Disegno di Legge: Privatizzazione delle banche controllate da fondazioni/associazioni

luglio 3, 1996


Pubblicato In: Varie

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa del senatore DEBENEDETTI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 LUGLIO 1996

Privatizzazione delle banche controllate
da fondazioni/associazioni

INDICE

Relazione       . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3

Disegno di legge:

Titolo I – Definizioni e finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »          14

Titolo II – Dismissione delle partecipazioni degli enti

conferenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »          16

Titolo III – Modalità delle dismissioni . . . . . . . . . . . . . . . . »          21

Titolo IV – Disposizioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »     27

 

ONOREVOLI SENATORI. – Nel corso della passata legislatura già si propose un dise­gno di legge (Atto Senato n. 2080) con lo scopo di definire una procedura per la di­smissione di banche possedute da fondazio­ni/associazioni bancarie. Esso ha contribui­to a rendere ancora più avvertita questa esi­genza, ma la situazione da allora non è so­stanzialmente mutata. I molti consensi in­ducono a riproporlo, le critiche a integrarlo con norme che ne facilitino l’applicazione, gli uni e le altre a meglio chiarirne gli obiettivi.

In occasione dell’assemblea dell’Associa­zione bancaria italiana (ABI) del 26 giugno 1996, il presidente Tancredi Bianchi ha af­fermato che «il problema delle privatizza­zioni bancarie si e fatto ancor più urgente; giova alla razionalizzazione e alla ristruttu­razione del sistema, ormai indifferibili. L’associazione è consapevole che occorre tutelare patrimoni di fatto di proprietà col­lettiva, ma reputa che lo spirito della legge Amato-Carli sia stato quello di liberare l’amministrazione di tali patrimoni, in tutto o in parte, dal collocamento in attività ban­carie; favorendo l’ingresso nelle banche di nuovi soggetti giuridici e di investitori isti­tuzionali, rendendo ancor più realizzabili alle fondazioni fini altamente sociali, e, nel contempo possibile la ristrutturazione del sistema creditizio… La composizione dei fi­ni sopra indicati può consigliare di seguire una via graduale, ma ben definita come percorso… L’obiettivo deve rimanere quello di progressivamente ridurre e al limite an­nullare il peso delle fondazioni nelle scelte strategiche delle banche, sottraendosi a un immaginato vincolo di dover conservare il più a lungo possibile, alle fondazioni mede­sime, il controllo delle aziende di credito».

Nel successivo intervento, Carlo Azeglio Ciampi, Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dopo

aver ricordato i meriti della legge Ama­to-Carli (legge 30 luglio 1990, n. 218) che sdoppiando gli «enti pubblici bancari in fondazioni e in società per azioni ha sepa­rato, anche se non ha del tutto disgiunto, due anime che si erano trovate a convivere in uno stesso istituto» ha affermato di esse­re stato cosciente «che quello era solo un primo passo, che doveva essere seguito da un secondo: quello della dismissione da parte delle fondazioni delle partecipazioni nelle aziende bancarie, sì da permettere ad ambedue gli istituti di diventare definitiva­mente autonomi, liberi ambedue di perse­guire, secondo la propria natura, le proprie, ben diverse, finalità». Tuttavia, ha prosegui­to Ciampi, «la legge Amato-Carli, risolvendo un problema, ne disvelava altri: in primo luogo quello della proprietà. Certo, la priva­tizzazione della forma giuridica ha portato a compimento quella mutazione genetica che ha tradotto in imprese enti che pochi anni prima la giurisprudenza indicava co­me fornitori di servizi pubblici, con il ri­schio di volerli trasformare in strumenti esecutivi di attuazione di specifici program­mi economici. Tuttavia la persistente preva­lenza dell’assetto proprietario pubblico con­tinua ad essere di ostacolo, anche se non è più di impedimento». Dopo aver ricordato che il numero delle casse di risparmio si è ridotto da 82 a 73 per operazioni di fusio­ne, che solo sei casse di risparmio sono possedute interamente dalla fondazione ori­ginaria, che azionisti privati sono presenti in posizione minoritaria in due ex istituti di diritto pubblico e in 24 casse di risparmio trasformate, e che banche di proprietà pri­vata hanno acquisito il controllo di altre due casse, Ciampi ha affermato che «la di­versificazione della proprietà è tuttavia mo­desta. Occorre un rinnovato, vigoroso im­pulso alla diversificazione degli assetti pro­prietari delle società bancarie». Ha annun ciato di avere istituito presso il Ministero del tesoro un gruppo di lavoro le cui propo­ste «potranno divenire oggetto di atti am­ministrativi e di disegni di legge. Il risultato da ottenere è l’allentamento dei troppo stretti legami tra la fondazione e la banca… Ciò non implica di necessità l’estromissione della fondazione dalla banca, se essa inten­de restare azionista. Implica tuttavia, alla fine di un processo graduale, la perdita del controllo sull’azienda bancaria da parte del­la fondazione… Una cura non minore di quella rivolta alla banca dovrà essere dedi­cata all’evoluzione delle fondazioni… in un momento in cui emerge la necessità per gli equilibri economici e sociali del paese, di avvalersi di un forte terzo settore, che si dia carico di compiti oggi impropriamente svol­ti dallo Stato… Solo l’evoluzione delle fon­dazioni in siffatta direzione può confermare il loro diritto morale di disporre di patrimo­ni, anche ingenti, accumulati nel corso dei secoli, mercè la laboriosita, la parsimonia, il senso civico di comunità solidali e legate al loro territorio».

Recenti citazioni a confermare il vasto, autorevole consenso che:

le fondazioni detengono il controllo delle banche e ciò determina la persistenza di un prevalente controllo pubblico sulle stesse;

il processo di privatizzazione, iniziato con la legge Amato-Carli e coerentemente perseguito da successivi atti di governo, de­ve portare alla perdita del controllo delle banche da parte delle fondazioni;

la permanenza del controllo delle ban­che è ostativa allo svolgimento, da parte di queste, alla funzione sociale che costituisce la loro finalità e conferisce il diritto morale al possesso dei loro patrimoni;

il processo deve essere graduale ma ben definito come percorso, e dovrà essere favorito da atti amministrativi o da disposi­tivi di legge.

Si sono analizzate le ragioni per cui l’au­spicato processo procede così a rilento e con tante resistenze. Non ci si nasconde che è in molti casi di ostacolo il desiderio, da parte delle fondazioni, di non perdere il

potere che indirettamente conferisce il con­trollo di attività bancarie. Ciò impedisce non solo la privatizzazione, ma anche il processo di concentrazione, uno dei passag­gi necessari per aumentare la redditività e l’efficienza del sistema. Ma esistono anche altre obiettive difficoltà: la bassa redditività delle banche ne deprime il valore, rendendo a volte impossibile il collocamento; in ogni caso la loro vendita determinerebbe una minusvalenza rispetto ai valori di carico; la legislazione vigente non fornisce adeguati strumenti per attivare le forze di mercato necessarie per un simile processo di dismis­sioni; la grande rigidità dei contratti di la­voro nel settore rende difficile per le ban­che adeguare i propri organici, quantitati­vamente e qualitativamente, alle mutate si­tuazioni di mercato al fine di aumentare la redditività in tempi brevi. Dal lato delle fon­dazioni, le rigidità impediscono di trarre tutti i benefici dalle concentrazioni, la tra­sformazione dei loro obiettivi richiede pro­fessionalità nuove che stentano ad affer­marsi, mentre gli ingenti patrimoni immo­bilizzati in attività a basso reddito privano le fondazioni delle risorse da investire negli scopi che tutti concordano di voler perse­guire. Esiste anche un’inerzia collettiva che si salda con la tradizionale, e in certa misu­ra doverosa cautela, nel por mano a cam­biamenti della struttura proprietaria del set­tore. Per questi motivi si ritiene che sia ne­cessario fornire alle fondazioni uno stru­mento di legge che ne definisca con preci­sione gli obiettivi, che elimini le obiettive difficoltà, che fornisca strumenti per facili­tare le dismissioni, che definisca un proces­so e ne fissi i limiti temporali; si ritiene che questo strumento sia utile agli amministra­tori delle fondazioni per superare inerzie e opposizioni, quelle che finora hanno impe­dito al processo di svolgersi in tempi che si vogliono ragionevoli ma che si sanno inde­rogabili.

Obiettivi

Il presente disegno di legge si propone di definire una procedura per la dismissione delle banche possedute dalle fondazioni/as­sociazioni bancarie:

a)      preservando il patrimonio delle fon­dazioni/associazioni e i loro legami storici e culturali con le realtà locali in cui hanno tradizionalmente operato;

b)   creando le condizioni affinchè le fondazioni/associazioni possano sviluppare la propria attività nel settore non-profit;

c)    favorendo lo sviluppo del mercato dei titoli mobiliari, attraverso la diffusione della proprietà azionaria, la creazione di nuovi investitori istituzionali e lo spessore delle contrattazioni;

d)   assicurando particolari incentivi ai dipendenti, ex dipendenti e clienti delle banche, e quindi alla comunità a cui preva­lentemente si rivolge l’opera delle fondazio­ni/associazioni;

e)    favorendo la ristrutturazione e quin­di la maggiore efficienza del settore;

f)        nel rispetto di uguali diritti a tutti i cittadini;

g)    in tempi certi;

h)   senza la necessità di un intervento di imperio da parte degli organi di control­lo o di governo, altro che per le funzioni di vigilanza.

