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→  luglio 30, 2020


Tornato a Roma, Conte ha perso l’occasione per confermare che quello di Bruxelles non è stato solo un successo tattico negoziale suo, ma una strada imboccata dall’Italia per “recover” dal colpo della pandemia: quella di dichiarare chiusa la polemica sul MES, accettandolo senza ulteriori discussioni. Doveva farlo non solo per coerenza con quando aveva detto quando cercava di prender tempo, e cioè che avrebbe deciso l’accesso al MES dopo aver visto l’esito delle discussioni sul Recovery Fund, e neppure per ragioni di convenienza economica: doveva farlo per ragioni di logica. Infatti per dare garanzia che l’Italia, senza bisogno di condizionalità, avrebbe usato le risorse per gli scopi per cui ci sono stati concessi e non le avrebbe sprecate in aumento della spesa pubblica, bisogna dimostrare che sono state abbandonate le cause che questo esito hanno, anche in tempi recenti, prodotto. E queste cause sono ideologiche. Mostra di averlo in mente il segretario del PD Nicola Zingaretti quando pone il loro superamento come presupposto per realizzare il vasto piano del suo articolo sul Corriere della Sera del 25 Luglio. Ideologie, come certo ricorda, le hanno (o le hanno avute) in tanti, alcune risorgono sotto nuove spoglie, come quella dello Stato, imprenditore per alcuni, salvatore per tanti. Ma il rifiuto del MES è ideologico in modo emblematico, attivarlo al ritorno da Bruxelles era una occasione per emblematicamente dimostrarlo.

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→  giugno 25, 2020


La riforma della giustizia è imprescindibile, ma è la più difficile. Meglio cimentarsi con cose che non riguardino la pubblica amministrazione come la produttività delle imprese e gli investimenti in infrastrutture. A cominciare dalla scuola

Chiuso il “casino”, tornati silenziosi saloni e giardini, può essere interessante mettere a confronto le conclusioni tratte dall’interno con i suggerimenti che in corso d’opera venivano elargiti all’esterno. In generale vale per gli uni e le altre quello che veniva in mente leggendo, sul Foglio del 17 giugno, “Cambiare l’Italia si può” di Guglielmo Barone, Marco Percoco e Carlo Stagnaro: un titolo da fantascienza, un contenuto o ragionevolmente plausibile (per lo più) o molto rigoroso per evitare di “trasformare gli aiuti europei in clamorosi boomerang”. Ed è proprio su questo che conviene ragionare.

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→  aprile 21, 2010


da Peccati Capitali

Mancano i soldi per la mensa scolastica dei bambini, e i genitori sdegnosamente rifiutano l’offerta di un industriale di pagarla. I vetri delle aule sono sporchi, e i genitori si danno il turno per lavarli durante i week end. Fotocopie, certificati, carta (perfino quella igienica) bisogna o pagarli o contribuire in natura. Perché stupirsi? La scuola gratuita è la scuola più cara: inevitabile, quando le tasse sovvenzionano l’offerta invece che contribuire a sostenere la domanda. Se il controllo di efficienza e di efficacia è sottratto al consumatore, se gli si leva la possibilità di scegliere, non c’è santo: e più si cerca di supplire con controlli e valutazioni, più il costo aumenta e la qualità degrada.

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→  aprile 17, 2010


TOGLIERE LA MENSA SCOLASTICA A UN BAMBINO E’ SEMPRE UN’INGIUSTIZIA, PERCHE’ NON SI PUO’ FAR CARICO A LUI DEI COMPORTAMENTI DEI SUOI GENITORI, PER QUANTO SCORRETTI – MA IN MOLTI ALTRI CASI IL RISCHIO DI DIFENDERE INDEBITAMENTE POSIZIONI DI RENDITA PARASSITARIA DEVE ESSERE ATTENTAMENTE CONSIDERATO E LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA ETICO-POLITICO NON E’ ALTRETTANTO FACILE

Editoriale di Andrea Ichino su La Stampa del 17 aprile 2010

Di fronte a bambini messi alla berlina in mezzo ai loro compagni solo perché i loro genitori non hanno pagato la retta della mensa o dello scuola-bus, è naturale gridare all’ingiustizia. E il motivo è che quei bambini non sono certo responsabili di questa situazione. Ma proprio questo motivo ci invita ad una riflessione su quali siano le situazioni in cui è opportuno che la collettività si faccia carico dello stato di indigenza e povertà dei suoi membri e quali invece quelle in cui l’assicurazione sociale può diventare uno strumento che finisce per proteggere rendite parassitarie.

