→ Iscriviti
→  aprile 25, 2008

sole24ore_logo
“Caro Professore, perché si ostina a essere trattato come un cane in chiesa? Venga a prendere il posto che fu di Marco Biagi, in materia di lavoro avrà carta bianca”. Devono essere state queste, più o meno, le parole con cui Silvio Berlusconi ha chiesto a Pietro Ichino di fare il Ministro del lavoro nel suo nuovo Governo.

leggi il resto ›

→  giugno 3, 2007

sole24ore_logo
Che cosa ci possiamo ragionevolmente attendere da questo Governo? La vicenda Visco – Speciale ha dimostrato il potere di condizionamento di un piccolo partito, è un altro precedente che verrà utile alla prossima occasione. Il contratto degli statali è stato chiuso 101 a zero, nulla essendo stato ottenuto sul piano del riconoscimento dei meriti, non parliamo della sanzione dei demeriti.

leggi il resto ›

→  marzo 9, 2006

lastampa-logo
Programmi

di Luca Ricolfi

Esattamente dieci anni fa, all’inizio del 1996, usciva un libro di Marco Revelli intitolato «Le due destre». Era il periodo in cui Prodi e il Pds inventavano l’Ulivo, e Berlusconi e Fini guidavano il Polo delle libertà senza la Lega. La tesi di Revelli era che nell’Italia della seconda Repubblica lo scontro politico non era fra una sinistra e una destra, bensì fra due differenti tipi di destra: quella populista e plebiscitaria di Fini e Berlusconi, e quella elitaria e tecnocratica di Prodi e D’Alema.
Si può sottilizzare sui dettagli, ma – a dieci anni di distanza – è difficile non riconoscere che Revelli aveva visto giusto: nel quinquennio 1996-2001 il centro-sinistra fece ben poche cose di sinistra, e molto di quel che fece – privatizzazioni, liberalizzazioni, flessibilizzazione del mercato del lavoro – è precisamente quel che tradizionalmente ci si aspetta da un governo di destra (detto per inciso, è questa la vera ragione per cui Bertinotti fece lo sgambettto a Prodi, e dal suo punto di vista non saprei come dargli torto).
Dunque è vero: nel 1996 l’elettore fu chiamato a scegliere fra due destre, e preferì quella liberista a quella populista. Ma oggi? Oggi, a mio parere, la scelta non è più fra due destre ma fra due sinistre. Nel frattempo, infatti, sono successe due cose molto importanti, che hanno completamente sconvolto l’offerta politica.
La prima è che la sinistra è riuscita a formare un’alleanza larghissima, che va da Mastella a Bertinotti, e a mettere a punto un programma che è convintamene sostenuto innanzitutto da Bertinotti stesso. Per quanto vago e pieno di formule ambigue, il programma dell’Unione è chiaramente più di sinistra dei programmi del 1996 e del 2001, ed è per questo che Bertinotti lo difende e lo difenderà a spada tratta, bloccando ogni tentativo di darne un’interpretazione eccessivamente modernizzatrice. Quando Bertinotti dice che i pericoli per la governabilità verranno da quello che lui chiama il centro ha perfettamente ragione: se l’Unione vincerà, i primi a trovarsi a disagio non saranno i «comunisti» del Prc e del Pdci, marginalizzati da un partito democratico che non c’è, bensì i liberisti annidati nella Rosa nel pugno, nella Margherita, nella destra Ds. Insomma la prima vittima dell’Unione non sarà l’ala sinistra dell’Unione stessa ma la cosiddetta «agenda Giavazzi», ossia il programma di scongelamento del sistema proposto qualche mese fa dall’economista milanese. Dunque Revelli ha ragione per il passato, ma la sinistra di oggi sembra aver ascoltato non pochi dei suoi consigli, e si presenta (finalmente?) davanti all’elettorato con un classico programma di sinistra, molto attento a restituire il maltolto al lavoro dipendente e a rinforzare lo stato sociale.
Ma c’è una seconda novità, meno visibile della prima. Da allora anche la destra è cambiata, e molte delle cose che ha fatto in questi anni sono cose «di sinistra». Ha aumentato le pensioni dei lavoratori più deboli. Ha fatto crescere il peso della spesa sociale sul Pil, che invece l’Ulivo aveva tenuto costante. Ha deprecarizzato il mercato del lavoro, che invece l’Ulivo aveva flessibilizzato. Ha fermato le privatizzazioni e le liberalizzazioni, che invece l’Ulivo aveva portato avanti.
Ecco perché dicevo, un po’ provocatoriamente, che oggi l’alternativa non è più fra due destre, come dieci anni fa, ma fra due sinistre. Da una parte l’Unione, ossia la vera sinistra, che promette di liberarci da Berlusconi e di ridistribuire reddito dai ceti medio-alti a quelli medio-bassi. Dall’altra la Casa delle libertà, ossia la falsa destra, che promette di conservarci Berlusconi e di finire il lavoro neo-statalista iniziato cinque anni fa.
Non è questo il luogo per esaminare le differenze fra le soluzioni degli uni e quelle degli altri, che sono indubbiamente notevoli sia sul piano economico sia sul piano sociale. Ma è difficile sfuggire all’impressione che entrambe capitalizzino sulle paure degli elettori, sul bisogno di protezione, sulla difesa di interessi perfettamente legittimi ma settoriali. Insomma, visti da vicino il programma dell’Unione e il programma della Casa delle libertà appaiono profondamente conservatori, terribilmente preoccupati di blandire le rispettive basi sociali, tragicamente incapaci di verità e di coraggio, irresponsabilmente omissivi sullo stato dei conti pubblici e sulle scelte (anche dolorose) che sarebbero necessarie per rilanciare lo sviluppo. Eppure se la torta non crescerà non ci sarà niente da distribuire, e ci ritroveremo come sempre a incolpare la mala sorte, l’opposizione, il terrorismo, l’avversa congiuntura internazionale.
Con questo non voglio suggerire che la scelta fra Casa delle libertà e Unione non sia importante. Quella scelta determinerà in che tipo di democrazia vivremo nei prossimi anni, e lungo quali sentieri verrà incanalato il declino dell’Italia, insomma la velocità e la direzione della nostra «argentinizzazione». Ma come elettore preferirei poter pensare di avere una terza chance.