Le banche e le privatizzazioni

La recente, e travagliata, esperienza ita­liana con le privatizzazioni delle imprese pubbliche ha messo in luce le carenze del nostro mercato dei capitali e l’assoluta ne­cessità che gli investitori istituzionali, vale a dire fondi di investimento, fondi pensione, banche e assicurazioni, sviluppino in tempi rapidi la propria attività in modo tale da giocare un ruolo sempre maggiore nel no­stro sistema finanziario. Gli investitori isti­tuzionali sono necessari per reperire ed or­ganizzare le risorse richieste per l’acquisi­zione delle aziende da privatizzare. Sono anche indispensabili perchè, al fine di otte­nere l’aumento di efficienza che ci si ripro­mette dal generale processo di liberalizza­zione dell’economia in corso in Italia come nel mondo, occorre che la concorrenza ope­ri non solo nel mercato dei beni e dei servi­

zi, ma anche nel mercato dei diritti di pro­prietà. In particolare, non basta che venga­no favoriti assetti proprietari largamente ri­partiti e diffusi: bisogna saper acquisire le informazioni e disporre delle competenze necessarie a svolgere il ruolo di supervisio­ne dell’operato del management. Questo è il ruolo degli investitori istituzionali nei mer­cati evoluti. Anche dove si pensi che preval­gano ragioni per il mantenimento, seppur provvisorio, di monopoli naturali, la con­correnzialità potrà essere garantita solo se chi ritiene di essere più efficiente ha la pos­sibilità di sostituirsi alla vecchia proprietà e di sostituire il management esistente. Per­chè questo avvenga, è necessaria una Borsa efficiente, che presuppone l’esistenza di in­vestitori istituzionali con notevoli capacità finanziarie.

È anche per la mancanza di investitori istituzionali, oltre che per resistenze di na­tura culturale ed ideologica, che il processo di privatizzazione si sta muovendo con tan­ta lentezza. Nella situazione italiana il ruolo delle banche risulta particolarmente rile­vante, sia per la temporanea supplenza che ad esse incombe stante la tardiva partenza dei fondi pensione, sia per la loro azione nell’organizzare e garantire il collocamento dei titoli azionari presso il pubblico. La pri­vatizzazione del sistema creditizio, dunque, avrebbe dovuto precedere la privatizzazione delle altre imprese pubbliche. Mentre l’IRI ha dapprima venduto alcune banche da es­so possedute, le Casse di risparmio e gli al­tri istituti di credito detenuti da fondazio­ni/associazioni bancarie, già di diritto pub­blico, risultano ancora largamente possedu­te dalle rispettive fondazioni/associazioni, nonostante le sollecitazioni per promuover­ne una rapida dismissione.

Le fondazioni/associazioni nella legislazione bancaria

La storia delle attività creditizie gestite da fondazioni/associazioni è assai varia, quanto la storia d’Italia.

Per citare solo alcuni esempi significativi, le Casse di risparmio si svilupparono a par tire dalla seconda metà del secolo scorso al­lo scopo di incoraggiare e tutelare il piccolo risparmio delle classi più povere. In quel periodo lo status delle Casse non era di isti­tuti creditizi, ma di istituzioni di pubblico interesse, pur essendo la loro attività econo­mica produttiva di una remunerazione, sia pure contenuta, del risparmio raccolto. Da tale origine storica derivarono profonde in­certezze circa la loro corretta qualificazione giuridica. Quando le Casse si trasformarono in banche a tutti gli effetti, questa ambi­guità si accentuò con l’aumentare del credi­to raccolto e la richiesta di una maggiore competitività sul mercato del credito.

L’iter già di per sè accidentato dell’evolu­zione storica delle Casse fu anche segnato da profondi interventi del legislatore e della giurisprudenza.

La legge 15 luglio 1888, n. 5546, «portan­te il riordinamento delle Casse di rispar­mio», dettò una disciplina unitaria che, pur tenendo conto delle due anime che in essa convivevano, portò le Casse fuori sia dalla disciplina esistente per le opere pie, sia da quella propria degli istituti creditizi. La leg­ge del 1888 realizzava la separazione delle Casse dai propri fondatori e fissava le rego­le per garantirne la solidità patrimoniale e reprimere eventuali abusi nella loro ammi­nistrazione. Il legislatore del 1888, prenden­do atto della realtà bancaria delle Casse, ne realizzò la definitiva attrazione nell’orbita statale.

Anche la legge bancaria del 1926 (regio decreto-legge 7 settembre 1926, n. 1511), pur facendo salve le disposizioni speciali, compresa l’attribuzione della vigilanza al Ministro dell’agricoltura (e non al Ministro delle finanze cui veniva affidato il controllo delle altre aziende di credito), prendeva atto della prevalente realtà bancaria e stabiliva che una larga parte delle norme bancarie trovassero applicazione anche per gli enti qui in oggetto. Questo processo di sovrap­posizione prosegue con la legge bancaria del 1936-38 (regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, poi rinnovato col regio decre­to-legge 17 luglio 1937, n. 1400, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 aprile 1938, n. 636) che, incasellando le Casse come una

delle categorie di aziende di credito, dichia­ra applicabili ad esse tutte le norme dettate per le altre aziende di credito e le sottopone al controllo delle autorità creditizie. Tutta­via la categoria delle Casse di risparmio continuò ad essere retta da una disciplina propria, che trova fondamento nelle norme di legge, nei provvedimenti dell’autorità di vigilanza e nelle norme statutarie.

Le particolarità dello «statuto speciale» delle Casse cominciarono ad essere ridi­mensionate a partire dagli anni ’50 (signifi­cativo il provvedimento che sottopone an­che le Casse all’obbligo della riserva obbli­gatoria): ciò contribuisce a mettere in rilie­vo la loro natura di imprese bancarie e a collocare in posizione marginale le esigenze di pubblica assistenza e previdenza che ne avevano caratterizzato l’origine storica. Nel­la stessa direzione era orientato lo statuto tipo approvato dal Comitato interministe­riale per il credito nel 1966.

Sempre a titolo esemplificativo, si può ri­cordare che la legge bancaria del 1936-38 individuava come istituti di credito di dirit­to pubblico il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca nazionale del lavoro, l’Isti­tuto bancario San Paolo di Torino e il Mon­te dei Paschi di Siena, ai quali si aggiunse nel 1944 il Banco di Sardegna. Ciascuno di tali soggetti aveva alle proprie spalle un’ori­gine ed una storia diversa e la loro parifica­zione nella legge bancaria rispose, secondo alcuni autori, ad una mera esigenza di clas­sificazione di una categoria residuale piut­tosto che all’individuazione di caratteristi­che soggettive ed organizzative comuni a tali enti.

Con la legge 30 luglio 1990, n. 218 (cosid­detta «legge Amato», o «Amato-Carli»), ed il successivo decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, le banche pubbliche sono state oggetto di una prima ristrutturazione, rea­lizzata tramite operazioni societarie che, fa­vorite da incentivi di carattere fiscale, mira­vano alla trasformazione delle stesse in so­cietà per azioni ovvero al conferimento del­le rispettive «aziende bancarie» in società per azioni di nuova costituzione. La proce­dura prevista dalla predetta legge si è però nei fatti limitata ad approntare un’unifor mazione delle strutture giuridiche delle banche in questione (concentrando cioè la struttura operativa delle diverse «aziende bancarie» in una società per azioni e la­sciando alla fondazione/associazione esclu­sivamente il ruolo di proprietaria delle par­tecipazioni), ma non ha in effetti portato a significative modificazioni a livello settoria­le. Infatti, la possibilità prevista dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, di ri­durre la partecipazione delle fondazioni/as­sociazioni nel capitale delle banche al di sotto della soglia di controllo venne subor­dinata all’autorizzazione del Ministro del te­soro, e quindi non fu di immediata pratica­bilità. Tale obiettivo fu ribadito e perseguito dalla direttiva del Ministro del tesoro del 18 novembre 1994, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 22 novembre 1994 (co­siddetta «direttiva Dini»), nella quale si enuncia la necessità di sviluppare l’attività delle fondazioni/associazioni nei settori di interesse generale e di utilità sociale, attra­verso la diversificazione del rischio di inve­stimento del patrimonio, la riduzione pro­gressiva delle partecipazioni nelle ban­che-società conferitarie e la salvaguardia del valore economico del proprio patrimo­nio. Anche tale direttiva, pur rappresentan­do un importante punto di riferimento nel tentativo di risolvere le problematiche del settore in questione, si è scontrata con la li­mitata forza cogente dovuta alla sua natura di provvedimento ministeriale e non legisla­tivo. In particolare la direttiva incoraggia la dismissione delle partecipazioni bancarie tramite incentivi fiscali; questo tipo di in­centivo funziona soltanto per quegli agenti economici che hanno come obiettivo la ri­cerca del profitto massimo, obiettivo che non necessariamente rientra tra quelli della maggioranza delle fondazioni/associazioni bancarie. La direttiva inoltre può essere soddisfatta anche con la dismissione di una parte minima della partecipazione banca­ria, se si opta per la parte della direttiva che richiede la diversificazione dei redditi della fondazione/associazione. Poichè i red­diti prodotti dalla banca partecipata sono tipicamente modesti, molto al di sotto dei rendimenti ottenibili sul mercato, basta una

dismissione contenuta per ottenere le risor­se da investire in attività che generino una proporzione elevata del reddito delle fonda­zioni/associazioni.