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→  agosto 26, 2008

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di AA. VV.

Scuola, voucher a prova di Sud

Il bonus alle famiglie divide i poli – Aprea (Pdl): istituti responsabilizzati

L’inizio dell’anno scolastico si avvia a essere celebrato tra le polemiche: questa volta, però, ad accendere gli animi non è solo il caso del “carolibri”, ma le parole (in parte riviste e corrette) del ministro del’Istruzione Maria Stella Gelmini sul livello, a suo parere non adeguato, degli insegnanti al Sud con conseguente proposta di corsi a loro riservati. Un’idea subissata dalle critiche dell’opposizione (Pd, Idv e Udc hanno chiesto insieme che l’esponente del Governo risponda in Parlamento sullo stato della scuola italiana), dei docenti e di altri soggetti come la Chiesa che ieri, attraverso il Sir, l’agenzia dei vescovi italiani, ha fatto sentire la sua voce: «Smettiamola di gettare fango sulla scuola del Sud o del Nord, sui professori fannulloni o quant’altro. Fa solo male, alla scuola e al Paese». Piuttosto, aggiunge la Cei, si discuta nelle sedi appropriate alla ricerca di «consensi ampi».

La premessa della vicenda rimane però indiscussa: i dati dell’Ocse Pisa (acronimo di «Programme for international student assessment») mostrano da tempo che la preparazione degli studenti meridionali sulla matematica e sulle scienze è un passo indietro rispetto a quello degli alunni del Nord, in un generale divario tra l’Italia e gli altri Paesi industrializzati. Una questione è stato fatto notare di preparazione ma anche di salutazione che dà vita ad autentiche contraddizioni: quegli stessi studenti meridionali bocciati nei test internazionali, affollano poi la categoria (il 7,5% sul totale dei diplomati) di chi all’ultimo esame di Stato ha ottenuto il diploma con la lode o comunque con cento.

Una ricetta per un sistema che accanto a luoghi di eccellenza presenta situazioni limite viene dalla proposta avanzata sul Sole 24 Ore (si veda il giornale del 24 agosto) da Franco Debenedetti: una sostanziale liberalizzazione dell’istruzione attraverso la possibilità per chiunque di aprire una scuola rispettando parametri minimi; totale libertà per le famiglie che possono spendere voucher o un credito d’imposta «nella scuola di loro scelta». Una piccola, grande rivoluzione per il nostro sistema di istruzione che adotterebbe una soluzione già messa in campo con successo da Paesi come la Svezia. E che raccoglie adesioni nel centrodestra ma forti perplessità (se non addirittura netta contrarietà) da parte del Partito democratico che paventa il pericolo di un’ulteriore divaricazione tra ricchi e poveri, forti e deboli.

Condivide l’idea Valentina Aprea (Pdl), presidente della commissione Cultura e Istruzione alla Camera e già sottosegretario nel precedente Governo Berlusconi. «Quella del voucher – spiega – è una strada che molti Paesi europei hanno già intrapreso o stanno per imboccare. Penso al “buono sociale” introdotto in Francia ma anche all’ultimo periodo dell’azione di Tony Blair e al suo slogan: lo Stato from provider to commissioner, cioè lo Stato che passa da un’azione di gestione a una di controllo. Il principio è quello di riallocare le risorse finanziarie destinate all’istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie». Per l’esponente di maggioranza è un modo per responsabilizzare le scuole e indica un luogo dove questi principi potrebbero concretizzarsi: è la sua proposta di legge, depositata in commissione e già incardinata, sulla nuova governance delle istituzioni scolastiche. «Non i mancherà il confronto con tutti i soggetti, Regioni comprese» assicura la Aprea. Dall’altra parte, però, l’opposizione non sembra apprezzare troppo l’impostazione di un progetto del genere. «Il Partito democratico – assicura il suo ministro ombra per l’Istruzione Maria Pia Garavaglia (che domani al meeting di Rimini avrà un confronto pubblico con il ministro Maria Stella Gelmini) – farà di tutto per confrontarsi con il Governo su tre punti: reclutamento, merito e valutazione. Un aspetto, quest’ultimo, che viene incontro al desiderio degli stessi insegnanti, desiderosi di mostrare qual è il loro reale valore». L’idea di introdurre un sistema impostato integralmente sulla libertà di scelta delle famiglie non convince però la Garvaglia: «Non vorrei – è il suo timore di fronte all’ipotesi di un voucher – che lo Stato abbandoni la scuola per affidarla alla famiglia. La scuola deve continuare a essere un patto allargato tra Stato, famiglia, docenti e tecnici. La scuola deve tornare a essere un tempio per il futuro del Paese, un tempio del quale possono essere private le mura ma in cui tutto il resto – la qualità, il contenuto – deve essere partecipato dalla comunità, anche da chi per esempio non ha figli». Le perplessità diventano netta contrarietà nel caso di Mariangela Bastico, viceministro all’Istruzione nell’ultimo governo di Romano Prodi. «C’è innanzitutto un ostacolo formale: una proposta del genere, cozza con il dettato costituzionale perché le scuole private non possono essere finanziate dallo Stato. Un sistema del genere comporterebbe tra l’altro un raddoppio dei costi, perché la struttura pubblica rimarrebbe in piedi per assicurare l’istruzione a tutti. Ma allo stesso tempo si penalizzerebbero i più deboli, cioè quelle famiglie povere che non hanno gli strumenti per capire qual è la scuola migliore per il proprio figlio. Verrebbe introdotta così un’ulteriore divaricazione tra ricchi e poveri».

