Chi decide le 12.500 assunzioni della nuova compagnia?

settembre 27, 2008


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Domanda imperinente. Il dubbio di Franco debenedetti

Franco Debenedetti, la Cgil ha firmato l’intesa con la Cai insieme con gli altri sindacati: sono previsti 3.250 esuberi e 12.500 assunzioni. Che ne pensa di questo accordo?

Sul numero delle persone sappiamo tutto. Non sappiamo nulla sul loro nome. Cioè: chi è che verrà assunto? Meglio ancora: chi deciderà chi starà dentro e chi fuori? Sarà l’ufficio del personale della Cai? O saranno piuttosto le organizzazioni sindacali? È un punto cruciale: perché a ragione per cui per Alitalia abbiamo buttato via in 15 anni attualizzati 15 miliardi di euro, sta nell’insana alleanza tra potere politico e potere sindacale, per cui le organizzazioni dei dipendenti hanno fatto e disfatto amministratori delegati e piani industriali.

Quindi?

La vendita alla Cai deve rompere con questo passato. Non è ovvio, ci sono state privatizzazioni in cui il processo non è stato breve. Questo punto, cioè chi sceglie le persone, è più importante del piano industriale, degli aerei degli aeroporti e delle rotte. La crisi di Alitalia dipende dalla relazione tra politica e sindacato e su questo versante non mi risulta che ci siano informazioni. Certo che le pressioni che si sono esercitate sui sindacati per fare accettare l’accordo qualche preoccupazione la danno. Ad esempio, il fatto, di cui parlava ieri Dario Di Vico sul Corriere della Sera, che i piloti hanno anche la funzione di addestramento e selezione: è chiaro che questa commistione di ruoli dà loro un potere enorme di decidere sulle posizioni e gli avanzamenti dei piloti, quindi gestiscono un ramo, peraltro uno dei più delicati, della compagnia. Cambieranno le cose?

La sua è una bocciatura?

No. Oltretutto conosco le grandi capacità di Roberto Colaninno e sono sicuro che questo problema l’ha presente più di me. Ricordo che le trattative si sono interrotte proprio quando lui ha detto ai piloti che in azienda ci sono i dipendenti, non le associazioni professionali.
Ma valuto anche le pressioni terribili a cui è e sarà sottoposto. Quelli che lo spingevano ad andare avanti ora lo lasceranno solo. È solo in considerazione di queste difficoltà che, vista la rigidità di alcune componenti sindacali, pensavo che il fallimento fosse la sola soluzione che assicurava che quei legami perversi, che hanno portato Alitalia oltre la soglia della catastrofe, fossero rescissi. È ovvio che, se Colaninno e Sabelli riusciranno a farlo loro, assicurare la continuità è meglio.

Un’occasione persa?

Non necessariamente, appunto: dipende. Se c’era un caso clamoroso in cui era evidente che erano state le sigle sindacali interne a rovinare l’azienda, era questo. Chi ha rovinato un’azienda dovrebbe pagare. Ma almeno che non goda più dei privilegi che ha avuto, che sia messo in condizione di non continuare a farlo. Perché questa situazione, di perversa alleanza tra proprietà pubblica e reale potere interno, non è solo di Alitalia, ma anche di altre aziende del settore pubblico: Poste, Rai, ampi settori della sanità. E Berlusconi, come si sapeva e come si è visto, non è una Thatcher.

di Alberto Tristano

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