Status giuridico delle fondazioni/associazioni bancarie

Quella di definire natura e status giuridi­co delle fondazioni/associazioni è sempre stata una difficoltà. Acceso fu fin dall’inizio della loro regolamentazione il dibattito su ragioni e contenuto della natura pubblica delle Casse. Nonostante la citata legge ban­caria del 1936-38 non contenesse nessuna norma che definisse le Casse come enti do­tati di personalità giuridica pubblica, tutta­via la dottrina e la giurisprudenza erano unanimi nel ritenere che le Casse fossero enti pubblici economici, pur non essendo facile cogliere le ragioni di tale pubblicità. Questa andava probabilmente rintracciata nell’obiettivo delle Casse: raccogliere rispar­mio e tutelarlo a beneficio delle classi so­ciali meno ricche. Al fine di perseguire tale scopo, la disciplina speciale delle Casse de­stina a fini di beneficenza e di pubblica uti­lità un fondo di dotazione e gli incrementi dello stesso, con divieto di ogni distrazione anche dei proventi, con la sola eccezione di una parte degli utili. Tale fondo è dunque un fondo pubblico che non può essere sot­tratto all’ente che lo gestisce. Questa pro­spettiva aveva un’immediata conseguenza sul piano organizzativo: la gestione dell’ente doveva essere conservata in mano pubblica. Ciò generò una serie di problemi: impossi­bilità di aumentare il proprio patrimonio altro che con l’autofinanziamento; mancan­za di una vera dialettica tra organi di ge­stione ed organi di controllo; intralci alla li­bertà operativa derivanti dalla tassatività delle forme di impiego. Le varie riforme in­trodotte per via amministrativa non poteva­no risolvere in radice l’ambiguità derivante dall’essere ad un tempo imprese e opere pie.

Questa ambiguità è stata sciolta con la già ricordata legge 30 luglio 1990 n. 218: questa, più che come uno scorporo dell’azienda bancaria dall’involucro dell’ente pubblico creditizio originario, può essere letta come depurazione dell’impresa banca­ria, riorganizzata in forma di società per azioni, da «scorie» rappresentate dalle atti­vità collaterali che servivano più che altro a promuovere l’immagine della Cassa o della Banca. È ora necessario che le fondazio­ni/associazioni superino la crisi di identità, riscoprendo una precisa vocazione sociale o culturale. Le fondazioni/associazioni, stabil­mente collocate nel diritto privato, potran­no allora costituire il pendant delle società per azioni: queste aventi per oggetto attività a fini di lucro, quelle regolate come organi­smi non-profit, tanto più utili nella realtà economica contemporanea dove si accentua l’orientamento verso un maggiore concorso dei privati nella gestione di servizi pubblici, culturali, formativi ed assistenziali.

Fedeli alla loro origine, le fondazioni/as­sociazioni investiranno il loro patrimonio al solo scopo di produrre profitti per finanzia­re le attività istituzionali non-profit e di per­mettere interventi duraturi nel persegui­mento dei loro scopi istituzionali. Investi­ranno prevalentemente il loro patrimonio in un portafoglio diversificato di attività finan­ziarie. Potranno detenere partecipazioni in banche ed imprese, purchè non di control­lo. A maggior garanzia, la gestione delle ri­sorse finanziarie delle fondazioni/associa­zioni avverrà attraverso il velo di un investi­tore professionale.

I vertici delle fondazioni/associazioni sa­ranno responsabili di come hanno investito il patrimonio e utilizzato il reddito per il raggiungimento degli scopi istituzionali nei settori di elezione.

Oggi, la proprietà di banche da parte del­le fondazioni/associazioni produce la visto­sa anomalia di soggetti che controllano uno strumento così vitale come il credito, che detengono o possono detenere importanti partecipazioni azionarie, che dovrebbero esercitare il ruolo di supervisione del mana­gement delle aziende in cui hanno investito, e che sono di fatto esse stesse sottratte ai meccanismi di supervisione, quando non sono, secondo una prassi non dimenticata,

espressione della volontà e della spartizione compiuta dal potere politico.

Convertite le partecipazioni delle fonda­zioni/associazioni in valori mobiliari nego­ziabili sul mercato, separato il controllo dalla proprietà, riorientata l’attività sulla prudente diversificazione del proprio patri­monio e sull’impiego del reddito che ne de­riva, cadrà la principale ragione del legame con il potere politico. Saranno in quel mo­mento possibili ed opportune iniziative legi­slative, come la revisione del libro I, titolo II, capo II del codice civile, volte a definirne con precisione lo stato giuridico, radicando­le chiaramente nel diritto privato.

Gli ostacoli alle dismissioni.

Per spiegare perchè le fondazioni stenta­no a dismettere le loro partecipazioni, e per suggerire invece un processo lento, gradua­le e non guidato dal mercato, si adducono queste principali ragioni:

a causa della bassa redditività delle banche, il prezzo di cessione sarebbe ecces­sivamente ridotto, probabilmente inferiore al valore di carico;

data l’entità complessiva delle banche da vendere, sul mercato si produrrebbe un intasamento che deprimerebbe ulteriormen­te i valori;

per le cause precedenti, esiste il rischio di una concentrazione monopolistica nel settore bancario.

Per quanto riguarda il prezzo, bisogna notare che in molti casi il valore di carico e’ stato artificialmente aumentato con le riva­lutazioni consentite dalla legge Amato, e che esso non tiene conto di beni di scarsa o difficile smobilizzazione, come immobili o crediti di dubbia esigibilità. Esigenze di tra­sparenza hanno indotto a porre in capo alle fondazioni l’obbligo di redigere i bilanci se­condo i criteri degli articoli 2423 e seguenti del codice civile e viene consentito di ridur­re il valore della partecipazione fino al limi­te della rivalutazione ai sensi della predetta legge e, se necessario, attingendo da altre riserve. Se il prezzo della successiva cessio ne dovesse risultare superiore, si dispone che non costituisca realizzo di plusvalenze la vendita fino al concorrere della svaluta­zione così effettuata. In tal modo la con­gruità del prezzo di cessione viene riferita a valori reali, e si evita di bloccare l’operati­vità della fondazione successiva alla vendi­ta, quando gli statuti della medesima preve­dano che erogazioni possano aver luogo so­lo dopo avere ricostituito il patrimonio.

Il mercato azionario dimostra che la va­lutazione delle banche dipende in primo luogo dalla loro redditività, e questa a sua volta è largamente influenzata negativa­mente dalla rigidità nell’impiego del perso­nale. Un recente studio dell’Assicredito rile­va che il costo per addetto, a parità di pote­re d’acquisto, è in Italia il più elevato, pari a 105,8 milioni di lire per addetto, contro i 76,2 della Germania, gli 80,7 della Svizzera ed i 63,2 degli Stati Uniti. Una maggiore ef­ficienza delle banche non è solo nell’interes­se delle fondazioni che le controllano, ma del sistema economico in generale: per que­sta ragione si sono estese alle banche priva­te le disposizioni di integrazione salariale straordinaria e di trattamento di mobilità che valgono per le imprese industriali.

Non ha grande fondamento invece l’obie­zione che le fondazioni riuscirebbero a spuntare prezzi più vantaggiosi a ristruttu­razione avvenuta. Il prezzo che l’acquirente è disposto a pagare corrisponde infatti al valore netto attualizzato, cioè alla redditi­vità futura depurata dai costi di ristruttura­zione. È plausibile che il nuovo acquirente sia più efficiente dei vecchi proprietari in questa azione, cosa che concorre a rendere più conveniente per la fondazione dismette­re la sua partecipazione prima di ristruttu­rarla.

È invece sicuramente vero che l’offerta di un gran numero di banche in un periodo di tempo ridotto diminuisce il ricavo ottenibi­le dalla vendita. È tuttavia altrettanto vero che il diritto morale a disporre di ingenti patrimoni, di cui parla il ministro Ciampi, impone alle fondazioni obblighi non solo verso le comunità locali in cui sono cresciu­te e ove sono radicate, ma anche verso la collettività nazionale; è anche grazie all’atti­

vità economica del Paese in generale che ta­li patrimoni si sono formati: e la privatizza­zione delle banche corrisponde, come è ri­conosciuto dai più, e come testimoniano le azioni concordi di tutti gli ultimi governi, ad un interesse generale del Paese.