I punti di vista sembrano però riavvicinarsi quando si parla del modo per alleggerire l’«immensa macchina» della scuola: la Bastico guarda con fiducia al federalismo fiscale, dove allo Stato spetterà fissare i requisiti i minimi e alle Regioni occuparsi dell’organizzazione scolastica.

di Riccardo Ferrazza

Sostegno ai docenti per poterli valutare

I test internazionali Pisa, preparati dall’Ocse ma adottati anche da molti altri Paesi, misurano, con prove uguali per tutti alle quali partecipa un campione di studenti scelto con criteri scientifici, le competenze dei quindicenni in literacy (la capacità di comprendere un testo scritto), matematica e scienze, analizzando anche le differenze regionali all’interno degli Stati. Per la terza volta consecutiva l’Italia non solo ha deluso nel risultato complessivo ma, quel che è peggio, ha evidenziato una forte disparità a danno del Sud e delle Isole. Questo è un fatto, e il ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini ha fatto molto bene a riconoscerlo senza reticenze e a decidere, finalmente, di intervenire.

Meno noto, ma altrettanto incontrovertibile, è che le scuole del Sud, quando valutano se stesse, si danno voti superiori a quelle settentrionali. Così è avvenuto anche quest’anno nelle votazioni degli esami di Stato (ex maturità). Così è avvenuto in tutti i casi di sperimentazione dei nuovi metodi di autovalutazione degli istituti scolastici; a partire dal famigerato «Progetto pilota» del ministero della Pubblica istruzione, deriso a suo tempo – in privato – dai funzionari dell’Ocse preposti all’elaborazione dei test Pisa, dai quali le scuole meridionali uscivano malconce. La spiegazione, dicevano all’Ocse, poteva essere una sola: al Sud molti insegnanti risolvevano i test insieme ai loro allievi. Un bell’esempio di lealtà.

Ciò premesso,le disparità regionali non si possono affrontare con i corsi di aggiornamento: non solo odiosi, se rivolti a una parte soltanto dei docenti, ma anche costosi e quasi certamente inutili. È necessario, invece, introdurre invece in tutte le scuole da un lato una valutazione attendibile degli apprendimenti, dall’altro degli incentivi (aumenti di stipendio e scatti di carriera) a favore dei docenti migliori, siano essi settentrionali come Alessandro Manzoni o meridionali come Benedetto Croce.

Da anni la valutazione è considerata l’elemento chiave per migliorare la scuola; e lo ha ribadito ieri Antonio Schizze-rotto sul Sole24 Ore del lunedì. Eppure non riesce a decollare. Come mai? Misurare e confrontare i livelli di apprendimento – tenendo conto, va da sé, dei punti di partenza e del contesto culturale – è complicato ma non impossibile: la maggior parte dei Paesi sviluppati, con vari metodi, lo sta facendo. In Italia hanno pesato il disinteresse dei partiti, nessuno escluso, e la resistenza dei docenti, incoraggiati da sindacati tra i più corporativi: 85omila elettori, e relative famiglie, ai quali vanno aggiunti ^ornila precari aspiranti al posto fisso.

