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Archivio per il Tag »Mediobanca«

→  gennaio 4, 2017


Tout se tient. Ma tenere insieme in una pagina un ragionamento che, partendo dal sistema paese, attraverso inclusione sociale, contrasto del populismo, valori della società aperta, tutela più assertiva degli asset, moral suasion per Mediaset, muso duro per Montepaschi, progetto di nuova Europa dei fondatori, settori prioritari di investimento, reddito di inclusione, occupazione e dumping sociale, legge elettorale, governo Gentiloni come ponte per un governo Renzi che metta in sicurezza il sistema paese, così chiudendo con eleganza l’arco retorico che proprio di lì aveva preso le mosse: beh, è un pezzo di bravura di cui bisogna dare atto al ministro Carlo Calenda, e a Mario Sensini che l’ha intervistato. Pauca minora canamus: io mi limiterò a elaborare su uno dei punti, quello della rete di grandi imprese come tutela degli asset strategici.

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→  settembre 20, 2002


«Capitalia e Unicredito sono in conflitto d’interesse» è il catenaccio alla mia intervista su Mediobanca. Tutto il con­trario di quanto ho detto, e che il testo correttamente riporta: «Io non credo che questa situazione si possa con­notare come conflitto di interessi». Aggiungendo «anche per non inflazionare l’espressione e riservarla al conflitto che ben conosciamo.

→  settembre 19, 2002


Intervista di Laura Matteucci

Senatore Debenedetti, che opinione si è fatto di quanto sta accadendo a piazzetta Cuccia?
«Per orien­tarsi, ci si può ri­ferire ai grandi principi genera­li: quello che le aziende devono creare valore per i loro azioni­sti; oppure il principio per cui, anche se og­gi le banche pos­sono detenere partecipazioni in aziende indu­striali, la situa­zione ottimale è quella in cui so­no gli individui, direttamente o tramite i fondi pensione, a possedere le azioni delle aziende. Tutte cose ovviamente giu­ste e condivisibili, da perseguire in una prospettiva di lungo temine. Nell’immediato, io credo che si deb­ba concentrare l’attenzione su un obiettivo molto rilevante per il no­stro Paese, per ragioni sia economi­che che politiche. Questo obiettivo per me è l’indipendenza di tre sogget­ti. Innanzitutto, quello dell’unica no­stra grande impresa europea, tra l’al­tro l’unica vera public company ita­liana: le Generali».

E di Mediobanca, immagino.
«Esatto, l’indipendenza di Me­diobanca, che è – non dico l’unica per non offendere nessuno – ma cer­to la nostra maggiore merchant bank. E infine l’indipendenza del Corriere della Sera, il nostro maggio­re giornale. Indipendenza nel senso che le loro identità aziendali venga­no preservate, la loro gestione e i loro obiettivi non siano subordinati a quelli dei soggetti controllanti. An­che perché queste sono le condizioni della crescita. Per esempio è impor­tantissimo che Rcs cresca e si raffor­zi, magari con l’ingresso in Borsa: è fondamentale che entri nella partita per privatizzare la Rai, in modo da fare uscire il Paese dal duopolio pub­blico privato, che avvantaggia tanto Berlusconi».

La porta girevole delle Genera­li si è aperta ancora una volta, con l’uscita di Gianfranco Gut­ty e l’arrivo di Antoine Bernheim: adesso che succede?
«Parlavo prima di crescita: è in­dubbio che i risultarti di Generali non sono stati soddisfacenti. Un esempio: l’Ina, un’acquisizione paga­ta cara, non sembra abbia portato ad una sua valorizzazione, che ne abbia utilizzato tutto il potenziale».

Quale sarà l’esito della partita che si è aperta in Mediobanca?
«Non faccio previsioni, come po­litico posso solo indicare quelli che a me sembrano gli interessi generali da perseguire: credo di averli indivi­duati in questa indipendenza, e quin­di penso si debbano giudicare gli esi­ti alla luce di questo obiettivo».

La strada intrapresa le sembra quella più giusta, rispetto al­l’obiettivo che ha indicato?
«È presto per dirlo».

C’è chi all’origine di tutti i pro­blemi vede il conflitto d’inte­ressi tra Mediobanca da un la­to e Unicredit e Capitalia dall’altro. È d’accordo?
«Capitalia e Unicredit sono i due soci bancari di Mediobanca. Hanno proprie ambizioni di mer­chant banking, e partecipano al capi­tale di una merchant bank. Io non credo però che questa situazione si possa connotare come conflitto di interessi. Anche per non inflaziona­re l’espressione e riservarla al conflit­to che ben conosciamo. Io lo chiame­rei un conflitto operativo, tra due opzioni: sviluppare un business al­l’interno, o partecipare ad uno ester­no al perimetro aziendale. I mana­ger devono scegliere tra due opzioni. Con un caveat, nello specifico. Nes­suna grande banca ha avuto succes­so nel merchant banking. Del resto, anche IntesaBci ha acquisito una par­tecipazione in Lazard, ma c’è da rite­nere che le lascerà grande indipen­denza operativa, senza cercare di in­tegrarla».

→  luglio 3, 2001


Intervista di Patrizia Rettori

La tempesta Montedison si è abbattuta sul mondo politico con effetti singolari. Ulivo e Casa della Libertà erano uniti prima delle elezioni attorno al decreto varato dal governo Amato per sterilizzare il peso del colosso francese Edf. E lo sono anche adesso che nella par­tita è entrata la Fiat: il governo di­chiara la sua neutralità, e l’ex presi­dente della Camera Violante apprezza. Eppure la vicenda ormai non è più solo nella scalata di un monopolista straniero ad una gran­de azienda italiana: il paesaggio fi­nanziario può uscirne sconvolto, con il declino di Mediobanca e l’a­scesa della Fiat. In più. ed è una ma­lignità di dominio pubblico, tutto nascerebbe da un patto Agnelli­-Berlusconi: l’Avvocato ha appoggia­to il Cavaliere in campagna elettora­le, il governo ricambia lasciando mano libera alla Fiat. Franco Debe­nedetti, senatore dell’Ulivo, dissen­te sia dal suo schieramento che dal governo.

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→  dicembre 30, 1998


Fondazioni Bancarie.
Gradualismo o Tempestività nelle dismissioni?
Proposte per il legislatore.

Associazione borsisti Marco Fanno, N. 5, 1998
Interventi di Mauro Agostini, Franco Debenedetti, Mario Draghi, Gianfranco Imperatori, Marcello Messori, Roberto Pinza, Pasquale I. Scandizzo.


Mi ha colpito il fatto che, nel giro di pochi giorni, il te­ma, — annoso ed assai frequentato, ma sempre attuale con la sua irrisolta incombenza — di quella specie di condanna per cui sono così poche le imprese italiane che da piccole diven­tano grandi, abbia ricevuto attenzioni sia pure provenienti da parti così diverse tra loro per collocazione politica e per ruoli istituzionali.

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→  marzo 16, 1995


La proposta Mediobanca ha impresso una subitanea accelerazione al processo di privatizzazione della Stet: mentre si sta discutendo di chi avrebbe avuto il ruolo di coordinatore del collocamento, Mediobanca salta un passaggio e mette sul tavolo un’offerta di acquistare le azioni a fermo. Il clamore suscitato fa passare in secondo piano il passaggio successivo, quello realmente portante, e cioè l’assetto finale che si vuole ottenere.
Già è stato ripetuto alla noia (e, si sospetta. col fastidio di alcuni) che l’assetto industriale del settore è ciò che realmente conta nelle privatizzazioni.

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