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Archivio per il Tag »lockdown«

→  dicembre 10, 2020


di Franco Debenedetti, Natale D’Amico e Francesco Vatalaro

Uno studio pubblicato su Nature mette a punto un metodo che prevede i casi reali dei contagi e la loro evoluzione

Per contrastare la pandemia (prima che arrivino i vaccini, e finché non saremo praticamente tutti vaccinati) ci sono sostanzialmente due modi: evitare i contagi e isolare quelli che possono contagiare. I lockdown e i tamponi. I due metodi sono opposti per molti aspetti: per la granularità, nulla nel lockdown totale, massima, fino al singolo individuo, con i tamponi; per la collaborazione richiesta, pura obbedienza nei lockdown, volontaria coi tamponi; per la lesione delle libertà personali, grave nei divieti di movimento inerenti ai lockdown, minima coi tamponi; per l’efficienza attesa dalla pubblica amministrazione, “militare” per i lockdown, elevata per i tamponi, dato che i positivi vanno seguiti e isolati. I costi sono per entrambi notevoli e dipendenti, per il lockdown dalla durata ed estensione, per i tamponi dalla frequenza di ripetizione. Infine dai pericoli per la privacy, nulli nel lockdown, lasciati all’attenzione del personale nei tamponi. Dall’insorgere della pandemia, le pubbliche autorità hanno deliberato su chiusure e aperture, su categorie e su attività consentite; sui tamponi invece, tranne casi isolati, non sono riuscite neppure ad assicurarne la disponibilità in quantità adeguata. In entrambi i casi prendendo decisioni sulla base di valutazioni spesso qualitative o di analisi di parametri e di soglie lasciate all’apprezzamento di esperti, sprovvisti di un feedback georeferenziato e tempestivo sugli effetti delle misure prese. E’ invece noto che si formano dei focolai di contagio ossia luoghi di “super diffusione” del Covid-19 che per di più variano nel tempo in intensità e localizzazione in modo a prima vista imprevedibile; specie quando il numero di casi infetti supera una certa soglia e diviene difficile prevedere dove si verranno a creare. Inoltre sono ben note le disparità nei tassi di infezione entro una popolazione, con impatto sproporzionato del virus sui gruppi socio-economici svantaggiati.

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→  ottobre 14, 2020


Caro Aldo,
per evitare il lockdown basta bloccare chi infetta. I malati stanno o nelle loro case o in ospedale, gli asintomatici invece infettano senza saperlo. Per avere probabilità di prenderli ci vuole una rete fitta e grande di tamponi. Quanti? Probabilmente un milione al giorno basterebbe a riportare R sotto 1. Oggi ci sono i test salivari: costano 1-2 euro, senza personale specializzato, responso in 20 minuti. Basterebbe che aziende, scuole, locali, teatri consentissero l’ingresso solo a chi ha fatto un test con esito negativo. Ammesso che ci sia una struttura sul territorio capace di gestire programmi di questo genere. Tutto il contrario di quello che si legge e si ascolta.

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→  aprile 30, 2020


C’è nell’aria odor di soldi, come mai prima d’ora: Recovery Fund, BCE, Banca d’investimento europea, SURE MES. Mariana Mazzucato confida a Repubblica il suo entusiasmo: “Ora uno Stato imprenditore, che decida dove investire! E’ l’occasione che abbiamo per trasformare l’economia italiana”. E poiché, fa osservare, è questa la ragione per cui Conte l’ha chiamata a febbraio” e poi, aggiungiamo noi, ha detto a Vittorio Colao di metterla nella sua task force, le appare l’occasione della sua vita: lo stato imprenditore, e con tanti soldi! E tutti soldi liberi, senza condizionalità, anche quelli­­­­­­­­ del MES, che ci han pensato gli amici dei Cinque Stelle a fargli l’esame del sangue, e se ne trovavano una traccia facevano cadere il governo. Arrivati che saranno in cassa, ci penserà lei a mettere le condizionalità. Le aziende “prima le si aiuta, mettendo le clausole che rispetteranno, per esempio come e su che cosa investiremo”: poi ci sarà lo Stato “che agisce in simbiosi con le imprese, indirizzando e coordinando investimenti e iniziative e che dimostra di avere una strategia, una visione di quale economia viviamo”.

