Ma l’assistenzialismo no

ottobre 18, 2002


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Errori e incertezze da evitare nella cura del malato torinese

Da 10 a 12 miliardi di euro in tre anni, un punto di PIL, e un team di management: questo è quello che ci vuole per giocare la partita dell’auto in Italia. Chi mette i soldi e chi individua gli uomini?

Come in tutti i casi del genere, i soldi li mette in parte chi l’ha gestita finora, chi eventualmente subentra e il sistema finanziario. Come in tutti i casi del genere, il capoazienda viene dall’esterno, e la squadra di management viene scelta tra le seconde linee, dove ci sono di solito manager che conoscono la società: e che hanno visto da dentro gli errori fatti. Non si scelgono così i manager nelle public company? Ma una cosa è sicura, non li può scegliere la vecchia proprietà, che non solo non l’ha fatto con successo in passato, ma che non ha fornito un piano credibile.

Ancora nel mese di giugno, 4 mesi fa, lo chiedeva anche “partita doppia”: ma non fu questa la fotografia che venne presentata in audizione alla commissione della Camera. E poi la solita ricetta. Tagliare in alto: un quadro amministrativo di Mirafiori costa come 5 o 6 operai di Termini Imerese. Eliminare la “borghesia” dell’organizzazione che rappresenta il cancro delle aziende. Tagliare le rendite: i cosiddetti prezzi di trasferimento per i servizi fatti dalla Holding verso la Fiat Auto.
Quanto ai modelli, forse ce ne sono nei cassetti dell’azienda: come c’era la Panda di Giugiaro nella Fiat del 1976, la macchina per scrivere elettronica in quelli dell’Olivetti nel 1978. In ogni caso a Torino Pininfarina firma tutte le vetture che hanno fatto della Peugeot un modello invidiato. Insomma la ricetta sperimentata tante volte da quelli che questo mestiere lo hanno fatto con successo: Carlo De Benedetti alla Olivetti, Enrico Bondi alla Ferruzzi, Riccardo Ruggeri alla New Holland, Roberto Colaninno ancora alla Olivetti.

E gli 8100 esuberi di cui 1500 a Termini? E il contratto con la GM? Qui ci vuole chiarezza: i vincoli ambientali sono una cosa, il loro uso ricattatorio un’altra; il progetto di un’alleanza è una cosa, un’ipoteca con diritto di prelazione è un’altra. I ricatti si vedono e le posizioni di rendita si ridiscutono. La Fiat ha il 30% del mercato italiano, l’8,5% del mercato europeo, sa fare macchine di successo nella fascia bassa e in quella sportiva e di lusso. La Fiat ha bisogno di un partner straniero: non di un socio che aspetta che l’azienda sia decotta per scegliere i pezzi che vuole a prezzi di saldo.

“Partita doppia” non fornisce consulenza aziendale: queste osservazioni servono solo a spiegare le ragioni perché l’intervento dello Stato nel capitale dell’azienda é inutile e controproducente. Inutile perché sarebbe ben strano che l’amministrazione avesse a libro paga un manager inutilizzato. E quanto al finanziamento, se esistono condizioni per risolvere vantaggiosamente il problema, nel mondo ci sarà qualcuno interessato a farlo. E se non lo si trova, lo stato spenda i nostri soldi per sovvenire alle peggiori conseguenze del problema.
L’intervento dello Stato è controproducente perché il conflitto tra obbiettivi pubblici e interessi aziendali lo rende ricattabile dai dipendenti e dagli altri soci. Sempre che a questa partita non se ne sovrapponga un’altra inconfessabile per il controllo dei quotidiani del Nord. Le difficoltà della FIAT derivano da poco mercato e concorrenza, dall’avere per tanti anni recuperato sul tavolo della politica il calo dei margini sul mercato, facendo valere il peso politico della sua presenza in Italia.
L’intervento dello Stato vorrebbe dire curare la malattia con i virus che l’hanno prodotta.
Il finale di partita è quello che conta, come uscire dal gioco. Uscire da una partita industriale è quello che per il pubblico è più difficile. Di solito, insegna la storia , è proprio in quel momento che paga il prezzo più caro.

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