Nel valutare l’interesse complessivo per le fondazioni dell’operazione di dismissione bisogna infine considerare il costo opportu­nità, cioè la differenza tra il rendimento dell’investimento in attività bancarie e quel­lo di investimenti alternativi, normalmente assai più elevati. Ogni anno perso a diversi­ficare i propri investimenti produce diffe­renze negative di rendimento che nel breve volgere di pochi anni più che compensa eventuali minusvalenze. Naturalmente le somme ricavate dalle vendite devono essere investite in modo prudente, diversificato e non tale da prefigurare l’acquisizione del controllo in altre attività industriali: si sono perciò specificati i criteri di investimento, di redditività dei proventi delle dismissioni, nonchè le finalità a cui la loro erogazione deve essere destinata.

Resta infine l’obiezione del tempo ridotto che il presente disegno di legge prevede per l’intero processo. Si deve trovare un compromesso tra le esigenze del Paese, anche in relazione al processo di priva­tizzazione delle aziende di stato, e le esi­genze delle fondazioni: il tempo indicato dovrebbe adeguatamente coprire i tempi tecnici per l’individuazione dei possibili acquirenti, la negoziazione, la stipula dei contratti. Un’altra ragione per non esten­dere eccessivamente il tempo a disposizione è quella di ridurre, indicando un tempo ridotto, la possibilità pratica per un gruppo limitato di soggetti di reperire i mezzi finanziari necessari per un massiccio ra­strellamento. Un certo processo di concen­trazione del sistema creditizio è indispen­sabile per aumentare l’efficienza di un si­stema caratterizzato da eccessiva frammen­tazione e dalla presenza di unità di di­mensione eccessivamente ridotta. Ove poi si tema il rischio di concentrazioni mo­nopolistiche, si deve ricordare che ad evi­tarlo provvede la vigilanza della Banca d’Italia e delle autorità preposte alla tutela della concorrenza. Preoccupazioni in tal senso rivelano il loro carattere strumentale.

Proprio perchè intende non solo preserva­re, ma anzi valorizzare le fondazioni/asso­ciazioni, riportandole al loro ruolo origina­rio di istituzioni private operanti nei settori non-profit, il presente disegno di legge offre alle fondazioni/associazioni una serie di op­zioni per servire al meglio i propri interessi, e insieme ottemperare alle direttive gover­native di procedere alla alienazione delle partecipazioni bancarie.

È stata anche posta attenzione anche al mantenimento del carattere locale delle banche, nel modo che risulterà chiaro dall’illustrazione della proposta.

Procedure di dismissione

Illustrate le ragioni della cogenza di pri­vatizzare le banche possedute da fondazio­ni/associazioni per realizzare quella svolta storica nelle funzioni e compiti dell’ammi­nistrazione dello Stato, che delle privatizza­zioni è il significato ultimo, riportato il pro­blema del prezzo dal campo ideologico all’unico che gli è proprio, ossia quello dell’incontro tra domanda ed offerta, distin­te le preoccupazioni condivise dalle obiezio­ni strumentali, si intendono esporre i criteri base su cui poggia il presente disegno di legge.

Dapprima si stabiliscono alcuni criteri per far sì che di vendite effettive si tratti, e non di modi per aggirare l’impegno a ven­dere. Successivamente si offrono alle fonda­zioni/associazioni due percorsi: uno volon­tario ed uno automatico. I due percorsi non sono in alternativa tra loro, sicchè – e si ri­tiene che possa essere il caso più frequente – la fondazione/associazione si potrà avvale­re di entrambi.

Al percorso volontario vengono assegnati diciotto mesi: durante questo tempo la fon­dazione/associazione potrà usare le proce­dure tradizionali: trattativa diretta, asta pubblica, offerta pubblica di vendita. La fondazione/associazione può mantenere fi­no ad un massimo del 15 per cento delle azioni della banca controllata e, quindi,

non si preclude alla fondazione/associazio­ne di rimanere un importante azionista del­la banca. In questo periodo, tuttavia, si am­mettono operazioni che possano riguardare banche ancora di proprietà delle fondazio­ni/associazioni al fine di favorire il processo di concentrazione. Con la sola esclusione dei soggetti che si trovano in conflitto di in­teressi, nessun vincolo viene posto quanto a scelta dell’acquirente o degli acquirenti, nè quanto a frazionamento, ferma restando ov­viamente la funzione di vigilanza e tutela della Banca d’Italia. Il mantenimento della natura locale delle banche e la garanzia che vengano mantenuti eventuali rapporti tradi­zionali con le attività economiche locali so­no elementi la cui valutazione viene lasciata alla discrezionalità degli amministratori delle fondazioni/associazioni. Facilitazioni sono previste per dipendenti, ex dipendenti e clienti.

Il secondo percorso, quello automatico, può essere imboccato dalla fondazione/as­sociazione nel momento che ritiene più op­portuno, ma diventa obbligatorio dopo che siano trascorsi diciotto mesi; esso riguarda la totalità delle azioni al momento ancora possedute dalla fondazione/associazione. Il diritto ad acquistare tali azioni viene offer­to, come buono di acquisto, ai dipendenti presenti e passati dell’intero gruppo, ai clienti persone fisiche sia della banca che di eventuali società da essa possedute, e ciò analogamente a quanto previsto dal decre­to-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, sulle privatizzazioni. È nel concreto di questi rapporti, infatti, che si materializza il carattere locale delle banche in questione. I buoni di acquisto sono libe­ramente cedibili e verranno obbligatoria­mente trattati in Borsa per un periodo di tre mesi. Il buono dà diritto ad acquistare un’azione della banca a tre volte il prezzo medio che verrà rilevato negli ultimi due mesi di contrattazione. Essendo pratica­mente impossibile che tutti coloro che han­no ricevuto il buono intendano sottoscrive­re, non si darà il caso che non ci siano scambi e quindi non si registri prezzo. È previsto che gli elenchi degli aventi diritto ai buoni siano resi disponibili a chi ne fac­cia richiesta, al fine di consentire la forma­zione di canali di comunicazione persona­lizzati, ed accelerare così la creazione di un mercato dei buoni. Per aumentare la signi­ficatività e trasparenza del prezzo, qualora nei primi tre mesi di negoziazione il volu­me dei buoni di acquisto scambiati non ec­ceda una determinata proporzione del quantitativo dei buoni di acquisto distribui­ti, che viene stabilito preventivamente dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) tenuto conto delle dimen­sioni della banca, il termine per la negozia­zione viene esteso di altri tre mesi. Per ga­rantire la trasparenza è previsto che tutte le negoziazioni passino dai mercati regola­mentati.

Col procedere delle contrattazioni, si sta­bilizzerà il prezzo del buono: il suo valore medio rappresenterà il 25 per cento del prezzo di acquisto dell’azione. Chi infatti volesse acquistare un’azione della banca, sia perchè non è un assegnatario originario del buono, sia perchè volesse incrementare la quantità di azioni che desidera sottoscrive­re, dovrà comperare prima il buono in bor­sa, diciamo a 100, e poi esercitare il diritto a comperare che il buono assegna, versan­do, alla fondazione/associazione che cede, tre volte il prezzo di borsa del buono, vale a dire 300. Il costo totale per l’acquisto di un’azione per lui è quindi 400. Il vantaggio economico di chi riceve inizialmente il buo­no sono le 100 che non deve pagare per ot­tenerlo. Per lui il costo dell’acquisto di un’azione è solo 300. Il 25 per cento del prezzo di collocamento è dunque il vantag­gio che viene concesso a coloro che intrat­tengono rapporti con la banca. È interes­sante notare che la preferenza sul prezzo spetta solo ad una particolare categoria di cittadini, mentre il diritto ad acquistare è offerto a chiunque intenda partecipare al mercato.

Il prezzo che in tal modo si determina è, per definizione, il prezzo «vero», quale si determina nelle concrete condizioni del mercato in quel momento. La fondazio­ne/associazione ha la possibilità di usare uno o entrambi i percorsi, e per i quantita­

tivi di azioni di sua scelta: le due possibilità interagiscono positivamente tra loro. La fondazione/associazione ha un incentivo, durante i primi diciotto mesi, a cercare ac­quirenti per trattativa diretta, potendo così scegliere i soci di proprio gradimento; o lanciare una offerta pubblica di vendita (OPV), durante i primi diciotto mesi, essen­do minore l’entità dello sconto, e possibil­mente anche il quantitativo di azioni, che deve riservare a dipendenti e correntisti. D’altra parte, la possibilità che si crei un mercato, prima dei buoni e poi delle azioni, per quote non di controllo, serve a riportare i prezzi ai livelli di mercato: ciò agisce da garanzia per i compratori che desiderino acquisire quote di controllo, e quindi ne au­menta l’interesse.

