Fassino sbaglia sulle tasse, così si perdono le elezioni

marzo 1, 2004


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Piero Fassino parlando sabato a Torino al convegno dei DS sul lavoro, ha buttato là una frasetta per indicare come esempi positivi altri paesi europei in cui il prelievo fiscale giunge sino al 45 del pil.

Piero Fassino parlando sabato a Torino al convegno dei DS sul lavoro, ha buttato là una frasetta per indicare come esempi positivi altri paesi europei in cui il prelievo fiscale giunge sino al 45 del pil. Più di due punti rispetto alla soglia attuale: più tasse, dunque, come aveva proposto Giovanna Melandri insieme a esponenti del “Correntone”. Non ha formalizzato la proposta, e tuttavia la logica dell’intero discorso è più risorse per “più Stato e più welfare”. Una proposta indubbiamente impopolare.

Ora, Fassino è certamente un riformista. Sillogisticamente si ricava la conferma di quanto ha scritto ieri Michele Salvati (“Com’è difficile diventare riformisti”): la solitudine del riformista deriva dall’impopolarità del messaggio.
Nel merito è facile osservare che i paesi europei che hanno più tasse sono proprio quelli che crescono meno di noi o poco come noi. Che l’obbiettivo di avere servizi pubblici migliori non coincide anzi spesso è in contraddizione con la difesa dei dipendenti pubblici, che siano insegnanti, piloti, o tranvieri. Che gli italiani, anche come reazione ai recenti scandali finanziari, tendono a risparmiare di più, e ciò asfissia ulteriormente l’economia, quando poi le famiglie italiane già sono le meno indebitate rispetto a quelle dei paesi competitor. E che in tale quadro annunciare recrudescenze fiscali è l’ultima cosa da fare, contribuisce ulteriormente a deprimere fiducia e consumi. E infine, banalmente, che candidandosi ad alzare le tasse non si vincono le elezioni contro chi ha promesso di abbassarleTutte cose che Piero Fassino sa benissimo, ma che non ha ritenuto di spiegare ai lavoratori DS che affollavano il Lingotto a Torino.
Ma ritorniamo a Salvati, ai tre ostacoli che secondo lui incontra la proposta riformista. il residuo radicalismo di una visione di trasformazione della società; l’apparente inadeguatezza dei rimedi proposti a fronte delle nefandezze e stupidità degli ordinamenti politici; infine una formazione umanistica che predispone a parlare di idee e di valori e non di società e di economia. E’ singolare notare come tutti e tre si ritrovino nella proposta di Fassino: il costruttivismo, l’idea cioè che la politica abbia gli strumenti certi per modificare la società; l’inadeguatezza del rimedio rispetto all’obbiettivo che si propone; e infine la natura della proposta, fondata sui valori e i diritti, anziché sui comportamenti concreti e sugli interessi delle persone.
E’ proprio inevitabile ricadere in questi errori? E’ proprio vero anche oggi, ciò che scriveva Bruno Leoni, e cioè che sia più facile “vendere” populisticamente la “mitologia” di uno Stato che provvede, che plasma la società e gli individui, piuttosto che conquistarli ad un’idea di libertà nel disporre del proprio danaro e del proprio futuro? Non stiamo parlando di idee che hanno mosso la borghesia vittoriana, o l’epopea della conquista del West, ma di qualcosa ha consentito a milioni di persone di uscire dalla povertà economica e di pretendere maggiore libertà politica. O, per restare in Europa, a quelli che hanno consentito a Paesi come l’Irlanda di colmare in una generazione distacchi secolari, e ai Paesi dell’Est di agganciare l’Europa.
Non c’è nessuna ragione per restare succubi delle tre ragioni che elenca Salvati. Dipende solo dalle idee al cui servizio gli uomini politici pongono il proprio carisma, nell’esercizio della rappresentanza popolare. Anche per loro, è solo questione di scelta. Una sinistra che abbracciasse il “più tasse” sarebbe suicida. E non credo affatto che Giuliano Amato, chiamato a scrivere il programma per le Europee, la pensi diversamente.

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