Droga, i limiti del proibizionismo

gennaio 14, 1998


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Un doppio danno subisce il tossicodipendente: oltre a quello che provoca a se stesso con l’assunzione, c’è quello che noi gli infligiamo, colpendolo col nostro stigma, sospingendolo verso l’emarginazione, facendolo vivere a contatto con le terminazioni di una organizzazione criminale che con le nostre leggi continuiamo ad arricchire.
Questo secondo danno ha conseguenze assai più gravi del primo: chi, sentendo il peso di questa responsabilità, sostiene la legalizzazione di tutte le droghe, lo fa dunque sulla base di ragioni morali non meno forti di quelle dei proibizionisti. E, a differenza dei proibizionisti, può poggiare il proprio argomento su solidi fondamenti empirici ed economici. Efficacemente esposti da Martin Wolf in tre lunghi articoli comparsi quest’estate sul «Financial Times», vengono qui ripresi come contributo al dibattito innescato dalle dichiarazioni di Galli Fonseca.

L’industria della droga ha un fatturato mondiale di 400 miliardi di $, ha 400 milioni di fedeli clienti. È’ un’attività imprenditoriale che comporta alti rischi, richiede grandi abilità, consente alti margini. È’ diversa dalle altre attività industriali non perché danneggia i suoi clienti — questo lo fanno anche sigarette, alcool, motociclette — ma solo perché è proibita.
Partiamo dai margini di profitto: l’oppio è pagato al contadino in Pakistan 90$ al chilo, l’eroina è venduta all’ingrosso in loco a 2870 $, negli USA a 80.000 $; al dettaglio, tagliata al 40%, vale 290.000 $. Il magro 3-5% del margine che resta nei Paesi d’origine, contribuisce per quote non irrilevanti al loro Pil: il 7% in Perù, il 9% in Bolivia; è la più importante esportazione dell’Afganistan. Il grosso dei margini lordi si realizza al dettaglio: 300% per la cocaina, 100% per l’eroina sul prezzo all’ingrosso. Questi margini sono resi possibili dall’azione dei governi: limitando l’offerta, fanno aumentare i prezzi. Le polizie riescono a confiscare solo un terzo della cocaina, mentre si calcola che questa percentuale dovrebbe salire al 75% per evitare che si possa scaricare sui prezzi l’aumento di costo che l’attività di polizia fa subire ai trafficanti. Infatti la domanda di droghe è altamente anelastica al prezzo: quindi quello che più si avvantaggia delle confische è il fattore di produzione più scarso, cioè la capacità di organizzarsi e di affrontare i rischi.
L’industria della droga segue leggi economiche come ogni altra industria: deve cioè risolvere problemi di finanza, di distribuzione, marketing, di innovazione. Ha vantaggi — non deve preoccuparsi troppo della qualità del prodotto, e svantaggi — non può avvalersi della legge per far valere i contratti. Come molte industrie, vive in simbiosi con i regolatori: se questi riducono l’offerta, per l’attività regolata aumentano i rischi, ma anche i profitti.
Si calcola che la droga faccia negli USA, direttamente o indirettamente, 20.000 morti all’anno, gran parte riconducibili alla incerta o cattiva qualità del prodotto. Questo numerova messo a raffronto con i 100.000 morti per alcool ed i 400.000 dovuti al tabacco. L’industria della droga produce anche esternalità negative: inquina nella raffinazione, corrompe giudici e poliziotti, diffonde epidemie per l’uso promiscuo delle siringhe (la modalità di assunzione endovena è praticata anche perchè la droga è così cara).Queste esternalità negative non sono dovute allo specifico della droga in sé, ma solo al fatto che la droga è proibita. La proibizione inoltre provoca danni che vanno a carico di larghi strati di popolazione che con la droga non hanno nulla a che fare: i proprietari vedono diminuire il valore degli immobili nei quartieri degradati, partner sessuali corrono il rischio di esserecontagiati dall’AIDS; la guerra alla droga provoca un generale clima repressivo in cui i normali cittadini sono vittime, i trafficanti i vincitori.
Il proibizionismo non diminuisce la diffusione, come dimostra l’esperienza americana dí inizio secolo; la parziale legalizzazione non l’aumenta, come dimostra l’esperienza odierna dell’Olanda, Invece la proibizione crea formidabili incentivi all’espansione dell’industria: un rapporto dell’Onu rileva che, nonostante le spese di prevenzione siano aumentate da 5 miliardi di $ nel 1988 a oltre 12 nel 1993, il prezzo al dettaglio di cocaina ed eroina è diminuito, dunque la disponibilità è aumentata. È quindi dubbio che la totale liberalizzazione farebbe aumentare di molto il numero dei tossicodipendenti. E anche se così fosse, nel conto totale bisogna mettere i danni provocati dall’isteria proibizionista e dalla politica di criminalizzazione: danni nella maggioranza dei casi ben maggiorí di quelli provocati dalla semplice assunzione di droghe.
Anche chi, liberale per convinzione, trova intollerabile di per sé il regime di proibizione, può avere difficoltà a confrontarsi con alcune domande specifiche. Quali droghe dovrebbero essere legalizzate? Quali limitazioni imporre? In base all’età, alla condizioni di dipendenza, ai luoghi di vendita? Come determinare i prezzi di vendita? Si dovrà consentire la pubblicità?
Le distinzioni, tra droghe leggere e droghe pesanti, tra uso personale, produzione e distribuzione, tra vendita libera e vendita su ricetta, possono servire a ridurre i danni che la proibizione impone a tutti, tossicodipendenti e non. Ma poiché ogni limitazione produce un mercato nero, solo un approccio radicale può superare le contraddizioni: tutte le droghe devono essere legalizzate, vendute a tutti gli adulti che le richiedano, in luoghi provvisti di licenza, al prezzo — sottoposto a tassazione — che i fornitori desiderano porre. La pubblicità può essere consentila con limitazioni, analogamente a quanto si è incominciato a fare per il tabacco.
Simili propositi radicali sembrano fatti apposta per suscitare reazioni di rigetto: che però non reggono all’evidenza empirica e alla logica. Un’obiezione riguarda la vendita ai minori: è vero che proibirla creerebbe un mercato nero, ma questo sarebbe troppo piccolo per giustificare una strategia aggressiva da parte dei trafficanti: in USA i consumatori di cocaina di meno di 18 anni erano (negli anni Ottanta) solo il 7% del mercato. Un’altra riguarda la responsabilità del venditore: come oggi per il tabacco — ma non per gli alcolici — í rischi derivanti dall’assunzione dovrebbero essere chiaramente indicati, ma la responsabilità del venditore dovrebbe coprire solo il tipo, la potenza e la qualità del prodotto.
Sottrarre alla malavita proventi dell’ordine di 400 miliardi di dollari all’anno sembrerebbe di per sé un obbiettivo della massima importanza. È vero, l’industria del crimine dovrebbe trovare altre attività illegali a cui applicarsi: legalizzati prostituzione e gioco, potrebbero sviluppare il racket delle estorsioni. Ma, a diffe¬renza che per la droga, in quel caso il «cliente» non vuole ciò che gli viene offerto, ed è più pronto a collaborare con le autorità.
Le società mature devono riconoscere, come scrive Martin Wolf, che per certi vizi bisogna usare la tolleranza: le alternative infatti conducono perlopiù a risultati ancora peggiori.

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