La fondazione/associazione potrebbe an­che decidere di emettere buoni per quanti­tativi che spingano a lanciare un’offerta pubblica di acquisto (OPA) per il controllo, nella convinzione di recuperare in tal modo lo «sconto» a dipendenti e correntisti. Quo­te rilevanti, anche se di minoranza, potreb­bero essere attraenti per gruppi di operatori economici che ritengano i propri interessi meglio serviti da un ancoraggio della banca alle realtà locali.

Trascorsi i termini assegnati sia alla ven­dita diretta o OPV tradizionale (diciotto mesi), sia alla negoziazione dei buoni di ac­quisto (quattro mesi), ove la fondazione/as­sociazione risulti detenere ancora una par­tecipazione, i suoi vertici verranno sostituiti da un commissario straordinario nominato dal Ministero del tesoro, il quale provvederà alla vendita dell’intera partecipazione al momento detenuta: si deve infatti ritenere che in tal caso sussistano o ragioni di vo­lontà soggettiva o di difficoltà oggettive che impongono al Governo di prendere in mano direttamente la gestione del problema.

Il disegno di legge definisce dunque una procedura di intervento completa e com­prensiva di tutte le possibili situazioni che si possono verificare. La procedura inoltre non richiede alcun intervento da parte degli organi di controllo o di governo, la loro azione restando concentrata sulla funzione di vigilanza. Anche il ruolo degli advisor e degli underwriter nella determinazione del prezzo, sovente origine di ritardi e fonte di discussioni quando non di contenzioso, è li­mitato e non necessario nel caso della pro­cedura obbligatoria. Un ruolo centrale viene svolto dal mercato. I buoni, la probabile quotazione delle azioni nelle quali essi ver­ranno convertiti e l’attività di investimento dei ricavi delle vendite da parte delle fonda­zioni/associazioni possono innescare, per la dimensione del fenomeno, un circolo vir­tuoso in borsa.

Analisi dell’articolato

Il titolo I contiene definizioni e finalità della legge. L’articolo 1 definisce ente con­ferente (fondazione/associazione), società conferitaria (banca), società di partecipa­zione (holding), nonchè proventi e unico ac­quirente, con riferimento alla legislazione vigente. L’articolo 2 individua gli scopi del presente disegno di legge nello sviluppo del­le fondazioni/associazioni nell’ambito speci­fico delle proprie finalità, avendo particola­re attenzione a incentivare l’azionariato popolare.

Il titolo II fissa gli obiettivi della riforma. L’articolo 3 li individua nell’obbligo di di­smissione entro diciotto mesi, salvo una quota non eccedente il 15 per cento del ca­pitale sociale. In caso di inadempimento, fissa l’obbligo di dismissione entro quattro mesi della totalità delle partecipazioni. In caso di ulteriore inadempimento l’organo amministrativo della fondazione/associazio­ne verrà sostituito da un commissario che dia esecuzione alla dismissione. L’articolo 4 vieta, a pena di nullità, che le dismissioni avvengano a favore di soggetti titolari di in­teressi conflittuali, nonchè di aggirare il di­sposto mediante scambi di partecipazioni o altre operazioni societarie, favorendo così le concentrazioni bancarie. L’articolo 5 stabili­sce i criteri generali per la destinazione dei proventi derivanti da dismissioni, e conferi­sce delega al Governo per emanare, entro cento giorni, decreti legislativi in merito a modifiche degli statuti, limiti alle partecipa­zioni azionarie, attività delle fondazioni. Inoltre dovrà essere istituito, per gli enti

che già non ne dispongano, un organo as­sembleare costituito, per il 60 per cento da soggetti operanti nell’ambito di attività del­la fondazione, e per il 40 per cento nomina­ti mediante cooptazione, riconfermabile una sola volta. Stabilisce altresì che una percentuale non inferiore al 5 per cento del patrimonio sia destinata annualmente a co­pertura delle spese istituzionali.

Il titolo III fissa le modalità per la realiz­zazione degli obiettivi di cui al titolo II. Nel primo periodo di diciotto mesi, queste sono individuate dall’articolo 6, in tre distinte procedure, trattativa diretta, asta pubblica, offerta pubblica di vendita. Se la fondazio­ne/associazione sceglie la trattativa diretta, l’articolo 7 prevede l’autorizzazione preven­tiva del Ministero del tesoro. Nel caso si scelga la strada dell’offerta pubblica di ven­dita, almeno il 10 per cento del quantitativo di azioni offerto dovrà essere riservato a di­pendenti ed ex dipendenti del gruppo, ed al­meno il 20 per cento ai correntisti e ai clienti della banca.

L’articolo 10 prevede che il prezzo nel ca­so di asta pubblica o di offerta pubblica di vendita sia determinato in relazione alle quotazioni di borsa laddove possibile, o ad eventuali vendite dirette precedentemente intercorse. In caso di inapplicabilità di que­sti criteri, il prezzo verrà determinato da operatori specializzati, come già previsto dalla legge sulle privatizzazioni. In caso di OPV, i dipendenti, ex dipendenti e clienti avranno diritto a una riduzione di prezzo di almeno il 10 per cento con facoltà di avva­lersi di pagamenti rateali.

Qualora nel periodo di diciotto mesi la fondazione/associazione non abbia provve­duto alla dismissione di quanto eccedente il 15 per cento delle azioni della banca o della holding si dovrà procedere secondo quanto previsto dall’articolo 11. Esso prevede che per ogni azione a quel momento posseduta dalla fondazione/associazione, venga emes­so un buono d’acquisto a favore di dipen­denti, ex dipendenti e clienti persone fisi­che. Questi buoni sono negoziabili e trattati in borsa; saranno quotati per tre mesi sui mercati regolamentati. Ogni buono dà dirit­to all’acquisto di un’azione della banca o della holding a tre volte il prezzo medio ri­levato durante gli ultimi due mesi di quota­zione. Nel caso di OPA sui buoni di acqui­sto, è concessa la facoltà di presentare suc­cessivi rilanci sia da parte dell’offerente ori­ginario che da parte degli offerenti concor­renti. In tal caso è data facoltà alla CON­SOB di prorogare il termine di tre mesi fino a sei mesi.

Nelle disposizioni finali, di cui al titolo IV, all’articolo 12 si fa obbligo agli enti con­ferenti di redigere il propri bilancio in con­

formità agli articoli 2423 e seguenti del co­dice civile. Il trattamento delle minusvalen­ze viene regolato dall’articolo 13, mentre l’articolo 15 prevede la neutralità fiscale delle operazioni di dismissione realizzate secondo il presente disegno di legge. L’arti­colo 16 estende alle banche privatizzate le disposizioni in materia di integrazione sala­riale straordinaria e di trattamento di mobi­lità di cui agli articoli 12, 16 e 24 della leg­ge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modi­fiche, e ciò fino al 30 giugno 1999.

DISEGNO DI LEGGE

 

TITOLO I

DEFINIZIONI E FINALITÀ

Art. 1.

(Definizioni)

1. Nella presente legge l’espressione:

a)    «ente conferente» indica quel sogget­to che, ai sensi di quanto previsto dalla leg­ge 30 luglio 1990, n. 218, e dal decreto legi­slativo 20 novembre 1990, n. 356, abbia ef­fettuato trasformazioni, fusioni o conferi­menti tali da comportare, in qualsiasi for­ma dette operazioni siano state realizzate, la costituzione o la creazione di una o più società conferitarie, nelle quali l’ente confe­rente detenga direttamente o indirettamen­te una partecipazione;

b)   «mercati regolamentati» indica i mercati di cui all’articolo 20 della legge 2 gennaio 1991, n. 1;

c)    «proventi» indica tutti i corrispettivi in denaro ricevuti dagli enti conferenti in seguito alla dismissione delle partecipazioni nelle società conferitarie o nelle società di partecipazione, così come previsto dalla presente legge, inclusi, fra gli altri, i corri­spettivi per la vendita di azioni, di diritti di opzione sulle azioni e di ogni altro valore mobiliare, anche non quotato, di cui all’ar­ticolo 18-bis del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974 n. 216, e successive modificazioni;

«società conferitaria» indica la so­cietà a favore della quale, ai sensi di quanto previsto dalla legge 30 luglio 1990, n. 218, e dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e in qualunque forma l’operazione sia stata realizzata, l’ente conferente abbia conferito l’azienda bancaria;

e) « società di partecipazione » indica la società alla quale l ’ente conferente abbia eventualmente conferito o comunque trasferito, in tutto o in part e, la propria partecipazione nella società conferitaria e nella quale lo stesso ente conferente detiene, anche indirettamente, una partecipazione;

f) «unico acquirente» indica un sogget­to, persona fisica o giuridica, il soggetto controllante ed i soggetti controllati da un unico controllante, ovvero comunque più soggetti che partecipano ad accordi o patti di cui all’articolo 10, comma 4, della legge 18 febbraio 1992, n. 149, come sostituito dall’articolo 7, comma 1, lettera b), del de­creto-legge 31 maggio 1994, n. 332, conver­tito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994 n. 474;

g) «controllo» indica, anche ai fini del­la nozione di «soggetto controllante» e «soggetto controllato», la situazione defini­ta all’articolo 23 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385.

