Non scambierei l’Europa politica con un passo indietro sulle riforme

dicembre 5, 2003


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Dall’Ecofin all’Opa, l’asse franco-tedesco rimette in discussione il decennio liberista

Posto che l’ideale sarebbe la concorrenza tra monete, una moneta unica è il second best se serve ad assicurare l’indipendenza della banca centrale emittente dai governi: questa la conclusione di un dibattito sull’euro della Mont Pelerin Society nell’agosto del 1996 a Vienna.

Oggi, discutendosi di Patto di Stabilità – avviare le procedure di infrazione o tacitamente lasciarlo cadere? -, di Convenzione – su quali materie votare a maggioranza? come dividere i poteri tra Governi e Commissione? – penso si debba fare nostro il punto di vista assunto in quella occasione dagli eredi di Hayek e Mises: scegliere tra le alternative quelle capaci di dare all’Europa istituzioni liberali che ne facciano un’area vibrante di iniziative e ricca di opportunità. Che tra l’altro sono gli obbiettivi che poi l’Europa avrebbe virtuosamente “deciso” a Lisbona quattro anni dopo.

Nell’ultimo decennio del secolo scorso lo spazio economico europeo ha conosciuto una serie di importanti trasformazioni in senso liberista. La Corte del Lussemburgo ha messo nelle mani della Commissione l’arma per ridurre la presenza degli Stati nell’economia. Questi hanno ceduto parte della loro sovranità ai tecnocrati della BCE (ma i movimenti di capitali, seguiti alla fine degli accordi di Bretton Woods ed alle crisi petrolifere, avevano già dimostrato l’incapacità dei governi di controllare i tassi di cambio); il patto di stabilità sembrava sufficiente per coordinare le economie dei paesi membri, senza dover sottostare a un governo federale, la impersonale oggettività di quelle percentuali dava l’impressione ai governi di non avere ceduto ulteriore sovranità. Oggi quella stagione sembra passata, e non certo solo perché i Ministri dell’Economia, in sede Ecofin, hanno deciso di non avviare la procedure di infrazione a carico di Francia e Germania. In questi stessi giorni, sono giunti segnali molto significativi: il Commissario Frits Bolkenstein deve acconciarsi ad una legislazione sull’OPA molto più arretrata di quella che si è data l’Italia (vedi caso anch’essa nella breve parentesi liberalizzatrice); e il processo indicato da Alexandre Lamfalussy, per riuscire a creare un mercato finanziario europeo capace e liquido, sembra essersi incagliato.

Aumentano, insieme all’allargamento dei confini dell’Unione, le ambizioni di dare all’Europa gli strumenti per giocare un ruolo di primo piano politico e militare. E accade che le realizzazioni di quei decenni 80-90 invece di essere valorizzate e approfondite, sembrino, nel confronto, poca cosa; o addirittura vengano svalutate, come se avessero dato luogo a un’Europa senz’anima, ridotta a una mera area di libero scambio. In se tra quelle realizzazioni e i nuovi obbiettivi non ci sarebbe contraddizione. Ma, realisticamente, una maggiore integrazione significherebbe un’Europa sotto la guida di Francia e Germania: mentre sono Francia e Germania a opporre le maggiori resistenze alla trasformazione in senso più liberale delle proprie economie e delle proprie istituzioni. Ora é vero che l’una e l’altra hanno sostenuto che i loro deficit attuali servono a finanziare riforme strutturali, e che l’Ecofin gli ha creduto: ma resta il dubbio se con riforme intendiamo la stessa cosa. Pensiamo, tanto per fissare le idee, al sistema di protezione dell’impiego, o a quello di finanziamento delle imprese: nei paesi nell’Europa continentale vigono sistemi che rispondono alla logica di proteggere chi è già arrivato, che si tratti del lavoratore con un contratto supergarantito, o dell’imprenditore il cui merito di credito dipende da beni reali (possibilmente immobiliari), oppure dalle proprie relazioni e connessioni. Ma facilitare l’incontro tra domanda e offerta, rendere più facile alle persone di trovare lavori nuovi, e alle idee di trovare i finanziamenti che consentano di realizzarle, non é un grande obbiettivo politico? Non é equità anche una maggiore mobilità sociale?

Se vogliamo veramente realizzare gli obbiettivi di Lisbona – ed é qui che mi soccorre il ricordo di quella riunione della Mont Pelerin – ciò che si deve massimamente evitare é che l’Europa si chiuda a difesa di modelli rigidi, che proteggono l’esistente. Ci sono in Europa modelli diversi da quello franco-tedesco: sono una ricchezza che non possiamo perdere. Sarebbe una sciagura se il perseguimento di un’Europa politica significasse chiudersi, men che mai contrapporsi, alla cultura ed alle realizzazioni dell’altra metà dell’Occidente.

Contrapposizione Ovest contro Ovest, forse la più drammatica dall’avventura di Suez, é stata anche quella di cui sono state protagoniste proprio Francia e Germania in occasione della guerra in Irak: contrapposizione che sostanzialmente non si è composta neppure oggi. Che la rigidità della loro posizione finisse per rafforzare proprio l’unilateralismo degli USA, e per danneggiare le stesse istituzioni internazionali – ONU, Nato, Unione Europea – lo si era scritto proprio su questo giornale. La frattura che ha allora contrapposto vecchia e nuova Europa corre in larga misura parallela a quella che oggi si sta verificando sulle maggioranze di voto nel Consiglio europeo. Non credo che sia solo una coincidenza: credo che le drammatiche lacerazioni di quei mesi abbiano contribuito a rendere più stretto e impervio il passaggio davanti a cui si trova oggi la costruzione europea.

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