Mantenere il controllo nelle mani di pochi e dare potere a chi li puntella: é questa la “difesa dell’italianità”
Un liberista né deluso né rassegnato si sente provocato dall’intervista che Cesare Geronzi ha dato al Sole 24 Ore. Il perché è presto detto. Quindici anni fa si incominciò a smontare il sistema delle Partecipazioni Statali, con Amato, poi con Dini, Ciampi e Prodi. Oggi si stanno ricreando, con un minore impiego di capitale pubblico, assetti proprietari stabili, benedetti o sponsorizzati o perfino garantiti dallo Stato.
Ovvie, sul piano formale, le differenze con il vecchio mondo della Partecipazioni statali: preoccupanti invece le analogie sul piano sostanziale (per non parlare sul piano della trasparenza e della accountability).
Il tema centrale dell’intervista è la questione della proprietà e del controllo, di banche e aziende. Il ruolo tradizionale di Mediobanca, era appunto quello di risolvere, di crisi in crisi, i problemi di controllo del capitalismo familiare. Con le dismissioni dell’imprenditoria pubblica, il problema della proprietà ha fatto un salto quantitativo: si tratta di dare, con i capitali esistenti, di assicurare assetti proprietari stabili anche alle aziende privatizzate.
Il controllo, non la gestione, sta in cima ai pensieri di Geronzi. Rimandano tutti a problemi di controllo il giudizio che dà di Telecom come risultato di “una privatizzazione affrettata”, o sul Credito Italiano venduto “per un pezzo di pane”, e sulla “stessa Comit”, il possibile coinvolgimento in Alitalia, che non si sa se è privata oppure no, lo sberleffo al vecchio SanPaolo per aver trattato Emilio Botin del Santander “come un banchiere di terz’ordine”. Anche nella Mediobanca privatizzata “gli equivoci e i fraintendimenti” che ora riscontra nel sistema duale, non riguardano il retail o il successo di Che Banca, ma il potere degli azionisti: “non potevo accettare, dice, che [i manager] avessero una sorte di diritto di veto esercitabile contro gli azionisti.“ L’accusa è di quelle pesanti: “Il management non può parlare con gli azionisti, e in qualche caso fuorviarlo con informazioni non corrette”.
Privatizzare senza fare ricorso al mercato è una contraddizione, sia nei fini che nei mezzi. Le privatizzazioni hanno per fine il creare un mercato dei prodotti e dei servizi, ed hanno bisogno di un mercato finanziario che fornisca i capitali. E’ il mercato dei titoli di proprietà quello a cui si riferisce Geronzi quando dice che esso “non ha sempre ragione”, è per questo che “non [gli] sono molti simpatici i mercatisti”. In effetti il mercato finanziario di per sé non assicura assetti proprietari stabili: né potrebbero farlo le public company a cui pensava Prodi. Mantenere il controllo nelle mani di un numero limitato di soggetti, e dare potere a chi li puntella: di questo si parla, quando si dice difesa dell’italianità. Leggere, per capirsi, alle voci Generali, Telecom, e, per analogia, RCS.
Per evitare di accettare le conseguenze delle privatizzazioni anche sul piano proprietario, le si sono pensate tutte. Incominciando con il non privatizzare realmente, come nel caso di ENI, Enel, e delle municipalizzate. Con le Fondazioni bancarie, che per continuare a partecipare al controllo delle banche accettano una costosa concentrazione di rischio (quanto costosa lo si è visto in questi mesi). Con gli incroci tra queste e la Cassa Depositi e Prestiti, e con le acrobazie perché essa appaia privata agli occhi di Bruxelles. Anche con le maxifusioni bancarie: ma a patto che a gestire gli istituti risultanti siano “persone di qualità ed educate”. Ora il Ministro dell’Economia porta a sintesi le opposizioni alla contendibilità, fornendo prospettiva e autorevolezza politica: e Geronzi riconosce in Giulio Tremonti “ il vero punto di forza di questo Governo”. Invece l’opposizione gli appare debole e “priva di idee”: e in effetti il centrosinistra, nonostante alcune prossimità individuali, non riuscirà mai a stabilire un rapporto organico con questo blocco industrial-bancario benedetto dalla politica; diffida lui per primo di ogni iniziativa, come Unipol, che possa essere sospettata di muoversi in quella direzione; e là dove può farlo, a livello locale, corre rischi tremendi. Sono stati politici di centrosinistra a smontare il sistema delle partecipazioni statali, anche per porre fine alle corruttele che lo viziavano. Oggi la politica di liberalizzazioni è la sola scelta possibile per il centrosinistra, non frutto di fascinazioni illuministe, ma di realismo politico.
Comprensibile la tentazione, per gli imprenditori, proprietari o manager, che sanno di poter fondare la propria leadership nel successo sul mercato, di disinteressarsi dalle “questioni di mero potere”, e di smettere di occuparsi di business che hanno forte valenza politico-culturale. Ma devono sapere che pagano questa loro scelta con l’autoesclusione da quelle che Geronzi chiama “partite importanti”; importanti magari non per il loro reale peso economico, ma per il valore che ad esso conferiscono i politici e le “persone di qualità ed educate”. Questo è il rischio: che nel nostro capitalismo, si approfondisca il solco tra “partite importanti” e quelle che si decidono sul mercato, tra il club che gioca le une e chi si mette in gioco sulle altre.
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agosto 3, 2008