Art. 2. (Finalità)

2 1 . Scopo della presente legge è favori­re lo sviluppo e l’ incremento da parte degli enti conferenti della propria nell’ambito specifico delle finalità a d essi assegnate, consistenti nell’intervento in settori di interesse pubblico e di utilità sociale, attraverso la diversificazione del rischio di investimento del patrimonio e la progressiva riduzione delle loro partecipa­zioni nelle società conferitarie e nelle so­cietà d i partecipazione.

2. Le finalità della presente legge verran­no perseguite anche attraverso forme di azionariato popolare, nel rispetto del radi­camento nel proprio territorio degli enti interessati.

TITOLO II

DISMISSIONE DELLE PARTECIPAZIONI DEGLI ENTI CONFERENTI

Art. 3.

(Obbligo di dismissione)

1.  Entro diciotto mesi dalla data di en­trata in vigore della presente legge, ciascun ente conferente dovrà procedere alla di­smissione delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione comprese nel proprio patrimonio, secondo quanto previsto dalla presente legge.

2.  Al fine di cui al comma 1, l’ente confe­rente, qualora possieda partecipazioni in una sola società conferitaria o in una sola società di partecipazione, deve, entro il ter­mine di cui al medesimo comma 1, trasferi­re incondizionatamente a terzi le proprie partecipazioni e tutti i relativi diritti nella società conferitaria ovvero nella società di partecipazione, potendo conservare una partecipazione, diretta o indiretta, che non ecceda il 15 per cento del capitale del sog­getto partecipato o dei diritti di voto nel­l’assemblea ordinaria o in quella straor­dinaria.

3.  L’ente conferente, qualora possieda partecipazioni in diverse società conferita-rie o in diverse società di partecipazione, deve, entro il termine di cui al comma 1, trasferire incondizionatamente a terzi dette partecipazioni, potendo conservare una o più partecipazioni, dirette o indirette, in so­cietà conferitarie o società di partecipazio­ne, eventualmente anche diverse rispetto a quelle originariamente possedute, ciascuna non eccedente il 15 per cento del capitale o del capitale o dei diritti di voto nell’assem­blea ordinaria o straordinaria di ognuno dei soggetti partecipati.

4.  Il termine di cui al comma 1 è proro­gato per un periodo massimo di tre mesi qualora alla sua scadenza ricorrano en­trambe le seguenti condizioni:

a) che l’ente conferente sia titolare di una partecipazione nella società conferita-ria o nella società di partecipazione non at­tributiva del controllo;

b) che sia già stato stipulato dall’ente conferente un contratto di vendita delle partecipazioni eccedenti i limiti di cui ai commi 2 e 3, ma non sia stata ancora com­pletata la procedura di autorizzazione da parte delle competenti Autorità di controllo ovvero che sia già stato autorizzato dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) il prospetto informativo dell’offerta pubblica che abbia per oggetto la vendita delle partecipazioni eccedenti i li­miti di cui ai commi 2 e 3, ma non abbia ancora avuto inizio l’offerta stessa.

5.  In caso di inadempimento di quanto previsto dal comma 1, gli enti conferenti inadempienti devono procedere, entro quat­tro mesi dalla scadenza del termine di cui al medesimo comma 1, alla dismissione della totalità delle partecipazioni comprese nei rispettivi patrimoni. In tal caso tali di­smissioni sono realizzate esclusivamente mediante la procedura di cui all’articolo 11 Il termine di cui al presente comma è pro­rogabile fino a sei mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 1 qualora la CON­SOB comunichi per iscritto all’ente confe­rente ed al Ministro del tesoro che, per ra­gioni di tempo dovute all’effettuazione degli adempimenti previsti dalle leggi applicabili, non è possibile procedere al completamento della procedura entro il predetto termine di quattro mesi.

6.  Qualora anche l’obbligo di cui al com­ma 5 rimanesse inadempiuto, si procederà, ai sensi dell’articolo 25 del codice civile, al­lo scioglimento dell’organo amministrativo dell’ente conferente ed alla conseguente no­mina di un commissario straordinario, che provvederà a dare esecuzione a quanto pre­visto dal presente articolo.

Art. 4.

(Limiti all’esecuzione delle dismissioni)

  1. Tranne che alle società conferenti e al­le società di partecipazione, è fatto espresso divieto, a pena di nullità, agli altri enti con­ferenti, agli enti pubblici ed alle società partecipate, direttamente o indirettamente,

dallo Stato o da altri enti pubblici in misu­ra superiore al 15 per cento del capitale so­ciale o dei diritti di voto nell’assemblea or­dinaria o in quella straordinaria, di parteci­pare, direttamente o indirettamente tramite società controllate, fiduciarie o per interpo­sta persona, in qualità di acquirenti, sotto­scrittori o in altre forme analoghe, alle ope­razioni di dismissione delle partecipazioni di cui all’articolo 3.

2. Il divieto di cui al comma 1 si applica altresì:

a)    agli amministratori degli enti confe­renti;

b)   agli amministratori delle società conferitarie e delle società di partecipa­zione;

c)    agli amministratori delle società controllate, anche in forza di controllo con­giunto con altro soggetto, dalle società con­feritarie o dalle società di partecipazione ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;

d) ai coniugi ed ai parenti fino al quar­to grado dei soggetti di cui alle lettere a), b) e c).

2. È fatto espresso divieto, a pena di nul­lità, agli enti conferenti di procedere alle di­smissioni di cui all’articolo 3 mediante per­mute, conferimenti di partecipazioni di aziende o di rami di azienda ovvero altre operazioni che non comportino la corre­sponsione di denaro o di titoli di Stato ita­liani o di altri Paesi membri dell’Unione eu­ropea da parte degli acquirenti.

Art. 5.

(Impiego dei proventi-riordino delle fondazioni)

1.  In ottemperanza alle finalità previste dall’articolo 2, i proventi derivanti dalle di­smissioni di cui all’articolo 3 devono essere investiti nel rispetto dei princìpi di riordino degli enti conferenti e diversificando gli investimenti.

Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare entro cento giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, senti to il parere, da esprimersi entro il quaranta­cinquesimo giorno successivo alla richiesta, delle Commissioni parlamentari competen­ti, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni intese a prevedere:

a) che le modifiche agli statuti degli enti conferenti per effetto della presente legge siano apportate entro centoventi gior­ni dall’entrata in vigore dei decreti legislati­vi di cui al presente articolo;

b) che gli enti conferenti non possono:

1)  esercitare la gestione o il controllo di enti o società che esercitano attività im­prenditoriale ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile, ivi comprese le attività di im­presa agricola, commerciale, industriale, di trasporto, finanziaria, creditizia ed assicu­rativa;

2)  comunque detenere partecipazioni superiori al 15 per cento del capitale sociale o dei diritti di voto esercitabili nell’assem­blea ordinaria o straordinaria di detti enti o società;

3)  in ogni caso impiegare più del 10 per cento del proprio patrimonio in investi­menti consistenti nella sottoscrizione nel­l’aquisto o comunque nell’assunzione di partecipazioni in detti enti o società;

c) che i fini dell’ente conferente siano quelli di interesse pubblico, di utilità socia­le e di assistenza e tutela delle categorie so­ciali più deboli;

d) che l’attività degli enti conferenti debba svolgersi nei settori della ricerca scientifica, dell’arte, della sanità, dell’istru­zione, dell’assistenza sociale, tenuto conto del contesto sociale, economico e culturale nel quale opera l’ente conferente stesso ed anche delle risorse disponibili onde evitare il rischio di una loro dispersione;

e) l’introduzione facoltativa dell’organo assembleare presso gli enti il cui statuto sia sprovvisto di tale organo e che, per tutti gli enti, la composizione di tale organo sia, entro novanta giorni dall’entrata in vigore delle modifiche agli statuti previste dai de­creti legislativi di cui al presente articolo, assicurata:

1) per il 40 per cento da soggetti designati da associazioni riconosciute o fondazioni o enti equivalenti con sede nel­l’Unione europea operanti nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della sanità, dell’assistenza sociale, da ordi­ni professionali;

2)   per il 30 per cento dagli enti locali competenti per il territorio dove è presente l’ente conferente;