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→  aprile 29, 2020


Sono oggettivamente da regime dittatoriale autocratico le condizioni in cui ci fa vivere il lockdown. Sospese le libertà individuali, di muoversi nel territorio nazionale, di riunirsi, di manifestare; limitato il diritto di proprietà; ridotto a simbolica formalità il potere legislativo, quello delle camere elette, assunto dal potere esecutivo che agisce con propri decreti, e si fa legittimare da tecnocrati da lui stesso nominati. Costretti a vivere reclusi in ambienti ristretti, da cui si può uscire solo per le necessità indispensabili per la sopravvivenza. La vita sociale ridotta praticamente a zero, quella lavorativa limitata al cosiddetto smart working; che sarà anche la modalità del futuro, ma comporterà da un lato la taylorizzazione del lavoro impiegatizio per poterlo pagare a cottimo, dall’altro la perdita della “serendipity della macchina del caffè”. Tutto questo mentre il paese sprofonda in una crisi economica che lo fa arretrare di una generazione. I regimi autocratici si reggono sulla paura, perlopiù della morte: che qui è il possibile esito di un’agonia solitaria, dolorosa, interminabile.

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→  aprile 17, 2020


di Franco Debenedetti e Natale D’Amico

Senza indicare un criterio la scelta delle data per la fine del lockdown sembra un’estrazione casuale priva di ogni ragionevolezza.

Perché il 4 Maggio? Immagino che il Presidente Conte abbia chiesto ai suoi consiglieri tecnici quando si poteva rischiare un rilassamento delle costrizioni; avrà fatto presente le necessità degli operatori economici (e del nostro PIL), il rischio di un’insofferenza della popolazione. I consiglieri avranno indicato una data in cui ritengono che la probabilità di contagio si sarà ridotta in modo da non rischiare ricadute. E l’avranno fatto nella motivata previsione che alcuni dati avranno stabilmente raggiunto entro il 4 maggio quei valori che consentono la parziale riapertura . Quali sono questi dati e quale la soglia attesa? Il numero dei nuovi contagi o la loro diminuzione media giornaliera? Il numero di ricoverati in terapia intensiva, quello dei cittadini testati, o a cosa altro? La risposta non arriverà, ma la verità la sappiamo: quei numeri non sono stati enunciati perché mancano i dati, a partire da quello fondamentale, cioè il numero di asintomatici e di quanti hanno la malattia in incubazione o non sono stati dichiarati. Il 23 marzo scorso rivolgemmo un accorato appello ai decisori politici affinché raccogliessero, elaborassero, mettessero a disposizione di tutti un maggior numero di dati, e di migliore qualità, intorno alla evoluzione della epidemia. Non siamo stati i primi a porre la questione, altri hanno seguito: tra tutti, Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, ex presidenti dell’ISTAT, decani della scienza statistica italiana, fiancheggiati da numerosi loro colleghi.

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→  aprile 1, 2020


È una fortuna che il Governo goda di un giudizio positivo, anche se purtroppo non se lo merita. Dati, imprese, soluzioni. Idee per evitare che l’Italia guarisca morendo.

Sarà perché siamo tutto il giorno su Internet, sarà perché tutti siamo concentrati a cercar risposte agli stessi interrogativi, ma sembra che sia aumentata la velocità di circolazione delle idee: ancora pochi giorni fa erano quelle sui dati per conoscere il presente, adesso son quelle sul “dove stiamo andando” per evitare di perdere il futuro. C’è una logica comune tra la strategia per quali e quanti dati raccogliere, e quella per evitare che il Paese “muoia guarito”, per mutuare la frase di Renaud Girard, il grande cronista di guerra del Figaro. E ciò, com’è ovvio, chiama in causa il Governo, la sua strategia, la sua capacità di far ripartire il Paese. E il giudizio, come si vedrà, è del tutto diverso da quello che ci raccontano le analisi demoscopiche: giudizio sia su quello è stato fatto, sia su quello che ci si dovrebbe preparare a fare per riportare le aziende a produrre e la gente a lavorare; e sulle le ragioni culturali e politiche che ne sono alla base.

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