Bele sì (proprio qui). Ebrei ad Asti.

maggio 29, 2014



Asti, 18 marzo 2014
con Alberto Cavaglion e Paolo De Benedetti

Roma, 15 maggio 2014
con Enrico Mentana, Giovanni Orsina e Nathania Zevi

Milano, 29 maggio 2014
con Ferruccio de Bortoli e Emilio Ottolenghi


Presentazione a Milano,
Libreria claudiana
29 Maggio 2014


L’occasione da cui sarebbe nato questo libro, è legata a un nome. Attaccato o staccato? C’ è un fatto che ancora oggi non riesco a spiegarmi. Il censimento napoleonico del 1808 mette fine alle incertezze consentite dalla traduzione di Le Bet Baruch: i Debenedetti sono “ufficialmente” attaccati. E così restano in tutti i documenti. Finché, credo negli anni ’30, alcuni, ma non tutti, prendono a scriversi staccati. Perché? Debolezze nobiliari? Fa ridere. Nicomedismo per sfuggire alle leggi razziali? Fa piangere. Io mi son costruito l’ipotesi che derivi dall’afflusso di funzionari del Mezzogiorno, dove il De Benedetti in tutte le sue varianti è diffuso, e ha tutta l’aria di essere parente degli Espositi, Diotallevi. Oggi, se non si dice niente, Debenedetti sul computer lo scrivono staccato.

Nomina nuda tenemus: dalla curiosità sul nome, alla genealogia, alla sapienza del cugino Paolo, alle ricerche e agli scritti di Maria Luisa, alla tesi di Rose Marie, al 150esimo anniversario di Isacco Artom. Nasce così l’idea di inquadrare tutti questi elementi in una solida struttura storica. Mio padre aveva fatto l’autobiografia sua, io avrei fatto scrivere la storia della comunità ebraica. Lui scrive “Nato ad Asti”, Maria Luisa i “vissuti ad Asti”.

Libri su Ebrei di Asti ne esistono già. Bellissimo “I giorni del mondo” di Guido Artom, vero romanzo storico nell’accezione manzoniana di opera mista di “ storia “ e “ invenzione “. In un testo di grande suggestione e delicatezza, su uno sfondo storico che si estende dall’età napoleonica alla vigilia dell’unità d’Italia, Raffaele Artom e la sua famiglia, Isacco Artom, Zaccaria Ottolenghi, Costantino Nigra, Cavour, vengono tratteggiati nei loro pensieri aspirazioni e idealità.

Con Maria Luisa volevamo che protagonista di questa storia fosse la comunità ebraica astigiana, lungo i secoli, dalla sue origini fino alla Shoah. E siccome Maria Luisa è una storica, e gli storici hanno un debole per le fonti, la storia l’ha costruita su fonti archivistiche, con un’istintiva diffidenza verso le fonti orali. Anzi, lo dico prima di scordarmene, se ci sono fatti e documenti che possano completare questa storia della comunità, fatevi avanti, noi, e l’editore, speriamo in una seconda edizione. Ad esempio abbiamo trovato un atto notarile di permuta tra i figli di Salvador Debenedetti e gli antenati di Papa Bergoglio. Ma il jackpot sarebbe trovare gli anelli mancanti in certe genealogie nel ‘500 o nel ‘600.

La storia della comunità ebraica di Asti fa parte di una storia più vasta, quella degli Ebrei d’Europa. Chi l’ha scritta l’ha fatto con questa coscienza e con questa ambizione. Anche “bele sì” si prende parte a quel percorso di emancipazione e di assimilazione, anche qui se ne sperimentano i problemi. Si innovano  le forme esteriori del rito rinunciando a quanto di più vetusto vi era nella tradizione, anche se l’identità rimane ancorata alla peculiarità religiosa e agli usi tradizionali, solo superficialmente ammodernati. Forse è per questo che il Sionismo tra gli ebrei astigiani avrà poi poco seguito. D’altra parte, improbabile che arrivasse da queste parti un Moses Mendelsohn, e che emergesse un Socrate astigiano.

