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→  gennaio 30, 2014


di Riccardo Sorrentino

All’Unione monetaria manca un pezzo. È stata costruita sul presupposto, molto teorico, che le economie reali, convergendo, avrebbero riequilibrato anche gli squilibri finanziari. Non è andata così. Eurolandia convive con forti squilibri tra Paesi creditori e debitori e senza un sistema “simmetrico” per risolverli.

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→  gennaio 30, 2014


Nell’Unione monetaria i poveri finiscono per salvare i ricchi? O sono i ricchi a cadere in una trappola? Analisi di un meccanismo che fa litigare stati e banchieri.

Le tensioni del 2012, apice della crisi finanziaria, sono diminuite: per il debito sovrano si sono ridotti gli spread, per le banche può partire la verifica della loro solidità. Si sono abbassati i toni della contrapposizione politica tra chi ha visto nella crisi la dimostrazione dell’urgenza di andare subito verso l’unione fiscale e chi invece è fermo nel considerare il rispetto dei trattati esistenti come la base di legittimità dell’Unione europea. Vivace continua invece la polemica tra economisti sulla politica monetaria: non solo sugli interventi della Bce, ma addirittura sul sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione europea, che pure le Banche centrali hanno il compito primo di assicurare. Succede che venga messo in discussione perfino Target2, lo strumento del Sistema delle Banche centrali con cui funziona il sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione monetaria: per alcuni sarebbe il mezzo con cui i poveri finiscono per salvare i ricchi, per altri la trappola in cui sprofonda la ricchezza dei cittadini. Bloccata la strada della mutualizzazione dei debiti, impraticabile quella dell’uscita dall’euro, gli exit sono preclusi.

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→  gennaio 29, 2014


di Francesco Giavazzi

La «privatizzazione» delle Poste è l’esempio di ciò che accade quando un governo debole e pressato dai conti pubblici, perché non è capace di tagliare le spese, si trova a dover cedere a interessi particolari anziché operare nell’interesse dei cittadini e dello Stato. L’operazione pare costruita su due principi: far contenti i sindacati concedendo loro un implicito diritto di veto su qualunque modifica del contratto di lavoro. E non contrapporsi a un management che si è abilmente conquistato la benevolenza del governo rischiando 70 milioni della propria cassa per coprire le perdite di Alitalia.

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→  gennaio 24, 2014


Intervista di Piero Vernizzi

“La privatizzazione di Poste Italiane nasce con due errori di fondo. Il primo è il fatto che non è una privatizzazione, dato che lo Stato mantiene una partecipazione di assoluto controllo. Il secondo è che, vendendole insieme, mantiene unite due attività, quella di una banca e quelle di una società di spedizioni, invece di cogliere l’occasione per separarle.” Questa è la presa di posizione di Franco Debenedetti, presidente della Fondazione Bruno Leoni.
Il consiglio dei ministri di oggi approverà il pacchetto relativo alle cessioni di quote pubbliche di Poste Italiane ed Enav. A Palazzo Chigi sarà discussa in particolare I’lpo (offerta pubblica iniziale) di Poste, con ‘obiettivo di cedere tra il 30 e il 40% della società quotandola in Borsa dopo l’estate.

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→  gennaio 22, 2014


di Raffaele Bonanni

Caro Direttore,
solo alcuni organi di informazione (tra cui Il Sole 24 Ore) hanno saputo valorizzare la svolta storica rappresentata dall’accordo sulla rappresentanza tra le tre maggiori Confederazioni sindacali e Confindustria. Una straordinaria “riforma istituzionale” che sana un ‘vulnus’ sulla certificazione della rappresentatività sindacale che esisteva fin dal varo della Costituzione repubblicana.

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→  gennaio 21, 2014


Sono stato un piccolo imprenditore, un calzaturificio con 15 dipendenti”. E’ Vincenzo che scrive, da un piccolo paese delle Marche: ed è Giorgio Napolitano che gli dà voce, è la prima delle lettere da cui ha preso le mosse nel suo discorso di Capodanno, per ricordare la drammatica situazione dei disoccupati. Non voglio in alcun modo attribuire al capo dello stato intenzioni recondite, né suggerirne un’interpretazione. Ma è un fatto che la lettera che egli ha scelto descrive non solo la presente situazione di un 61enne che non trova un impiego, ma anche quella dell’azienda che ha dovuto chiudere: che aveva 15 persone, una in meno delle 16 che fanno scattare il famoso art. 18 sui licenziamenti.

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