economico di Mediobanca, ingigantito da timori e da invidie, che il potere politico- diciamo pure i partiti- non potevano neppure prendere in considerazione di perdere il loro controllo sulle Fondazioni.
Che Cariplo abbia scelto Ambroveneto anziche’ Comit, dopo che altre due operazioni ingegnerizzate da Mediobanca – Supergemina e HIP-Marzotto – non erano andate in porto; che l’IFI, la finanziaria della famiglia Agnelli, abbia preso una partecipazione nel Sanpaolo di Torino, e che la relativa Fondazione abbia investito in FIAT: piu’ di un segnale sembra indicare che qualcosa e’ cambiato nel ruolo e nel potere avuto da Mediobanca nei passati decenni.
Oggi le grandi imprese possono finanziarsi non solo piu’ sul mercato italiano, ma sui grandi mercati internazionali; con l’inizio delle privatizzazioni, e comunque con la minore aggressivita’ delle imprese pubbliche, si e’ modificato il ruolo di difensore dell’imprenditoria privata che di Mediobanca resta il grande merito storico. Se il potere relativo di Mediobanca e’ diminuito, cio’ e’ in fondo conseguenza dello stesso successo con cui ha assolto alla missione che si era data. Il risultato e’ che improvvisamente combinazioni finora impensabili sono apparse possibili. E questo spiega l’accelerazione dei tempi.
Resta da chiedersi che cosa sia avvenuto sul piano della sostanza, e cioe’ della reale restituzione delle banche al mercato. Si tratta di vere privatizzazioni? Cioe’ si cede il controllo ai privati e le Fondazioni si spogliano del proprio potere? Nel caso del Sanpaolo, la Fondazione ha solo il 5% dei diritti di voto, sia pure per aver congelato quelli relativi ad un altro 15% di azioni che restano di sua proprieta’.
L’affermazione di Zandano, di volere una banca scalabile, ha dunque un solido, anche se non irreversibile fondamento. Invece la Fondazione Cariplo mantiene un 30% della holding bancaria, e ha preferito l’offerta Ambroveneto, a detta dei suoi stessi organi dirigenti, proprio perche’ questa offriva alla Fondazione -con ben maggiore larghezza rispetto all’offerta Comit – la possibilita’ di mantenere un ruolo di controllo, sia pure condiviso. E comunque nella soluzione Comit la quota di azioni sul mercato era ben maggiore. Che Cariplo abbia solo voluto ridurre il proprio investimento, mantenendo un potere che fin la legge Pinza – quella che dovrebbe regolare la materia e che e’ in discuussione alla Camera- riconosce improprio per le Fondazioni, e’ quindi piu’ che un sospetto.
Con questo veniamo al problema di fondo, che e’ comune a tutti i processi di privatizzazione. Nell’atto di restituire al mercato le attivita’ economiche, lo stato determina sia gli assetti proprietari sia gli assetti di mercato. Obbiettivo dovrebbe essere creare per gli uni e per gli altri condizioni di effettiva concorrenza.
Nel caso delle banche entrambi gli assetti possono essere pesantemente falsati se non si assume una linea molto chiara sulle Fondazioni, dato che la proprieta’ pubblica, aldila’ di ogni sottigliezza giuridica, e’ intrinseca alla loro stessa natura. Finche’ la Fondazione Montepaschi e’ di fatto pubblica, anche la migliore delle nomine ai vertici della Banca – e quella di Spaventa lo e’ fuor di ogni dubbio- e’ per definizione di derivazione pubblica.
Dalle vicende che si sono finalmente messe in moto e’ possibile ricavare una morale: bisogna che la definizione degli assetti proprietari delle banche avvenga verso obbiettivi chiaramente enunciati e con meccanismi trasparenti. Ne avevo proposto uno, basato sui buoni di acquisto, e su rigidi divieti di incroci azionari. Ma ero un pericoloso giacobino.

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