ARTICOLI CORRELATI
Non due sinistre, ma due statalismi: populista (Berlusconi), sociale (Prodi)
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 11 marzo 2006

→  febbraio 11, 2006

corrieredellasera_logo
Il dubbio

di Piero Ostellino

A Otto e mezzo, giovedì scorso, il senatore Franco Debenedetti ha accusato Berlusconi di aver «spaccato» il Paese. Berlusconi ha ritorto l’accusa sulla sinistra. Fine della discussione. Ma che vuol dire «spaccare il Paese»? Vuol dire—a sinistra come a destra—governare, prendere delle decisioni. Per molti italiani è del tutto intollerabile che non vinca le elezioni la propria parte politica e, soprattutto, è del tutto illegittimo che il governo della parte avversa faccia poi una politica diversa da quella che farebbe la propria.
Da noi, la democrazia è una «categoria dello spirito», da professare; guai se diventa una «categoria della realtà», da vivere. Domenica scorsa, Furio Colombo ha citato, nel suo articolo di fondo sull’Unità, la lettera con la quale un lettore sosteneva testualmente che, qualora Berlusconi vincesse le elezioni, lui vivrebbe i cinque anni successivi «nel terrore» (!?). Casi analoghi si trovano a destra.Mi sarei aspettato che Colombo liquidasse l’affermazione come una colossale fesseria. Invece, l’ha presa sul serio. E se incominciassimo noi, giornalisti, a essere un po’ più seri?
Personalmente, sono dell’opinione che l’Italia democratica non sia mai stata tanto viva e fertile come quando
si è «spaccata»: dall’adesione alla Nato alla guerra in Iraq; dai tempi dei referendum sulla scala mobile, sul divorzio e l’aborto, a Tangentopoli e Mani pulite. Le «mezze riforme» del governo Berlusconi sono state — per molti fra i suoi stessi elettori — un «mezzo insuccesso»; per gli elettori del centrosinistra sono cattive. Ma a me pare che il governo di centrodestra — quale che sia il giudizio sulle riforme—abbia avuto, se non altro, un merito.
Quello di aver sollevato problemi ignorati da tutti i governi precedenti «per non spaccare il Paese». Senza l’«anomalia Berlusconi»—che sull’argomento ha davvero «spaccato» il Paese — si sarebbe mai parlato di una magistratura corporativa, autoreferenziale, professionalmente inadeguata, come ha fatto ancora di recente una fonte non sospetta, il presidente della Cassazione? Non corriamo il rischio che il centrosinistra, una volta vinte le elezioni, invece di migliorare la riforma del centrodestra, finisca con sotterrare definitivamente il problema?
Non sono fra quelli che paventano un successo del centrosinistra, ma una cosa la temo: che il Paese sprofondi
nuovamente nella palude del politicamente corretto, della concertazione, delle «questioni morali» (che mascherano le «questioni politiche»), della stabilità sociale (che giustifica la dispersione di ricchezza), dell’unanimismo inerte (che mortifica il riformismo e soffoca la modernizzazione e al riparo del quale ingrassano gli interessi corporativi). Vorrei vivere in un Paese in cui su una cosa fossimo tutti d’accordo: che la democrazia è alternanza di governi di destra e di sinistra le cui politiche differiscono nei mezzi, e sui mezzi «spaccano il Paese», ma non mettono in discussione il fine (le libertà). Vorrei una sinistra che avesse il coraggio di riformare (anche) la prima parte della Costituzione, che è frutto di un compromesso, ha a suo fondamento una serie di anacronistiche astrazioni collettive (dal lavoro all’interesse sociale, che condizionano i diritti individuali come la proprietà e la libertà di intrapresa). I nazisti non sono più alle porte, Prodi non è il capo del Cln e le Costituzioni liberali sono procedurali. I programmi di governo li decidono gli elettori.

ARTICOLI CORRELATI
Debenedetti vs Berlusconi a Otto e mezzo
9 febbraio 2006

→  gennaio 26, 2006

lunita-logo
Economia e lavoro

La denuncia dei limiti intrinseci dei contratti collettivi di lavoro, che ne fanno strumenti inadatti a regolare i rapporti sindacali in una società moderna, esposta da Pietro Ichino sul Corriere della Sera, gli sono valsi critiche e consensi. Solo che le critiche gli son giunte da sinistra, nella settimanale riflessione politica di Eugenio Scalari, e i consensi dalla destra sociale, in un’intervista, sempre su Repubblica, del Ministro Gianni Alemanno.

leggi il resto ›

→  luglio 5, 2005

il_riformista
PRIMARIE. PERCHÉ È NECESSARIO CONCORRERE

«Scegliamo il leader del centrodestra con le primarie» dice Marco Follini al congresso dell’Udc: e Berlusconi esce dalla sala in gran dispitto. Se la proposta di presentare un candidato riformista alle nostre “primarie” non l’avessi fatta uscire sul Corriere della sera, ma in pubblico, e in sua presenza, non credo che Prodi avrebbe fatto lo stesso, anzi credo che avrebbe reso palese il suo consenso.

leggi il resto ›