Ora i Ds ci dicano che cosa ne pensano

settembre 19, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Ma i Ds, sulla vicenda Telecom e dintorni, come la pensano? Nicola Rossi nell’intervista al Sole chiede l’allontanamento di Rovati; Pierluigi Bersani in tempestive dichiarazioni individua il problema nei piani alti della catena di controllo: ma i Ds, come gruppo dirigente come la pensano? Le vicende che hanno determinato il cambio al vertice di Telecom hanno un rilievo che va ben oltre lo scontro di interessi e il contrapporsi di personalità, sollevano questioni di fondo che riguardano il governo dell’economia e i rapporti tra politica e imprese: ed è su queste che sarebbe utile sapere la posizione del maggior partito dell’Unione.

1) La prima questione è di corporate governance, una materia che è stata negli anni recenti oggetto anche di iniziative di legge. Riportata al caso concreto, la questione è: come vede Guido Rossi il suo ruolo in Telecom? Come quello dell’avvocato del principale azionista, per rappresentarlo in particolare verso le autorità, politiche, di regolazione, giudiziarie; o quello del presidente che fa gli interessi di tutti gli azionisti e controlla l’operato del management? Ricordiamo quanto fatto da Rossi da senatore, alla presidenza di Consob, di Telecom, lasciata proprio a causa di una corporate governance a suo dire troppo favorevole al nocciolino duro. Ricordiamo la sua polemica in favore di ripartizioni di poteri che vedano management forti e azionisti deboli, il suo appassionato atto d’accusa su conflitti di interesse endemici ed epidemici. Ricordiamo e restiamo sconcertati nel leggere il suo proposito di voler portare avanti i piani preparati sotto la precedente presidenza prima forse di averli letti, prima probabilmente di averne appreso dettagli determinanti (quanti debiti e quante persone andranno dentro ciascuna delle tre unità che verranno scorporate?), prima certo di averli confrontati con piani alternativi. Il conflitto di interessi non è solo quello che riguarda il Cavaliere, ma anche quello che oppone gli azionisti di controllo agli altri (qui oltre 80%) azionisti. La corporate governance è materia di iniziative governative, come la pensano i Ds? C’è largo consenso tra analisti e società di rating, che i debiti di Telecom non destino preoccupazione; e, se così non fosse, la strada maestra sarebbe quella dell’aumento di capitale. E poi, si possono tagliare cespiti, e si possono tagliare spese.

3,6% di chi ha risposto a uno pseudosondaggio condotto da Repubblica lo ha fatto per caldeggiare l’intervento dello Stato. Un déjà vu , per ricordare che le libere decisioni dell’impresa si attuano all’interno di una cultura economica e politica che i partiti contribuiscono a formare.

2) C’è la questione della italianità delle imprese e della loro eventuale difesa. A suo tempo i Ds, per ottemperare alla richiesta di Bruxelles, resero la golden share attivabile solo per impedire rinazionalizzazioni di imprese che noi avessimo privatizzato: un episodio esemplare di europeismo e di liberismo. Sono sempre su questa linea i Ds? Si sente ancora citare (e difendere) il modello renano, quando forse in riva al Reno non esiste più: anche grazie alle riforme di Schröder, la Germania ha fatto passi da gigante verso la separazione di proprietà e controllo. Di chi sono oggi grandi imprese come Man o Linde? Noi non vendiamo Enel fino all’ultima azione nel timore che qualcuno se la comperi: ma di chi è Eon, il gigante dell’energia elettrica e del gas? Di chi è Vodafone, di cui potrebbe benissimo diventare amministratore delegato Vittorio Colao o Pilkington di cui lo è stato Paolo Scaroni? E’ importante dove l’impresa ha sua sede, perché attorno ad essa si sviluppano attività pregiate, finanziarie, di comunicazione, legali, creative: ma trattenere le sedi decisionali dipende dalla capacità di rendere i nostri centri attraenti e convenienti, e ciò dipende all’attività dei governi, nazionali e locali. Attribuire un valore al passaporto dell’azionista di riferimento, consentire con le società a cascata una leva finanziaria quasi sempre usata per diversificare e mantenere il controllo: è di qui che nasce il paradosso di un capitalismo senza capitali. Paradosso del tutto apparente, capitali italiani sono magari proprio all’interno di quei fondi di private equity che potrebbero acquistare Tim, ove questa venisse messa in vendita.

3) C’è il problema delle infrastrutture di rete. Lì la confusione è massima, non essendo neppure chiaro se si tratta solo dell’ultimo miglio o anche della rete di trasporto, se comprende anche radio mobile, e l’HW e il SW di gestione. Saranno necessari grandi investimenti per aumentare la larghezza di banda necessaria ai nuovi servizi di rete, in un contesto di rapidi mutamenti, tecnologici e di modelli di business. Si richiederà velocità di decisione, contiguità tra chi progetta e vende i servizi e chi investe per la loro trasmissione. Che opinione hanno i Ds sull’assetto proprietario e regolatorio che garantisca sviluppo senza che esborso finanziario e rischio imprenditoriale gravino sulle casse dello Stato?

4) E infine il problema di fondo, quello del rapporto tra politica e affari. Nel caso Rovati scandalizzano certo i contenuti, l’ipotesi di rinazionalizzazione tramite Cassa Depositi e Prestiti, l’adombrata possibilità di intervenire sull’Autorità indipendente. Ma di gran lunga superiore è la gravità di aver usato la contiguità al vertice del potere esecutivo per proporre un piano a una industria privata, perdipiù legata da un rapporto concessorio con lo Stato. Altro che abuso di cancelleria presidenziale! Ci abbiamo messo anni a liberarci dei masterplan scritti in via Nazionale e dei suoi confessionali, non sentiamo nostalgia di ritrovarli a Palazzo Chigi.

Mi rendo conto che il silenzio dei Ds può essere dettato da senso di lealtà verso alleati, e di responsabilità per la tenuta della coalizione. E dal riserbo per ingiustizie che ancora bruciano, Ma problema contingente ed esperienza passata possono essere volti in positivo. Non, dio ne liberi, per andare verso una spartizione delle zone di influenza, neppure all’interno di una ricomposta collegialità; ma per l’impegno condiviso e reciprocamente garantito tra le forze di governo a fare un passo indietro nel rapporto tra Stato e attività economiche. Assai più che un’improbabile nuova Iri o Iretto, a preoccupare è il rischio che il rapporto con le imprese assuma forme subdole e opache, sempre sul ciglio di scorrettezze e corruzione.

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