Superare questa resistenza è possibile soltanto offrendo agli insegnanti un’equa contropartita: il sostegno morale cui hanno diritto per una funzione sociale decisiva e sostanziosi aumenti di stipendio, riservati però ai meritevoli.
Una buona formazione non dipende tuttavia dal lavoro isolato del singolo docente bensì dall’efficienza complessiva dell’istituto. La proposta del voucher, avanzata da Franco Debenedetti sul Sole-24 Ore del 24 agosto e ripresa qui a fianco, riconosce questo fatto e affida direttamente agli utenti il compito di valutare le scuole “con i piedi”: allontanandosi dalle peggiori e spendendo il buono-scuola negli istituti più affidabili.
Ogni misura che incentivi la competizione fra le scuole è in sé positiva. Ma a una condizione: che le famiglie possano scegliere in condizioni di parità. Temo invece che le disparità di reddito e soprattutto di informazioni continuerebbero a favorire i ceti abbienti.

di Andrea Casalegno

La difesa degli editori: per i libri scolastici rincari solo dello 0,7%
Il nuovo anno scolastico

Mentre infuria la polemica sui professori meridionali, il mondo della scuola tornerà a breve anche sull’annosa questione del prezzo dei libri di testo. Da una parte associazioni di consumatori e famiglie, dall’altra gli editori, accusati di aumentare il prezzo ogni anno e sostituire troppo rapidamente le edizioni.
Gli editori non ci stanno e affilano le armi. Gli aumenti del 2008, stando all’Associazione italiana editori, «sono notevolmente sotto il tetto dell’inflazione rilevato dall’Istat. L’indice di variazione media percentuale dei prezzi di listino si attesta infatti su un +0,73%: 5 volte inferiore rispetto al 4,1% del tasso d’inflazione di luglio (dato Istat). Una crescita dei prezzi dei libri scolastici davvero minima, e in molti casi inesistente».
Gli editori presenteranno giovedì a Milano gli esiti di un’analisi, realizzata dall’Ispo di Renato Mannheimer, in cui i prezzi di listino dei libri scolastici per le scuole secondarie di I e II grado nel 2008 sono stati confrontati con quelli del 2007. L’indagine contiene anche importanti dati sull’orientamento delle famiglie rispetto alla spesa per l’istruzione dei figli.

Alla difesa degli editori, si aggiunge la protesta dei librai che, per voce del presidente nazionale, Paolo Pisanti, hanno ieri lamentato che il governo ha ignorato le proposte per la detrazione fiscale delle spese in libri scolastici. I librai avevano presentato a luglio le proposte di detrazione fiscale delle spese in libri e l’estensione dei rimborsi per il diritto allo studio fino al quinto anno della scuola secondaria di secondo grado da inserire nella manovra finanziaria 2009. I librai bocciano anche lo scarico da Internet dei testi, «una prassi – ha spiegato Pisanti – molto più costosa, sia per le famiglie che per la pubblica amministrazione, rispetto al normale acquisto con detraibilità e rimborsi così come richiesto da noi».
Bizzarra, la dichiarazione dell’ex ministro dei Beni culturali, Rocco Buttiglione, che ieri ha lamentato «aumenti dei prezzi dei libri per quest’anno fino al 70%». Il deputato dell’Udc, però, non è riuscito a fornire nessun esempio di tali rincari.

ARTICOLI CORRELATI
Scuola, ripensare al voucher
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 24 agosto 2008

Una scuola per l’italia
di Ernesto Galli Della Loggia – Il Corriere della Sera, 21 agosto 20088

Quarant’anni da smantellare
di Mariastella Gelmini – Il Corriere della Sera, 22 agosto 20088

Il passato e il buon senso
di Giulio Tremonti – Il Corriere della Sera, 22 agosto 20088

UK schools need Swedish lessons
Financial Times, 14 agosto 20088

→  agosto 24, 2008

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Il dibattito sulla proposta dei voucher si allarga

Il modello applicato in Svezia è l’unico che ha dato risultati positivi in Occidente: il cardine è la libertà delle famiglie. L’idea di una macchina fondata sull’uniformità non garantisce più la meritocrazia. A Londra c’è chi pensa di abbandonare gli A-level

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