Che passi lo straniero

gennaio 30, 2004


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Perché non deve far paura l’ingresso delle banche di altri paesi

“Le Fondazioni no, cerchiamo di levargliele; gli industriali no, sarebbero intrecci perversi; partecipazioni incrociate no, non sono trasparenti; i fondi pensione no, perché non ci sono. Finisce che se le comprano tutte gli stranieri”. Stiamo parlando delle banche, e di quello che potrebbe capitare se il controllo sulla concorrenza bancaria passasse da Bankitalia all’Antitrust.

Non solo populisti rozzi o nazionalisti arrabbiati, e neppure quelli che Tremonti, qualunque cosa dica, é male, ma anche raffinati economisti e seri giornalisti temono che, se si toglie al Governatore il potere di dire sì o no, in nome della stabilità, su ogni cambiamento di proprietà, nessuno impedirebbe più alle grandi banche straniere di conquistare le nostre. Un timore innanzitutto esagerato: se qualcuna delle banche estere che mordono il freno in Intesa, Capitalia, SanPaolo IMI, Unicredito, BNL, Carige, e a cui Fazio centellina gli aumenti di quota, facesse il colpaccio, altre banche per reazione si fonderebbero tra loro, diventando difficilmente scalabili. Un timore infondato, anzi una prospettiva positiva: per le famiglie che chiedono redditività e sicurezza per i propri risparmi, e per le imprese che chiedono finanziamenti per i propri investimenti.
Il vantaggio per i risparmiatori lo riconosce implicitamente lo stesso Governatore: se, come ha detto in Commissione, dal caso Parmalat emerge l’esigenza di più alta professionalità degli intermediari e di maggiore capacità di diversificare il rischio su più titoli azionari e obbligazionari, il rimedio si chiama più concorrenza, più esperienza, più internazionalizzazione. Quanto alla stabilità, é assicurata come prima dalle banche centrali, di Roma e di Francoforte.
I timori degli scettici riguardano le imprese, e non quelle che vanno bene (per loro il discorso é analogo ai risparmiatori) ma quelle, in difficoltà, che non se la caverebbero senza un intervento politico. Questo non sarebbe male in sé, solo che, più sovente che no, avviene in modo opaco, lungo percorsi sotterranei. Anzi, a ben vedere, dietro a quasi tutte le crisi, c’é la politica: dall’Ambrosiano al Banco di Napoli, dalla Federconsorzi alla Cirio, dall’Efim alla Ferruzzi; ed altri, che il tacere é bello. E’ più facile che soggetti nuovi, con baricentro decisionale in altri paesi, rompano i legami consolidatisi negli anni, siano meno sensibili ai nostri equilibri politici, e che la competizione renda più esigui i margini per intermediazioni. Tutte eventualità non certe, ma che, nella nostra “contabilità”, sono da mettere non tra i rischi, ma di sicuro tra le opportunità.

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