Così si muore per sopravvivere

gennaio 19, 2008


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Fino a che punto, nel governare, durare è un valore?

Il problema del nuovo e del vecchio, e del loro succedersi nel tempo, era presente nel progetto del PD fin da quando fu concepito. Proprio perché esso è una vera innovazione politica, come lo fu l’Ulivo nel 1996, come lo fu la discesa in campo di Berlusconi nel 1994.

Un’innovazione necessitata dagli striminziti risultati elettorali, dalla periclitante maggioranza, dallo sfrangiarsi dei partiti, dai compromessi continui; ma non certo una novità improvvisata, né di breve gestazione. Da questa novità Veltroni prese le mosse fin dal suo primo discorso al Lingotto, in un modo che definì l’identità del progetto politico del PD: mai più, disse, mai più programmi fatti in funzione di una coalizione, tenuta insieme dall’antiberlusconismo: saranno le alleanze di governo a formarsi su un programma, intorno al PD, partito a vocazione maggioritaria.

Se questo è il progetto che il centrosinistra mette in campo per vincere più chiaramente e per governare più efficacemente, ne consegue che la formula attuale, quella di un programma costruito su una coalizione, è superato; il suo perdurare si giustifica quindi solo se, e fintanto che, è capace di creare condizioni di partenza migliori per la nuova formula. Governare non è una gara di resistenza, e neppure una staffetta in cui ciascuno deve completare propria frazione. Solo in funzione del nuovo che si attende ha senso tenere in vita una maggioranza divisa su tutto, tollerare i compromessi al ribasso, resistere mentre i sondaggi registrano i cali di consenso.

Questo Governo deve durare, sostiene invece Prodi, perché può pensare allo sviluppo avendo riportato i conti in ordine. Un’affermazione quest’ultima su cui si potrebbero fare non poche considerazioni: sulla situazione ereditata, in realtà risultata migliore perfino delle stime del precedente Governo, e contabilmente appesantita addebitando ad un unico esercizio le poste straordinarie; sulla situazione attuale, dato che, secondo l’Europa, al picco di un ciclo mondiale di crescita, conti in ordine significano deficit nullo e non dell’1,7%. Ma soprattutto sul futuro: quando arriverà la fase negativa del ciclo, le entrate fiscali diminuiranno, ma invariate resteranno le spese, comprese, tanto per fare un esempio, le molte diecine di migliaia di precari che in base alla Finanziaria verranno, indipendentemente dai loro meriti, assunti in pianta stabile dalla P.A. e lasciati ai posteri. Lo sviluppo dipende in modo essenziale dal sapersi mettere in sintonia con l’opinione pubblica: è proprio per ritrovare questa sintonia che è stato voluto il PD. Se è vero che i conti sono saldamente in ordine, sarebbe il momento per passare la mano, e lasciare che un nuovo governo gestisca lo sviluppo. In caso contrario, in nome di quale segreta virtù dovremmo volere al Governo chi giudichiamo incapace a risanare e inadatto a sviluppare?

C’è un solo obbiettivo capace di dare un valore strategico al durare: far passare il tempo necessario a consumare le residue energie fisiche e intellettuali dell’avversario, e porre così la fine del berlusconismo a suggello di un percorso durato quindici anni. Ma la battaglia all’ultimo sangue tra due personaggi entrambi dotati di straordinarie energie e volontà è incerta nell’esito e certa nei costi: perché in essa, oltre che le forze di entrambi, si consumano anche quelle del Paese. Fino a quando il Governo può resistere a batoste come quelle degli ultimi giorni? Il centrosinistra futuro guadagna o perde consensi dal modo in cui questo Governo affronta lo scandalo emblematico della munnezza, da come non ha saputo individuare passati errori e responsabilità (anche proprie), dalle misure che ha preso, prima clamorosamente annunciate, subito rettificate, e presto insabbiatesi? Guadagna o perde consensi con la vicenda del Papa alla Sapienza, dove si è dimostrato distratto quando occorreva prevenire, imbelle quando occorreva garantire, senza dignità nel concludere, con quel penoso “speriamo che ci ripensi”? Guadagna o perde consensi il Governo nella questione Mastella, quando Prodi invece che pretenderle, respinge le dimissioni di un Ministro della Giustizia che, sia pure per difendersi, mette in stato d’accusa l’intera magistratura? Guadagna o perde consensi di fronte all’accusa di voler resistere solo per poter procedere nei prossimi mesi a un’infornata di nomine?

Ma dove si tocca il cuore del problema è in tema di legge elettorale. La semplificazione del quadro politico, obbiettivo che alla base dell’idea stessa del PD, pone inevitabilmente Governo e partito ciascuno di fronte ad un proprio dilemma esistenziale. Il Governo, perché non può perdere neppur un voto se vuole sopravvivere. Il PD, perché se si piega a questa esigenza, perde la ragione stessa per cui è nato. Se la sopravvivenza del Governo venisse assunta come vincolo, esso si mangerebbe la ragione di un’operazione politica unica per complessità e ambizione, per la quale sono stati sacrificati i due partiti eredi di quelli che hanno dominato la vita politica italiana per oltre mezzo secolo. Non sono possibili compromessi quando è in gioco l’identità; quella del PD, per definizione, ma anche quella storica del centrosinistra. Se per tenere in piedi il Governo il PD votasse la bozza Bianco, il centrosinistra, nato maggioritario, farebbe ritornare il Paese al proporzionale; chi si era stracciato le vesti per il ribaltone del ’98, si ritroverebbe con una legge in cui i ribaltoni sarebbero la norma, come lo erano nei governi fatti e disfatti in Parlamento nelle prima Repubblica; chi si è fatto vanto di avere introdotto il metodo delle primarie per la selezione della classe politica, saprebbe – forse – chi manda in Parlamento, ma non da chi sarà governato. Chi condannava il cinismo della politica dei due forni, la sceglierebbe a modello: con la non trascurabile differenza di non gestirla in proprio, ma di consegnare ad altri, a un partito del 6%, il potere di scegliere il forno a cui servirsi.

Se queste sono le condizioni non ha più senso andare avanti. Non ha senso morire per sopravvivere.

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