Debenedetti: privacy, diritto inviolabile che va garantito per dire davvero la verità

giugno 16, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero

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Intercettazioni, cittadini e informazione

ROMA – Per dodici anni e tre legislature, Franco Debenedetti è stato senatore Ds. Economista di rango, e attento ai fenomeni sociali. E anche alle degenerazioni del sistema, come il fenomeno rappresentato dalle intercettazioni telefoniche che finiscono sui giornali.

Senatore Debenedetti, c’era un problema di diritto alla privacy da ripristinare?.

«C’era un problema di privacy. E ce ne è un altro, se possibile ancora più grave: evitare che lasciando filtrare le intercettazioni si arrivi a condanne preventive, tra virgolette, intendo».

Spieghiamo

«Prendiamo il caso della figlia di Necci, lei si ricorderà».

Certo

«Fu tirata dentro un’inchiesta giudiziaria nella quale non era assolutamente coinvolta; eppure la sua vita personale fu rovinata dalla propagazione di notizie private che la riguardavano. Subì un danno personale grave per una cosa in cui non c’entrava nulla. È come quando uno cammina per la strada e gli cade un vaso in testa; solo che in casi come questo, il vaso non è caduto da solo, qualcuo l’ha tirato».

Con quale scopo vengo tirati questi vasi?

«Non azzardo ipotesi, ma i risultati però sono evidenti. Le intercettazioni vengono usate proprio per ottenere dei risultati. Sono “atti performativi”, cioè producono ciò che affermano: un generalizzato giudizio di colpevolezza. L’altra sera nella trasmissione tv “Otto e mezzo” Lanfranco Pace ha messo sullo stesso piano Milken, un banchiere che in America si è fatto nove ani di carcere e ha pagato un multa stratosferica e Giovanni Consorte, che al massimo si è preso gli arresti domiciliari e un multa irrisoria. Ma non ha detto che Milken è stato trovato colpevole, mentre Consorte non ha avuto nemmeno una condanna in primo grado. Però nell’opinione pubblica, per effetto del clamore che è stato fatto dopo la divulgazione delle sue intercettazioni, viene equiparato a uno che è stato condannato a nove anni di galera. In quanti casi si sono messe alla gogna persone al cui carico non c’era alcuna questione di rilevanza penale? Pensiamo a cosa hanno fatto a Piero Fassino! Io credo che questo sia un problema molto serio. E se riguarda la libertà di un politico, è serissimo».

Eppure sono in molti a difendere questo strumento investigativo. Lei che dice?

«A me colpiscono gli argomenti che vengono utilizzati per difendere le intercettazioni. Ad esempio si dice che senza intercettazioni non si sarebbero accertate le vicende della clinica Santa Rita. Stupefacente! Se un Pm ha un’informazione, segua il filone di indagine e arrivi al fatto. Non era difficile, c’erano le cartelle cliniche e i morti. Invece di raccontare fatti, si trascrivono frasi. Certo che si fa prima: ma si fa giusto? Perché, mi domando, l’intercettazione non deve essere considerata una fonte di prova, non una prova, dunque, alla stregua della soffiata di un informatore? A difesa delle intercettazioni si parla di costi, di convenienza, di efficienza: ma i diritti delle persone, per la nostra Costituzione, vengono prima».

Lei ritiene che questi diritti siano stati violati?

«Ho già fato due nomi: Vuole che continui? Sempre quella sera a “Otto e mezzo”, Paolo Mieli ricordava quando, nel pieno di Mani Pulite, la carcerazione preventiva era un mezzo per ottenere o confessioni o indicazioni utili. A volte le rivelazioni di frasi intercettate creano un pregiudizio negativo nell’opinione pubblica. Non proprio le condizioni ideali per una giustizia giusta».

Che soluzioni vede?

«Domanda da rivolgere a esperti. Dicevo della possibilità di considerarla fonte di prova. Condivido in pieno quello che ha detto Luciano Violante a questo proposito: è giusto che il magistrato responsabile della fuga di notizie sia esonerato dall’indagine. La segretezza è affidata a lui; se esce qualcosa, quantomeno ha una responsabilità sulla mancata vigilanza».

Vede rischi per la libertà di stampa?

«Non vedo pericoli. Gli scandali venivano raccontati sui giornali anche quando non c’erano le intercettazioni da pubblicare. Ma il problema è a monte: si comunichino ai giornali fatti e notizie, le indiscrezioni su intercettazioni non dovrebbero arrivare ai media».

Intervista di Massimo Martinelli

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