3)  per il restante 30 per cento da soggetti cooptati dall’assemblea medesima. I componenti dell’assemblea, a qualunque titolo partecipanti all’assemblea stessa sca­dono dopo cinque anni e possono essere ri­confermati per una sola volta. In sede di prima applicazione della presente legge tut­ti i componenti dell’assemblea degli enti o dell’organo equivalente degli enti stessi de­cadono alla fine dei novanta giorni che de­corrono dall’entrata in vigore delle modifi­che agli statuti previste alla lettera a) del comma 2 e possono essere confermati sol­tanto per un quinquennio;

f)     che l’assemblea dei soci non possa modificare le finalità dell’ente e neppure de­liberare lo scioglimento e la liquidazione dello stesso;

g)    le modalità attraverso le quali gli statuti degli enti indichino i soggetti abilita­ti ad effettuare le designazioni ed il numero dei componenti dell’assemblea che a ciascu­no di essi compete nominare;

h)   che sia esclusivamente l’organo as­sembleare a nominare i membri del consi­glio di amministrazione e i membri dell’or­gano di controllo;

i)     che i membri del consiglio di ammi­nistrazione e dell’organo di controllo non siano revocabili e che siano tenuti a garan­tire il massimo grado di trasparenza e di pubblicità sugli atti degli enti, sui criteri adottati nella politica delle spese, sugli elen­chi dei destinatari, sull’ammontare delle ri­sorse loro erogate;

l)     che nel rispetto del principio dell’au­tonomia statutaria degli enti l’organo di vi­gilanza non possa andare oltre la valutazio­ne della conformità della condotta degli en­ti alle norme legislative, regolamentari e statutarie;

che una percentuale non inferiore al 3 per cento del patrimonio dell’ente sia destinata annualmente alla copertura delle spese istituzionali e che tale percentuale sia raggiunta gradualmente nell’arco di cinque anni;

n) l’incompatibilità tra le cariche am­ministrative e di controllo nell’ente confe­rente e le cariche amministrative e di con­trollo nella società conferitaria e nelle so­cietà ed enti che con essa compongono il gruppo creditizio ovvero che siano soggette al controllo, anche indiretto, di un soggetto facente parte del gruppo creditizio. In sede di prima applicazione della presente legge coloro che si trovano nelle citate condizioni di incompatibilità dovranno esercitare l’op­zione tra le cariche incompatibili entro e non oltre novanta giorni dalla data di entra­ta in vigore delle previste modifiche agli istituti di cui alla lettera a) del comma 2. Coloro che non esercitano l’opzione entro il termine indicato decadono, entro lo stesso termine, da tutte le cariche incompatibili.

TITOLO III

MODALITÀ DELLE DISMISSIONI

Art. 6.

(Strumenti disponibili per le dismissioni)

1.  Fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, le dismissioni di cui all’arti­colo 3, comma 1, possono essere realizzate tramite trattativa diretta, asta pubblica, offerta pubblica di vendita, ovvero con la procedura di distribuzione di buoni di acquisto.

2.  L’organo amministrativo dell’ente con­ferente determina la forma più opportuna di dismissione.

Art. 7.

(Trattativa diretta)

1. Gli enti conferenti possono procedere alla dismissione delle rispettive partecipa zioni tramite trattativa diretta qualora la cessione delle azioni della società conferita-ria o della società di partecipazione avven­ga a favore di un unico acquirente che ne assuma il controllo ovvero a favore di ban­che, di società appartenenti a gruppi banca­ri, di società finanziarie iscritte nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, o di società di assicurazione, salvo comunque quanto previsto dall’articolo 4 della presen­te legge.

2.  Nel caso di cui al comma 1, l’ente con­ferente deve preventivamente ottenere l’au­torizzazione del Ministero del tesoro alla realizzazione della dismissione tramite trat­tativa diretta.

3.  In caso di trattativa diretta, chi avrà acquisito il controllo, anche congiunto, del­la società conferitaria ovvero della società di partecipazione tramite l’acquisto di valo­ri mobiliari quotati in borsa o comunque negoziati al mercato ristretto sarà esonerato dagli obblighi di offerta pubblica di acqui­sto di cui all’articolo 10 della legge 18 feb­braio 1992, n. 149.

Art. 8.

(Asta pubblica)

1.  Nel caso in cui le dismissioni di cui all’articolo 3 vengano realizzate attraverso asta pubblica, l’organo amministrativo dell’ente conferente provvede ad emanare i necessari bandi e regolamenti di partecipa­zione all’asta e di valutazione delle offerte.

2.  La partecipazione all’asta pubblica da parte di potenziali acquirenti è possibile an­che in forma congiunta.

Art. 9.

(Offerta pubblica di vendita)

1. Nel caso in cui le dismissioni di cui all’articolo 3 vengano realizzate attraverso offerta pubblica di vendita, trovano applica­zione le norme di cui al capo I della legge 18 febbraio 1992, n. 149, e successive modi ficazioni, salvo quanto espressamente previ­sto dal presente articolo.

  1. L’offerta pubblica di vendita, eventual­mente con la previsione di un limite massi­mo al quantitativo acquisibile, può avere per oggetto sia le azioni sia i diritti di op­zione sulle azioni ed ogni altro valore mobi­liare, anche non quotato, di cui all’articolo 18-bis del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modifica­zioni, emessi dalle società conferitarie o dalle società di partecipazione.
  2. L’offerta pubblica di vendita dovrà prevedere che una parte non inferiore al 10 per cento delle azioni o dei valori mobiliari che ne costituiscono l’oggetto venga riserva­to a tutti i dipendenti, a prescindere dall’an­zianità di servizio, e agli ex dipendenti che al momento della pubblicazione dell’offerta abbiano maturato almeno cinque anni di anzianità, dell’ente conferente, della società conferitaria o della società di partecipazio­ne, nonchè a tutti i dipendenti, a prescinde­re dall’anzianità di servizio, e agli ex dipen­denti che al momento della pubblicazione dell’offerta abbiano maturato almeno cin­que anni di anzianità, delle società control­late anche indirettamente dalla società con­feritaria o dalla società di partecipazione ai sensi dell’articolo 2359 codice civile.
  3. L’offerta pubblica di vendita dovrà prevedere che una parte non inferiore al 20 per cento delle azioni o dei valori mobiliari che ne costituiscono l’oggetto venga riserva­to in parti tra loro uguali a ciascun soggetto che al momento della pubblicazione dell’of­ferta di vendita intrattenga come cliente uno o più rapporti contrattuali con la so­cietà conferitaria ovvero con società eser­centi attività bancaria o finanziaria control­late anche indirettamente dalla società con­feritaria o dalla società di partecipazione. Tale rapporto contrattuale dovrà essere vi­gente da almeno centottanta giorni prima dalla data di entrata in vigore della presente legge.

L’elenco dei soggetti legittimati ai sen­si dei commi 3 e 4 è pubblico; chiunque vi abbia interesse potrà chiederne copia mediante presentazione di richiesta scritta all’ente conferente.

Art. 10.

(Determinazione del prezzo nelle procedure di asta pubblica e di offerta pubblica di vendita)

1.  Qualora le azioni o i valori mobiliari oggetto dell’asta pubblica o dell’offerta pub­blica di vendita siano quotati in mercati re­golamentati, il prezzo al quale verrà bandi­ta l’asta pubblica o verrà eseguita l’offerta pubblica di vendita non può essere superio­re alla media ponderata dei prezzi di acqui­sto rilevati durante il periodo di tre mesi anteriore al quindicesimo giorno preceden­te la pubblicazione del bando di gara o la promozione dell’offerta.

2.  Qualora le azioni o i valori mobiliari oggetto dell’asta pubblica o dell’offerta pub­blica di vendita non siano quotati in merca­ti regolamentati, il prezzo al quale viene bandita l’asta o eseguita l’offerta pubblica di vendita deve essere pari alla media pon­derata dei prezzi rilevati in occasione di cessioni o trasferimenti delle azioni o dei valori mobiliari suddetti che siano stati rea­lizzati da parte dell’ente conferente a favore di soggetti diversi da quelli di cui all’artico­lo 4, comma 1, con qualsiasi mezzo, nel corso dei sei mesi anteriori alla pubblica­zione del bando di gara o alla promozione dell’offerta. A tal fine vengono presi in con­siderazione esclusivamente i singoli trasfe­rimenti di azioni o di valori mobiliari, cia­scuno rappresentativo di una partecipazio­ne superiore al 3 per cento del capitale so­ciale della società conferitaria o della so­cietà di partecipazione in oggetto, con l’av­vertenza che i trasferimenti realizzati a fa­vore di uno stesso soggetto, ma in fasi suc­cessive durante il suddetto periodo di sei mesi, devono essere considerati come un unico trasferimento.

Qualora non sia possibile procedere ai sensi dei commi 1 e 2, la determinazione del prezzo al quale deve essere bandita l’asta o eseguita l’offerta pubblica di vendita è affidata a società di provata esperienza e capacità operativa italiane o estere ovvero a uno o più professionisti iscritti da almeno cinque anni negli albi previsti per legge, i quali devono eseguire il proprio mandato sulla base dei criteri comunemente in uso, tenuto conto della capacità di reddito della società oggetto dell’asta pubblica o dell’of­ferta pubblica di vendita, della sua consi­stenza patrimoniale e delle prevalenti con­dizioni del mercato mobiliare.

