Il referendum di Bertinotti, il "tour dei diritti" della Cgil e una sinistra che non sa darsi una politica del lavoro

settembre 6, 2002


Pubblicato In: Varie

lavoce
Una sinistra disattenta

Sarebbe logico attendersi che fossero proprio i sindacati e i partiti politici vicini al mondo del lavoro i più pronti a seguire la tendenza alla “smaterializzazione” dell’economia, quella per cui nel prodotto globale aumenta la quota dei servizi rispetto a quella dei beni, e, in questi, il valore della componente “di scambio” rispetto a quella “d’uso”. E che quindi sindacati e partiti politici si facessero più pronti a individuare e più attenti a valorizzare le componenti nuove e “ricche” delle prestazioni lavorative, per farle emergere anche nell’area dei servizi a basso valore aggiunto: i luoghi di alienazione degli attuali “tempi moderni”.

Non è ciò che sta accadendo: invece di essere attenta a questo processo di smaterializzazione, la sinistra imbocca la via di fuga verso l’astrazione degli schemi politici.
Più che sulla varietà di ciò che succede durante il rapporto di lavoro, si concentra sull’”on – off” del momento della sua eventuale interruzione; e, in tal caso, non sulla concretezza della fattispecie, ma sulla generalità del diritto. Più che opporsi a una legge, ingaggia battaglia contro il legislatore; e più che contro la maggioranza, per la leadership della minoranza. E, per finire, lo fa non con un’unica proposta, ma con due iniziative, apparentemente convergenti, in realtà antagoniste tra loro: il referendum di Rifondazione Comunista e il “Tour dei diritti” della CGI.

Due iniziative puramente dimostrative

Il referendum di Bertinotti vuole abrogare, nell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, la soglia dei 15 dipendenti a partire dalla quale non si applica l’obbligo del reintegro se il giudice non riconosce la giusta causa o il giustificato motivo. Il Tour dei diritti invece vuole raccogliere 5 milioni di firme a supporto di una proposta di legge che abbassi la soglia dagli attuali 15 a 7 dipendenti, e che estenda la protezione anche ad una parte almeno dei lavoratori con contratti atipici. CGIL e Rifondazione Comunista chiamano la sinistra a sostegno di due iniziative puramente dimostrative.
Infatti RC non avrà difficoltà a raccogliere le 500.000 firme e, se la Corte non ne decreterà l’inammissibilità, il suo referendum si svolgerà nel 2003: ma è evidente che la possibilità di successo è praticamente nulla, e che quindi la norma non verrà abrogata. La proposta della CGIL invece deve ancora essere formalizzata e poi dovrebbe essere messa all’ordine del giorno in Parlamento ed essere approvata: cosa perlomeno improbabile.
Due iniziative dunque che non danno motivo di preoccupazione al Governo, che peraltro appare sempre più inadeguato ad affrontare le difficoltà, congiunturali e politiche. Si tratta inoltre di iniziative che si rivolgono non tanto alla maggioranza, quanto al campo dell’opposizione, anzi di una parte ( o di una parte della parte) di essa. Il loro fine ultimo non è dare una “spallata” al Governo per farlo cadere e sostituirlo con un ribaltone parlamentare, cosa a cui non può credere realisticamente nessuno; ma piuttosto dare un’energica spinta all’opposizione per spostarne l’asse a sinistra. Un’operazione che per l’opposizione presenta costi e insidie.

Essere il leader dei perdenti

L’iniziativa di RC è insidiosa per i DS, perché allarga l’area del consenso alla sinistra antagonista: ha già quello della FIOM di Claudio Sabattini e di Sinistra 2000 di Cesare Salvi. Soprattutto è insidiosa per la CGIL perché coglie l’inconsistenza logica di avere condotto la battaglia sull’art. 18 tutta sul tema dei diritti: se di diritto si tratta, non si giustifica la soglia dei 15 , ma neppure quella dei 7 dipendenti. Se RC riuscirà a raccogliere il mezzo milione di firme entro il 30 settembre, il suo sarà l’unico referendum che si svolgerà nel 2003. Fausto Bertinotti avrà la scena tutta per sé: su quella scena, di fronte al Paese, andrà la sinistra massimalista, ma per Berlusconi sarà un invito a nozze identificarla con la sinistra tout court.
Allo stesso modo il Tour dei diritti si propone di allargare l’area di consenso includendo i no-global per unificare sotto la propria leadership i movimenti girotondisti. Ma anche questa operazione comporta prezzi politici: per l’Ulivo, dato che divarica le posizioni rispetto alla Margherita; ma soprattutto per la sinistra di governo, perché è inevitabile che, nel corso di una così imponente mobilitazione di massa tutta condotta sul tema dei diritti, si spargano a piene mani parole d’ordine semplificatrici che faranno arretrare le relazioni industriali alle condizioni prevalenti alcuni decenni orsono: con il rischio così che la sinistra di governo non riesca più ad essere per il mondo degli imprenditori un interlocutore affidabile.
La polemica sull’articolo 18 aveva già indotto Bruno Trentin (Corriere della sera dell’8 febbraio 1999) a parlare di “spiriti animali di un capitalismo ottocentesco che ha nostalgia dei padroni delle ferriere”.
Appena un gradino sopra Claudio Sabbatini della FIOM abbreviava in “spiriti animali d’impresa” e formulava l’accusa per cui ogni licenziamento è sospetto di essere discriminatorio come nel caso di “una lavoratrice che si è ribellata a molestie sessuali”: un topos che durante il Tour dei diritti verrà ripetuto milioni di volte. E come potrà una sinistra di governo presentarsi quale interlocutore affidabile ad un mondo di imprenditori descritti come pronti ad abbandonarsi a pratiche discriminatorie e vessatorie sol che venga levato il baluardo dell’articolo 18?

“Why vote for losers?” è il titolo di un paper in cui Micael Castanheira, dell’Università di Bruxelles, sviluppa, con la teoria dei giochi, un modello matematico che spiega perché in pratica non si realizza la legge di Duverger, secondo la quale in un sistema bipolare i voti dovrebbero andare solo ai candidati delle due coalizioni realmente in competizione tra loro per vincere. (www.cepr.org/pubs/dps/DP3404). Votare per chi si sa che perderà ha lo scopo di spostare l’asse del partito o della coalizione rispetto a quello dell’elettore mediano. Tutto il contrario dunque, a quanto dicono le analisi del voto passato e i sondaggi su quelle future, di ciò che servirebbe al centrosinistra per vincere. Utile invece, se lo scopo non è vincere, ma essere il leader dei perdenti.

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