Un piccolo quesito per Fresco e Cantarella

maggio 31, 2002


Pubblicato In: Giornali, Panorama


La vera questione è: quale strategia per Torino

Saranno i colleghi della Commissione industria della Camera, a sentire i vertici della Fiat, grazie al sempre tempestivo Bruno Tabacci che la presiede. Quindi non sarò tra i primi parlamentari a porre domande a Paolo Fresco e Paolo Cantarella. Avrei, per farlo, personali ragioni di interesse: perché, nella mia vita da manager, gli anni passati in Fiat sono stati quelli di maggiore soddisfazione e successo; e in quella da politico ho scommesso tutto sulla capacità del mercato e del capitalismo italiano di promuovere lo sviluppo del nostro paese.

Ma avrei anche molte perplessità: perché quando il Parlamento si interessa ai fatti di un’azienda privata, in un liberista scatta il timore che si possa dar luogo a un’indebita ingerenza nelle strategie di un’impresa, una cosa che meno lo stato ci si mette e meglio è.

E quindi dico prima le domande che non vorrei venissero fatte (e invece c’è da scommetterei che saranno proprio le più gettonate). Nulla sulle cessioni alla General Motors: perché il passaggio di proprietà di un’azienda privata tra soggetti europei interessa solo l’Antitrust. Nulla sulle ricadute occupazionali, oggetto di discussione con i sindacati e con il Governo. Nulla sull’operato del management, su cui il solo giudice è l’assemblea dei soci. Nulla sulle vetture che si faranno e sui modelli per uscire dalla crisi: il mandato popolare non infonde negli eletti le competenze di –superpagati – consulenti.

La vostra strategia resta quella seguita dagli anni 80 o no? Questa è invece la domanda che vorrei porre ai vertici della nostra maggiore industria. Fiat è cresciuta (anche) comperando trattori e macchine movimento terra prima da Ford e poi da Case, camion dalla Ford, autobus e ghisa da Renault, mezzi di produzione dalla Pico, centrali elettriche dall’Edison.
Il fatto che la FIAT abbia adottato questa strategia può essere ricondotto anche ai rapporti che, nel nostro Paese, intercorrono tra potere politico e potere economico, un fatto che in termini generali ha influenzato strutture proprietarie e strategie delle nostre massime imprese. Il Parlamento ha diritto di porre questa domanda, perché dovrà approvare gli aiuti che il Governo predisporrà; ha competenza, perché è radicale il discrimine tra strategia di conglomerata e strategia di focalizzazione; ha una precisa ragione politica, perché sovente le nostre grandi imprese prestano più attenzione al potere politico che a ciò che avviene sui mercati internazionali. Nel frattempo, sono stati resi noti i termini dell’”accordo” con le grandi banche, un piano in cui si parla solo di entità dei prestiti, di cessioni di asset finanziari, cioè in cui si parla dei problemi delle banche.
C’è quindi una ragione in più per fare questa domanda: dato che non l’hanno chiesto le banche, è l’unica sede in cui farsi un’idea di quale sarà, grazie anche alle risorse che il Governo e il sistema bancario mobiliteranno, la Fiat che uscirà dalla crisi.

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