L’eco dell’illuminismo arrivò molto attutita ad Asti: eppure c’è qualcosa di comune a tutti gli Ebrei d’Europa, il modo in cui la loro vita è stata segnata dalla dialettica dell’illuminismo, tra ideali e realtà, tra sogni e incubi, tra i lumi del ‘700 e i roghi del’900. A inizio dell’800 Duesseldorf era più o meno come Asti, 6000 abitanti e 570 ebrei. Quando Heinrich Heine bambino vede Napoleone caracollare a cavallo nei giardini, che fino a quel momento erano preclusi a tutti, capisce che è cambiato il mondo. L’avevano creduto anche i rivoluzionari di Asti: entusiasmati dalla discesa di Napoleone in Piemonte, nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1797, avevano proclamato la Repubblica di Asti. Loro finirono fucilati, Heine era finito studente della scuola pubblica, dove l’insegnamento era in francese. C’è in proposito un aneddoto troppo gustoso per resistere alla tentazione di citarlo. ”Comment di-t-on “Glaube” en français?” chiede l’insegnate alla classe. “Crédit” risponde il piccolo Heine, “la réligion” lo bacchetta l’insegnante. Quanto diversa la sua ottimistica polisemia sul credito (Glaube) da quella sul debito (Schuld) cara ai nostri piagnoni antitedeschi! Perché Heine considerava Ebrei e tedeschi come “i due popoli etici dell’Europa”.

Emancipazione e assimilazione? O finta emancipazione e assimilazione di comodo? In Germania si parlava di ebrei “bagnati” e di “ impermeabili”. Heine considerava aldilà della sua dignità convertirsi per avere un lavoro in Prussia. Per molti anni se lo rimproverò, finendo per notare cinicamente che non si sarebbe mai convertito se Napoleone non fosse stato sconfitto a Waterloo. E poi, come disse anni dopo a Balzac, “ sono battezzato ma non convertito, tutte le religioni sono uguali”. La secolarizzazione ha avuto un ruolo potente nell’assimilazione. Come pure l’ha avuto, nei matrimoni misti, la coesistenza di uno stato civile patrilineare e di una linea di discendenza che, per non dar luogo a ambiguità, non può che essere matrilineare.
Eppure succedono anche cose strane: mio figlio Tommaso neanche per Norimberga potrebbe essere considerato ebreo, figurarsi suo figlio; è totalmente a-religioso, come lo sono la mamma del bambino, gli amici che frequentano; è incapace di gesti stravaganti, men che mai usando un figlio. E allora che cosa mai l’ha indotto a decidere, sorprendendoci non poco, di dare a suo figlio il nome Elia?
Nella famiglia di Thomas Mann, il goi era lui, ebrea la moglie. Quando nel 1918, 10 anni dopo l’ultimo dei primi 3 figli, gli nasce Elisabeth, lui compone un Gesang vom Kindchen (mai tradotto in italiano). E guardando lei che ha “le sopracciglia dei padri e il piccolo naso moresco” pensa al “patrimonio spirituale che ha ereditato e che conserva”. “E mi siedo sulla riva del Nilo, faccio la guardia e tengo la tua manina, osservando il tuo viso e la sua conformazione speciale”.
Esistono tanti modi di sentirsi “parte di”. Ci sono ebrei che non accendono la luce il sabato, ed ebrei completamente secolarizzati, ci sono ortodossi e riformati, ebrei che emigrano in Israele ed ebrei ferocemente antisionisti.
Ci sono tante ragioni per sentirsi “parte di”. “A paragone del dramma che verrà in Germania, scriveva Heine nel 1843, la Rivoluzione francese sembrerà un idillio, i nostri nipoti dovranno avere la pelle spessa”: non pensava certo solo agli ebrei. La dialettica dell’illuminismo tocca gli ebrei e i non ebrei. Per tutti c’è un “appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra, [tutti] noi siamo stati attesi sulla terra” come scrive Benjamin nella citazione che chiude la mia nota introduttiva. C’è una “debole forza messianica che ci è stata consegnata e a cui il passato ha diritto”.
Per gli ebrei ha una risonanza speciale, ma vale per tutti.

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Intervento di Guido Ottolenghi
Milano, 29 Maggio 2014

Ascolta la presentazione di Bele sì (proprio qui) di Milano, 29 Maggio 2014

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