Il mito della separazione

luglio 19, 2007


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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La mistificazione della spesa assistenziale

di Franco Debenedetti

e di Giuliano Cazzola

C’è una tesi che periodicamente ricorre nei dibattiti sulle riforme previdenziali: quella secondo cui il sistema sarebbe di per sé in equilibrio se si separassero i costi della previdenza da quelli dell’assistenza, ponendo il finanziamento di quest’ultima a carico della fiscalità generale.

La tesi, riaffermata anche in un recente convegno dal segretario della Uil Luigi Angeletti, è il cavallo di battaglia dei numerosi articoli e interviste di Luciano Gallino. Considerando le tensioni politiche che si stanno scaricando sulla discussione sull’innalzamento dell’età pensionabile, è quindi quanto mai opportuno sgombrare il campo da una tesi interamente fallace: per ragioni sia di principi generali sia di contabilità specifica.
Il principio su cui si fonda il sistema pensionistico obbligatorio è quello della solidarietà, non solo tra le generazioni, ma anche all’interno di una stessa generazione. Per ragioni demografiche e di mercato del lavoro i fondi di alcune categorie (ad es. il fondo del lavoro indipendente Inps al netto delle gestioni incorporate) possono essere temporaneamente in equilibrio o addirittura in surplus. È in contraddizione con l’idea stessa di mutualità isolare il fondo di una specifica categoria di lavoratori da quelli di altre categorie. Se questa fosse la logica, la gestione separata dei parasubordinati, che oggi vanta saldi positivi di parecchi miliardi, potrebbe decidere di utilizzare il notevole surplus per le prime generazioni di pensionati. Comportamenti siffatti sono stati purtroppo seguiti in passato contribuendo ad aumentare l’instabilità del sistema. D’altra parte è sufficiente considerare il dato aggregato: l’aliquota contributiva è pari al 33%, mentre quella di equilibrio, al netto della gestione degli interventi assistenziali, è del 36,6 per cento.
La necessità di aumentare l’età pensionabile non è dovuta solo a ragioni di equilibrio attuariale, ma anche esigenza del mercato del lavoro. Già oggi le persone ultrasessantenni in Italia sono il 26% della popolazione: quante saranno negli Usa solo nel 2050. In quella data, da noi, gli over 60 raggiungeranno il 41 per cento. Ne deriva che – come scrive il Libro Verde sulla demografia della Ue – nei prossimi anni, le generazioni dotate di maggiore potenzialità di lavoro saranno quelle dei cinquantenni. O lavoreranno loro oppure il mercato del lavoro andrà in crisi sul lato dell’offerta.
Veniamo ora alle ragioni contabili. Si parla in questi giorni – come copertura della manipolazione dello scalone – di un “tesoretto”, un saldo attivo del bilancio Inps (dovuto alla “stangata” contributiva contenuta nella Finanziaria 2007), ma tale risultato è dovuto unicamente a due gestioni (quella dei c.d. parasubordinati e quella delle prestazioni temporanee, famiglia e ammortizzatori sociali) ognuna delle quali concorre con una dote di 6,5 miliardi di euro a tappare i buchi delle gestioni pensionistiche deficitarie.
Nel 2007 entreranno nella casse dell’Inps 128 miliardi di euro di gettito contributivo e circa 73-74 miliardi di trasferimenti, di cui 34 miliardi a titolo di trattamenti pensionistici (al netto dei 13,5 miliardi stanziati e trasferiti per l’invalidità civile) per finanziare tutte le prestazioni – alcune certamente previdenziali – accollate, nel tempo, allo Stato, spesso al solo scopo di alleggerire i conti dell’Inps (ad esempio alla cassa dei ferrovieri vanno 3,5 miliardi sicuramente riservati a pagare delle pensioni; gran parte dei trattamenti dei coltivatori sono a carico della Gias, la gestione assistenziale, per definizione in pareggio). Anche la situazione debitoria pregressa dell’Inps verso lo Stato è stata azzerata nel 1998 mediante l’abbuono di 160mila miliardi di vecchie lire.
La separazione tra assistenza e previdenza è una clamorosa mistificazione del dibattito previdenziale, perché non si tratta di un obiettivo da conquistare ma di una realtà alle nostre spalle, grazie alla legge n.88/1989 e alla legge n.449/1997.
In tutto il mondo la spesa pensionistica è una sola a prescindere da come viene finanziata, sia per via fiscale che contributiva. Il problema non è quello dei saldi, ma dell’andamento e della evoluzione della spesa pensionistica: è questo l’indicatore (con riguardo al Pil) che gli osservatori europei ed internazionali tengono in considerazione.
Se anche si ampliasse a dismisura l’area dell’assistenza, i relativi oneri non svanirebbero nella nebbia.
Da noi, si pretende, invece, di non considerare come spesa pensionistica quanto è finito, per motivi di opportunità e di necessità, a carico dello Stato. Se questa operazione truffaldina riuscisse, si porrebbe il problema di tagliare comunque una spesa – a questo punto assistenziale – divenuta insostenibile.
Altrimenti i Paesi il cui sistema è caratterizzato da una pensione di base finanziata fiscalmente sarebbero autorizzati a sostenere che la loro spesa pensionistica è pari a zero.

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