Chi taglia l'Ulivo

luglio 12, 2002


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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“A che cosa é servito disertare quel tavolo?” chiedeva Michele Salvati, mercoledì dalle colonne de La Repubblica, a Sergio Cofferati.
La risposta gli é arrivata nella stessa giornata. Salvati parlava del Patto per l’Italia, a preoccuparlo erano l’indebolimento del fronte sindacale, la riapertura della piaga del collateralismo. La risposta Cofferati gliel’ha data sul piano politico: ed é stata un colpo durissimo all’Ulivo ed ai presupposti su cui si regge la coalizione di centro sinistra.

La rottura dell’unità sindacale, avrebbe detto, stando alle cronache giornalistiche, il leader della CGIL, durante l’incontro con la delegazione DS al completo (erano in 10!), durerà almeno un decennio, e il suo sindacato non intende farsi carico di una proposta che valga a ricomporla.
Alla modifica dell’art.18, Cofferati oppone l’intangibilità di un diritto; a CISL e UIL oppone la sacralità del rapporto di fiducia, una fiducia che avrebbero definitivamente leso scioperando accanto alla CGIL, con in tasca l’accordo con il Governo. Naturale che anche per i rinnovi contrattuali, a incominciare da quello dei metalmeccanici, la CGIL presenti proprie piattaforme, e quindi tratti da sola. Vien da sperare si tratti di approssimazioni giornalistiche, e che quelle frasi non siano corrette, perché una simile posizione, radicalizzata sul piano dei principi e proiettata su un arco temporale lunghissimo, è un colpo molto pesante assestato a una strategia politica: spacca l’unità che, bene o male, si era realizzata con l’Ulivo, il progetto politico che ha portato per la prima volta la sinistra al governo in mezzo secolo. E ciò per due ragioni.

La prima riguarda l’alleanza tra sinistra e centro. Se la frattura sindacale diventa permanente, non componibile risulta quella tra le componenti della coalizione.
Basti pensare che cosa diventa l’eventualità di un futuro ticket Prodi Cofferati: già appariva il non molto plausibile simbolo dell’unione dei diversi, e che ora si mostrerebbe come l’incredibile esibizione della giustapposizione dei contrari. Anzi, se qualche apertura alla posizione di Cofferati si manifesta all’interno della Margherita, è viziata dal retropensiero che egli possa “spostare a sinistra” i DS liberando spazio al centro dell’Ulivo: ma da un simile terremoto per i DS, che restano la componente maggioritaria dell’Ulivo, e’ ben difficile che l’alleanza abbia da guadagnare più che da perdere.
Se la spaccatura nel mondo sindacale viene istituzionalizzata, cade del tutto la prospettiva (ma non era un whishful thinking?) che il ruolo di “grande oppositore” servisse a Cofferati per ricompattare a sinistra e a recuperare consensi da portare all’Ulivo. Il suo strappo imprime invece un’accelerazione ad un processo di scomposizione e ricomposizione che in molti, a sinistra, aldilà delle rassicurazioni di circostanza, considerano per alcuni versi alla lunga inevitabile.
Un processo che riguarderebbe massicciamente i DS, ma in parte anche la Margherita, visto che, per fare un esempio, Rosy Bindi sulla firma della CISL al Patto per l’Italia non parla certo la stessa lingua di un Enrico Letta. Non si tratterebbe di un trauma catartico, bensì di una complessa e faticosa trasmigrazione interna. Complessa: poche ore dopo l’incontro DS CGIL, oltre 100 parlamentari decidevano di dar vita a un intergruppo dell’Ulivo, con lo scopo di recuperare nei collegi la pratica della coalizione, e di renderla evidente in Parlamento con la nomina di un portavoce unico. E faticoso: perché attraversa amicizie e valori, interessi culturali e di collegio, mentre non é dato immaginare quanto dell’Ulivo del 1996, ma neppure di quello del 2001, resterà nella indispensabile, quindi inevitabile, ricomposizione che seguirà.

