Chiediamo la svolta anche a Chirac

aprile 20, 2004


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Chi non vuole il passaggio di poteri agli iracheni

La questione irachena consegna alla sinistra un compito di eccezionale rilievo. In qualche misura, ancora di più che alla maggioranza.
Chi ha la risorsa governo, ha il vincolo di operare nel campo del reale, deve far conto delle incertezze e delle contraddizioni del mondo qual è.

L’opposizione, anche quella che pensa e parla come se fosse al governo, ha meno vincoli, opera nel campo dell’immaginario, e può pensare al mondo come potrebbe essere.
L’opposizione gode quindi di una maggiore libertà: anche in questo sta il contributo positivo che può dare alla vita del Paese. Può sprecarla, questa libertà, lasciandosi sospingere dal populismo verso gli orizzonti dell’impossibile. Oppure può utilizzarla per individuare soluzioni utili guardando oltre gli ostacoli contingenti che ingombrano il cammino.
Nella questione irakena, sarebbe imperdonabile se la sinistra trasformasse scelte, anche quelle che continua a ritenere giuste, del passato, in errori sicuri oggi. Non basta salvarsi l’anima ripetendo che venir via dall’Irak sarebbe oggi delittuoso, e in fondo al cuore sperare di esservi obbligati dalle decisioni degli altri, a Madrid, o a Bruxelles. Bisogna spiegare che sarebbe un errore, e indicare le cose da fare per evitarlo.
Sarebbe un errore perché significherebbe dimostrare a bande di terroristi che il terrorismo paga. Sarebbe un errore perché, c’è da esserne certi, gli USA, sia con Bush sia con Kerry, dall’Irak non verranno via: saranno solo più isolati perché saremo noi ad averli isolati. L’ha detto benissimo Enrico Letta: quella della Spagna è stata una decisione unilaterale.
E saremo noi ad esserci isolati. Questa è la ragione più profonda dell’errore. Questo è il vero pericolo che ha di fronte l’Europa e che tanti che si dicono europeisti sembrano non vedere: un isolamento che ci condannerebbe all’irrilevanza. L’America può anche perdere l’Irak (quod Deus avertat) ma resterebbe sempre con la sua potenza economica e militare in un mondo inevitabilmente polarizzato tra USA e Cina. Non sarebbe la sconfitta dell’Occidente, sarebbe solo la sconfitta dell’Europa.
Non si devono offrire alibi a chi non vuole uscire dalla crisi, a chi preferisce aspettare il risultato delle elezioni americane di novembre e non si cura di cosa può succedere nel frattempo in cima a una torre o dentro un tunnel.
Chi? Prendiamo quattro nomi, Annan, Berlusconi, Bush, Chirac, e invece che in ordine alfabetico, proviamo a disporli nell’ordine di chi meno si adopra perché alla scadenza del 30 Giugno sia possibile il passaggio formale dell’autorità agli irakeni. Su chi sarebbe il primo ci sono pochi dubbi: ma il nome di Chirac non viene mai fatto. Nessuna pressione si esercita verso colui che organizzò il dissenso che consentì all’America la scelta unilaterale. E che ottenne che non fosse il mondo intero a liberare un paese da un dittatore, e dalle sue armi: quelle che si che si credeva che avesse e che non si sono trovate; e quelle che avrebbe potuto comprare con i soldi che invece si sono poi trovati.
C’è anche chi non vuole la soluzione della crisi, e non sta a Bagdad o nelle caverne al confine col Pakistan. A costoro la sinistra non deve offrire alibi. Né ai falchi, né ai pacifisti; e soprattutto non ai burocrati dell’ONU. Non bisogna offrire giustificazioni a chi vuole preservare un’ONU sovranamente indipendente ma sostanzialmente inutile, e per questo rifiuta di prendere posizione quando serve e dove serve, dovesse pur costare di far scendere l’ONU dal suo empireo unanimista.
La sinistra non può farlo per coerenza. Perché se c’è qualcuno che pensa che sia possibile affrancare gli uomini, questa è la sinistra: e quindi non può rinunciarvi e lasciare quei popoli nelle mani di terroristi, o di fondamentalisti, o di entrambi. Anche, anzi proprio perché, giudicò non giusta questa guerra.

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