Ma serve dividere?

gennaio 11, 2003


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Intorno a Fiat Auto una girandola di proposte: la sostituzione, annunciata e poi annullata, del vertice aziendale; l’offerta amichevole di Colaninno; l’intervento della mano pubblica secondo Vitale- Lazard; la scissione dell’Auto; le voci che fanno riferimento a Luca di Montezemolo o a Emilio Gnutti. Questa girandola un merito almeno ce l’ha: aver reso evidente che al piano concordato con governo, quello che, secondo le banche e il vertice Fiat, è l’unico che il Consiglio di Amministrazione conosce, non crede più quasi nessuno.

Anche l’ultima ipotesi avanzata, quella della scissione, dei meriti li ha. Obbliga a valutare il problema dell’Auto di per sé, separatamente da quelli del resto del gruppo, delle banche, della famiglia, dei giornali, delle assicurazioni, di Mediobanca. Porta ad accantonare l’ipotesi del put con General Motors: una prospettiva che deprime il mercato (chi vuole comprare una vettura da un produttore che si appresta a passar la mano?); e che neppure vale a rasserenare gli attuali azionisti, dato che proprio ieri il Financial Times confermava quanto già si era previsto su queste colonne, e cioè che GM starebbe esaminando i mezzi legali per sottrarsi al vincolo. Soprattutto costringe a rispondere alla domanda, nuda e cruda: é risanabile Fiat Auto e a che prezzo?

Altre volte si sono indicate le ragioni che indurrebbero a una riposta positiva: una quota di mercato declinante ma ancora importante in Italia, un parco notevole, marchi centenari, sindacati ragionevoli, mano d’opera competente, indotto vivace, stilisti tra i migliori del mondo. Ma sono passati quasi 8 mesi da quando i vertici Fiat davano informazioni rassicuranti ai membri della Commissione Attività Produttive della Camera. E col passar dei mesi sempre più pesano i fattori negativi: impressionante caduta di gradimento da parte del mercato, immagine di qualità scadente, rete commerciale demotivata e carente soprattutto fuori Italia, mix spostato sulla gamma medio-bassa, anche nei modelli di prossima uscita, una logistica che penalizza il prodotto con costi di trasporto elevati, eredità degli investimenti al Sud con gli aiuti dello Stato.

E’ risanabile Fiat Auto? Rispondere equivale a dichiarare: quanti miliardi di euro sono necessari per il rilancio? E, posto che comunque si deve mettere in conto una riduzione della produzione in Italia, di quanto sarà, del 10% o del 30%?
Sulla quantità di risorse, tra ripianamento perdite, investimenti in nuovi prodotti e in rete commerciale, le stime degli esperti variano da 8 a 12 miliardi in 3 anni. L’attuale piano prevede una cifra inferiore. Per il momento, l’unico che ha parlato di soldi è stato Roberto Colaninno: vedremo se il suo piano confermerà le ipotesi di cui si è sentito parlare. Dato che si parla dell’auto come di “un irrinunciabile pezzo del patrimonio industriale italiano”, sembra legittimo esigere che, quando si parla di un piano, si indichi chiaramente quante risorse si mettono a disposizione per il rilancio, da dove vengono ( se dal mercato , dagli azionisti, dal sistema bancario italiano o da quello estero), e quali sono i tagli di produzione che si prevedono.
“Fiat Auto ha un bilancio, ma non è totalmente trasparente; certamente bisogna che il suo bilancio sia definito” ha detto, sempre stando al Financial Times di venerdì, il Chief Financial Officer della General Motors. Quale struttura patrimoniale si vuole dare a Fiat Auto? Se la si vuole rilanciare, sembra logico metterla alla pari dei suoi concorrenti; quindi accollarle debiti, in proporzione al fatturato, pari a quelli della media dei costruttori europei. Può darsi che i debiti che così rimangono addossati alle altre attività del gruppo siano eccessivi: si tratta solo di intendersi di quale problema stiamo parlando, se del rilancio dell’auto o del bilancio della Fiat SpA.
Con questa struttura patrimoniale, Fiat Auto dovrebbe valere come la media dei suoi concorrenti, cioè circa il 40% del suo fatturato a regime: a cui sono da dedurre, ovviamente, gli 8- 12 miliardi di euro per il rilancio. Su questa base, gli attuali azionisti possono decidere se sollecitare o accettare l’interesse di altri investitori, parziali o totali.

Gli investitori possono essere intimoriti dalle reazioni sindacali, dalla rabbia di Termini Imerese (improvvidamente evocata dalla Fiat), dai blocchi ferroviari. Ma, siamo franchi, ben di più hanno contato gli elementi estranei, che con “l’irrinunciabile pezzo di patrimonio industriale italiano” hanno poco o nulla a che vedere: la proprietà dei giornali, gli assetti di vertice di Mediobanca e di Capitalia, le fantasticate sinergie tra la Punto e la Ferrari, le ambizioni di Berlusconi e le diffidenze di Tremonti e Bossi, l’inaffidabilità di Tizio o l’inettitudine di Caio. Ragionare in termini di Auto ha il vantaggio di isolare il problema auto da tutti gli altri, di contare le risorse, e di mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità.
Per isolare i problemi e per fare chiarezza sul bilancio di Fiat Auto, la scissione non è necessaria. C’è da chiedersi allora: che vantaggi porterebbe? La scissione non crea valore, non produce risorse aggiuntive, se non nel caso in cui si intendesse lanciare il giorno dopo un aumento di capitale, dato che la società risultante dalla scissione sarebbe automaticamente quotata. E’ quindi più che un sospetto che la scissione possa essere il modo per aprire la porta all’entrata del Tesoro nel capitale: rasenterebbe infatti l’indecenza se la mano pubblica entrasse nel capitale di una Fiat Auto controllata di una Fiat SpA quotata. Sottoscrivendo una quota di capitale, il Governo si presenterebbe come il salvatore dell’”irrinunciabile pezzo del patrimonio industriale italiano”: un vantaggio politico per la maggioranza pagato dalla collettività. Infatti, per decidere della bontà del suo investimento, il governo non dispone di informazioni ulteriori rispetto a quelle di cui dispone il mercato, non ha in esclusiva le competenze di squadre di management. E se si trattasse di un investimento con un rischio talmente elevato e un ritorno così lontano da scoraggiare qualsiasi investitore privato, il Tesoro dirotterebbe risorse che potrebbero essere impiegate con maggiore rendimento in altre iniziative. Sarebbe, soprattutto, un precedente per il futuro: questa, di tutte, sarebbe la conseguenza più negativa.

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