La seconda ragione riguarda il programma. Perché il modello sociale a cui Cofferati fa riferimento é quello della “centralità del lavoro”, del mondo centrato sulla fabbrica fordista; che si traduce, in politica, nel perseguimento del modello socialdemocratico. Un modello che, come analizza Carlo Trigilia sull’ultimo numero del Mulino, é in crisi in tutta Europa non per effetto di un ciclo elettorale negativo, ma perché non riesce a superare le difficoltà di controllo della spesa sociale e della progressiva apertura internazionale dell’economia. Un modello dunque che una parte larga della sinistra e larghissima della Margherita non può mettere se non criticamente nel proprio orizzonte, come un passato rispetto al quale innovare e non certo un futuro prodigo di promesse.

La rigida opposizione che Cofferati ha ieri dichiarato di voler praticare, oltre a ferire a morte l’Ulivo, ha anche un effetto concomitante singolare: rafforza il Governo, tanto che qualcuno ha già osservato come Berlusconi vada a nozze con un leader dell’opposizione icona dell’antagonismo.
Non è solo questione di tecnica di comunicazione elettorale. Una contrapposizione così radicale rischia di conferire coesione a una politica governativa che ne é invece largamente priva. Se ne é discusso martedì all’Arel, il centro studi economici fondato da Nino Andreatta, e ora presieduto da Enrico Letta.
Le risorse non bastano neppure per i modesti interventi sugli ammortizzatori sociali; e questi sono scelti male, potrebbero addirittura essere controproducenti (ad esempio l’aumento dei tempi in cui viene erogato il sussidio di disoccupazione dovrebbe far aumentare la disoccupazione di lunga durata).
Non si capisce se la detassazione totale per le fasce basse sia solo la prima parte della riforma fiscale, destinata quindi ad essere seguita dal forte sgravio per le fasce medio-alte, cosa che spiazzerebbe CISL e UIL, oppure se sia una manovra aggiuntiva alla “grande riforma” Tremonti. Nel DPEF le previsioni sul fabbisogno appaiono poco credibili; la possibilità di portare sotto la riga gli investimenti, facendoli finanziare dalla nuova Infrastrutture SpA, appare, nella migliore delle ipotesi, di non rapida applicazione, e semmai utile solo a finanziare grandi opere aggiuntive rispetto al normale flusso di investimenti.
Si fa strada l’idea che i programmi liberisti della CdL si traducano in una manovra keynesiana spalmata sulla legislatura. Ma una contrapposizione frontale e radicale, al posto di un’analisi seria e oggettiva, preclude la possibilità di evidenziare le contraddizioni alle varie constituencies che hanno votato per la Casa delle Libertà.
Chi pensa alla credibilità della coalizione con cui affrontare le prossime elezioni, ha dunque buone ragioni per guardare con preoccupazione alla linea politica cui Cofferati dà la forza del suo carisma e il peso della sua organizzazione. “Non ci può credere” Claudio Rinaldi sull’Espresso, prova “pena” per quelli che la avversano, e si chiede a chi parlino e in nome di cosa. E’ la vecchia accusa rivolta ai na?ves come me, che credono la politica si faccia “sulle cose” e non sia da lasciare ai carismatici dei “valori”.
Personalmente, posso anche capire e rispettare chi a sinistra spera con tutte le proprie forze che Fassino e D’Alema riescano a risolvere la radicale contrapposizione della linea Cofferati nel chiuso di una mediazione di vertice, con l’effetto di presentarsi tutti più uniti e più forti davanti all’elettorato. Io, però, sono di quelli che non ci credono, perché la credibilità dell’opposizione è fatta della coerenza della sue proposte. E neanche a un mago riesce nell’Europa di oggi presentare un Blair e uno Scargill come fossero la stessa cosa.

Certo, bisogna avere una propria proposta: le vecchie ricette di virtù macroeconomiche e repubblicane non bastano più, e quelle nuove non si stanno delineando. Aiuterebbero gli errori dell’avversario: sono invece un’occasione sprecata se non c’è, pronto a coglierli, un soggetto politico credibile e coeso. Quello esistente, l’Ulivo, le risposte di Cofferati l’hanno sin qui reso meno credibile e meno coeso.

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