Debenedetti: un errore i tabù sull’articolo 18

novembre 17, 2001


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Intervista di F. For.

«L’articolo 18 non può più essere un tabù per una sinistra moderna e riformista». Il senatore Franco Debe­nedetti ha ripresentato il suo disegno di legge di riforma della disciplina del licenziamento per giustificato motivo economico. Ma è critico sulla delega chiesta da Berlusconi per alleggerire le rigidità sui licenziamenti. «Condivido il principio — spiega — ma la trovo timida in quello che toglie e avara in quello che dà».

Sembra quasi un’apertura…
Intervenire sull’articolo 18 ha un alto valore simbolico. La società e il lavoro oggi sono cambiati e va cambiata anche la legislazione. Se si violano certi tabù è sicuramente un bene.

D’Alema ha parlato di strappo grave da parte del Governo.
In un momento come questo, alla vigilia di un congresso così importante, lo posso comprendere. Ma non sono d’accor­do con un altolà così secco. Dietro quelle parole sento riecheggiare il no aprioristico che viene dal sindacato.

Entriamo nel merito della delega: cosa pensa della sperimentazione sul risarcimento invece del reintegro nel posto di lavoro?
Per riformare lavoro e Welfare serve un disegno complessivo; questo invece è un provvedimento temporaneo che riguarda solo alcune categorie. Per paura delle divisioni inter‑ne e per evitare lo scontro con i sindacati il Governo fa una riforma timida che rischia di creare confusione. Eppure…

Eppure anche lei ha presentato una proposta di legge per riformare l’articolo 18.
Esatto. È ora di uscire dal modello mediterraneo di tutela: dalla tutela del posto di lavoro bisogna andare verso la tutela sul mercato di lavoro.

Cioè?
Oggi il contratto di lavoro a tempo indeterminato non è più il perno dell’organizzazione industriale. Di questo si deve prendere atto e, piuttosto che difendere anacronistiche rigidità, bisogna assicurare maggiore tutela per chi lavora a tempo. Bisogna, cioè, prevedere una vera indennità di disoc­cupazione, riformare gli ammortizzatori sociali, puntare sul­la formazione. Questo è un disegno riformista.

Anche perché, per i giovani, il contratto a tempo indeterminato è spesso un oggetto sconosciuto.
Vede, riformare l’articolo 18 significa anche riconoscere che le aziende assolvono il loro scopo sociale concentrando­si sulla produzione di ricchezza. Se un’impresa mantiene lavoratori che non le servono si carica di costi sociali e diventa inefficiente. È compito dello Stato dare tutele, non delle aziende. L’articolo 18 non deve essere un tabù. Neppu­re per i Ds.

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