Il caso Echelon: ipocrita lezione di moralità

marzo 24, 2000


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Vi abbiamo spiato per anni, ma l’abbiamo fatto per il vostro bene: l’incredibile affermazione è di James Woolsey, già direttore della Cia; chi la pubblica è il «Wall Street Journal Europe» di mercoledì 22. Che non solo ospita il lungo articolo dell’ex capo dei servizi di spionaggio americani, ma autorevolmente ne ribadisce i contenuti con un editoriale. Dunque tutte vere le rivelazioni del giornalista inglese Duncan Campbell su Echelon, il sofisticato sistema di satelliti e computer utilizzato dagli USA per spiare le attività di aziende europee.

L’articolo contiene un’ammissione e una giustificazione. Quanto alla prima, è la conferma di un fatto di inaudita gravità: spetta ai governi europei reagire in modo adeguato; e c’è da attendersi che anche le associazioni di categoria delle imprese oggetto di spionaggio facciano sentire la loro voce.
Ma non meno grave è la giustificazione. Woolsey e il «Wall Street Journal» non mostrano nessun imbarazzo, anzi. Se le imprese europee, per ottenere commesse all’estero, corrompono i governi locali, se alcuni governi europei le incoraggiano considerando le spese per tangenti come fiscalmente deducibili: allora l’attività di spionaggio, questa la tesi che sostengono, è solo una lecita contromisura. «Perché pagate tangenti?» ci chiede l’ex capo della Cia. «Non è perché la vostra tecnologia è intrinsecamente inferiore: è perché il vostro santo patrono è ancora Jean Baptiste Coulbert, mentre il nostro è Adam Smith. Invece della dura disciplina necessaria per ridurre il vostro dirigismo, trovate più facile pagare tangenti.» Woolsey monta in cattedra, e vuole «educarci»: una lezione sul Foreign Corrupt Practices Act, e una per insegnarci che, per le economie del 21esimo secolo, Adam Smith è guida migliore che non Colbert.
Chi, come il sottoscritto, è convinto e cerca di convincere che la «lezione» sia corretta, si sente personalmente colpito dal veder la cosa impropriamente usata. E trova la distorsione di valori e di principi ancora più intollerabile dell’arroganza con cui è espressa.
Quanto alla legislazione anti-tangenti, il sig. Woolsey non può ignorare che essa è legata allo scandalo Lockheed: un fatto avvenuto alquanto tempo dopo Adam Smith. Il sig. Woolsey ne trova certo notizia negli archivi della Cia, perché quello scandalo rischiò addirittura di destabilizzare un paio di Paesi alleati. E negli stessi archivi si immagina che abbia trovato notizie su altri episodi: che riguardano il petrolio del Medio Oriente, o il caffè dell’America Latina. O magari il rame del Cile: le tangenti non sono il solo mezzo per raggiungere i propri obbiettivi.
Ma a chi scrive è la relazione tra trasparenza e liberismo che maggiormente interessa. Una relazione che certamente esiste, ma che non opera nella maniera meccanica che il sig. Woolsey vorrebbe farci credere. Anzi, proprio per nulla. Il Transparency International Bribes Payers Index, elaborato annualmente dall’osservatorio indipendente Transparency International sommando il giudizio di 770 senior exe tives di 14 Paesi emergenti, vede in testa alla graduatoria della corretezza negli affari l’iperstatalista Svezia con un punteggio di 8,3 su 10. Dal quarto posto in poi sono tutti Paesi europei: Austria, Svizzera, Olanda, Regno Unito, Belgio. Per trovare gli Stati Uniti, bisogna arrivare al nono posto, ma a pari merito con la Germania dell’Economia sociale di mercato. Quanto al merito, è proprio da un paese come il nostro che da un lato ha leggi e istituzioni ancora troppo poco liberiste, dall’altro ha vissuto il travaglio di Tangentopoli, che può venire una riflessione sulla corruzione e sui modi per combatterla. Noi abbiamo imparato che, a sconfiggere la corruzione, non serve il moralismo; e non basta la scure della giustizia, che colpisce casualmente uno su cento — ma lascia inalterate le determinanti economiche dei comportamenti illeciti, al massimo vale a renderli più onerosi.
Se non si rafforzano i sistemi di incentivi e di disincentivi che agiscano dall’interno dell’attività economica, non sarà il tintinnar di manette che produrrà l’osservanza di pratiche di trasparenza. È indubbiamente vero che l’efficienza dei mercati finanziari e la contrapposizione di interessi nei mercati concorrenziali sono un potente aiuto alla trasparenza e alla correttezza delle pratiche commerciali: ma è una ben strana mano invisibile quella che ha bisogno di essere guidata dall’alto dai satelliti spia; e mostra di non crederci troppo chi se ne avvale. È indubbiamente vero che l’estendersi dell’economia di mercato è il migliore antidoto alle pratiche di corruzione: ma allora questa la si promuove non solo spiando la Thompson in Brasile o Airbus in Arabia Saudita, bensì anche a Seattle, evitando di cavalcare il protezionismo per blandire i sindacati, come ha fatto in quell’occasione l’Amministrazione americana.
Perché dovremmo credere alla moralità di un comportamento immorale? Chi garantisce che i satelliti intercettino solo le cifre delle tangenti delle gare truccate e non trucchino anche le gare intercettando i prezzi? Se mai dovesse nascere il sospetto che una qualche Mani Pulite «oggettivamente» procura un vantaggio comparato alle industrie di un altro paese, sarebbe l’azione stessa dei magistrati ad essere delegittimata. Nessuno deve poter pensare che la lotta alla corruzione risulti in un danno per le imprese europee: Lisbona, dove i capi di governo europei si riuniscono per parlare di disoccupazione e di crescita, è la sede adatta e l’occasione opportuna per una protesta di adeguata fermezza. L’Europa sa di avere molto da apprendere da Adam Smith e dall’America: ricorda la lezione di Reagan, confida nei nuovi amici di Al Gore, ma certo non ha nulla da imparare dai vecchi amici di Lyndon Johnson.

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