4.  Gli incarichi di cui al comma 3 non possono essere affidati a società di revisio­ne che abbiano svolto incarichi a favore dell’ente conferente, delle società conferita-rie o delle società di partecipazione in og­getto nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge.

5.  Il prezzo determinato ai sensi del pre­sente articolo deve essere offerto ai soggetti di cui all’articolo 9, commi 3 e 4, con una riduzione non inferiore al 10 per cento e con possibilità di pagamenti rateali nei li­miti di cui all’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modi­ficazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474.

Art. 11.

(Procedura di dismissione mediante distribuzione di buoni di acquisto)

1.  Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 5, la procedura di di­smissione delle partecipazioni degli enti conferenti mediante distribuzione di buoni di acquisto, come prevista dal presente arti­colo, può essere adottata anche in qualsiasi momento prima della scadenza del termine di cui all’articolo 3, comma 1.

I soggetti persone fisiche di cui all’arti­colo 9, commi 3 e 4, ricevono dalle società di partecipazione o dalle società conferita-rie un buono di acquisto al portatore, libe­ramente cedibile a terzi, che attribuisce il diritto di acquistare dall’ente conferente un quantitativo di azioni o di valori mobiliari pari al numero di azioni della società confe­ritaria o della società di partecipazione pos­sedute dall’ente conferente diviso per il nu mero di soggetti beneficiari di tali buoni di acquisto.

  1. Anche in deroga alle vigenti norme di legge e di regolamento, i buoni di acquisto di cui al comma 2 sono ammessi di diritto, entro un mese dalla loro distribuzione, alle quotazioni ufficiali da parte della CONSOB e sono liberamente negoziabili sui mercati regolamentati per un periodo di tre mesi; alla scadenza di tale periodo i titolari dei buoni di acquisto potranno esercitare il di­ritto di acquisto delle azioni della società conferitaria o della società di partecipazio­ne per un periodo di due mesi. Alla sca­denza di tale ultimo periodo i buoni cessa­no di avere efficacia ed i relativi diritti decadono.
  2. La CONSOB stabilisce, con provvedi­mento preliminare all’inizio della contratta­zione, la percentuale minima di buoni di acquisto che devono essere negoziati per la determinazione del prezzo. Tale percentuale sarà ricompresa tra un minimo dell’1 per cento ed un massimo del 5 per cento del quantitativo di buoni di acquisto distribuiti. Il periodo di tre mesi di cui al comma 3 viene prorogato di un periodo di ulteriori tre mesi qualora alla sua scadenza il quan­titativo di buoni di acquisto oggetto di ne­goziazione sia risultato inferiore alla per­centuale minima determinata ai sensi del presente comma.
  3. In caso di esercizio del diritto di ac­quisto contenuto nei buoni, il relativo prez­zo sarà pari a tre volte la media ponderata dei prezzi dei buoni di acquisto rilevata sui mercati regolamentati durante gli ultimi due mesi di negoziazione.
  4. Nel caso in cui venga eseguita un’of­ferta pubblica di acquisto avente per ogget­to i buoni di acquisto, la CONSOB, d’ufficio o su richiesta di uno dei soggetti interessati, può prorogare il termine di cui al comma 3 fino a sei mesi.

Nel caso in cui un’offerta pubblica di acquisto avente ad oggetto i buoni di acqui­sto venga seguita da una o più offerte con­correnti, sia l’offerente originario che gli esecutori delle offerte concorrenti hanno fa­coltà di procedere per un numero illimitato di volte, ma entro il limite di tempo di cui al comma 3 eventualmente prorogato ai sensi del comma 6, all’aumento del corri­spettivo unitario indicato nelle rispettive of­ferte a condizione che il corrispettivo unita­rio offerto sia superiore almeno del 5 per cento rispetto al corrispettivo unitario dell’ultima offerta pubblicata.

  1. Alle società di intermediazione mobi­liare ed agli altri soggetti autorizzati ad operare sui mercati regolamentati è fatto divieto di eseguire negoziazioni di cui all’ar­ticolo 11, comma 2, della legge 2 gennaio 1991, n. 1, aventi per oggetto i buoni di ac­quisto qui previsti.
  2. Salvo quanto diversamente previsto dalla presente legge, la quotazione e la ne­goziazione dei buoni di acquisto sono rego­late dalle vigenti norme di legge e di regola­mento. Trova comunque applicazione an­che in tal caso quanto disposto dall’articolo 9, comma 5.
  3. Con apposito regolamento da ema­narsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dalla Banca d’Italia di concerto con la CONSOB, sono disciplinate le ulteriori modalità per la di­stribuzione e l’esercizio dei diritti conferiti dai buoni, l’informativa al pubblico ed i profili procedurali di eventuali offerte pub­bliche sugli stessi.

TITOLO IV

DISPOSIZIONI FINALI

Art. 12.

(Redazione del bilancio)

1. A partire dall’esercizio in corso alla da­ta di entrata in vigore della presente legge, ciascun ente conferente dovrà redigere il proprio bilancio secondo i criteri ed i prin­cipi contenuti negli articoli 2423 e seguenti del codice civile.

 

Art. 13.

(Minusvalenze)

1.  La dismissione delle partecipazioni in società conferitarie o in società di parteci­pazione per un prezzo inferiore al valore di carico sarà ritenuta congrua ai sensi dell’ar­ticolo 2, comma 1, lettera e), della legge 30 luglio 1990, n. 218, sino al limite della riser­va o fondo in sospensione d’imposta di cui all’articolo 7 della medesima legge maggio­rato del valore della partecipazione in Ban­ca d’Italia iscritto in bilancio. In tale ipotesi è cosentito, in deroga ai criteri e principi sanciti nell’articolo 12 della presente legge, ridurre direttamente il valore della riserva o fondo di cui al citato articolo 7 della legge n. 218 del 1990 e, per l’eventuale eccedenza, il valore delle altre riserve disponibili.

2.  La deroga di cui al comma 1 è consen­tita anche nell’ipotesi in cui la minusvalen­za risulti dalla valutazione di bilancio delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione.

Art. 14.

(Differimento di termini)

1. Il termine di cui all’articolo 7, comma 6, della legge 30 luglio 1990, n. 218, ai fini dell’applicazione delle disposizioni ivi previ­ste, come modificate dagli articoli 28 e 71 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è dif­ferito alla data del 31 dicembre 1998 per gli atti di fusione, scissione, trasformazione e conferimento perfezionati tra il 1o gennaio 1996 ed il 31 dicembre 1998.

Art. 15.

(Trattamento fiscale delle dismissioni)

1. Non costituisce realizzo di plusvalenze per l’ente conferente il trasferimento a favo­re di terzi delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione che sia stato realizzato in ottemperanza e nel rispetto di quanto previsto dalla presen­te legge.

Art. 16.

(Disposizioni in materia di mobilità dei lavoratori)

1.  Le disposizioni in materia di integra­zione salariale straordinaria e di trattamen­to di mobilità di cui agli articoli 12, 16 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e succes­sive modificazioni ed integrazioni si appli­cano, a far data dal 1o gennaio 1997 fino al 30 giugno 1999, a tutte le banche di cui al Capo I del Titolo II del decreto legislativo 1o settembre 1993 n. 385, a condizione che, per tutto il periodo in cui troveranno appli­cazione le suddette disposizioni, gli enti conferenti, le società di partecipazione e gli altri soggetti di cui all’articolo 4 comma 1, della presente legge, direttamente o indiret­tamente, non detengano partecipazioni complessivamente superiori al 15 per cento del capitale della banca ovvero non siano complessivamente titolari di più del 15 per cento dei diritti di voto esercitabili nelle assemblee ordinarie o straordinarie della banca.

2.  Nel caso in cui durante il periodo di esecuzione di una delle procedure di cui al­la legge 23 luglio 1991, n. 223, vengano me­no i requisiti previsti dal comma 1, la ban­ca decadrà con efficacia immediata dalle procedure in corso, restando comunque ri­conosciuti ai lavoratori interessati dalle suddette procedure i diritti maturati fino al momento della decadenza delle relative pro­cedure.

3.  Salvo diverso accordo raggiunto con le organizzazioni sindacali che rappresentino la maggioranza dei dipendenti della banca, l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire secondo i seguenti criteri:

a) deve essere preventivamente indivi­duato il gruppo di lavoratori professional­mente fungibili tra loro, appartenenti a una stessa unità produttiva, nel quale vi sia ec­cedenza di organico;

b) tra gli appartenenti al gruppo devo­no essere scelti i lavoratori che hanno mi­nore numero di anzianità di servizio effetti­va nell’istituto di credito, non computando­si nè le frazioni di anno nè eventuali anzia­nità convenzionali;

c) in caso di pari anzianità di servizio, determinata a norma della lettera b), devo­no essere scelti i lavoratori che godono di minori detrazioni fiscali per carichi di famiglia.

Art. 17. (Rinvio)

1. Per tutto quanto non previsto dalla presente legge si applica, oltre alla normati­va generale, il decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474.

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