L'inno di Mameli e' una Potiomkin pazzesca

agosto 26, 2009


Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair

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da Peccati Capitali

“Già l’aquila d’Austria/ le penne ha perdute./ Il sangue d’Italia/ e il sangue polacco/ bevé col Cosacco/ ma il cor le bruciò”. Meno male che di solito non la si canta fino alla fine, perché nelle situazioni ufficiali il cerimoniale prevede solo la prima strofa e in quelle sportive, si aspetta solo il calcio d’inizio: se no veramente verrebbe da dire che l’inno di Mameli è una Potiomkin pazzesca! Tanto convinti non dovevano essere neppure i costituenti, se sancirono l’uso del tricolore, ma si dimenticarono (?) di scegliere l’inno nazionale.

I Savoia su Mameli avevano chiuso un occhio, tanto come inno ufficiale ci avevano schiaffato la Marcia Reale. Dopo, circolarono proposte di usare Va’ pensiero, oppure la Leggenda del Piave, finché un Consiglio dei Ministri il 14 Ottobre 1945 ne acconsentì l’uso.

Oddio, anche la Marsigliese parla di corti, sangue, tiranni, ma ci sarà pure qualche ragione se Berlioz e Schumann, Listz e Tschaikowsky l’hanno usata come citazione. Quanto a retorica, Mameli è insuperabile: ma è con quella, con i suoi Scipio, Ferruccio, Vespri, di cui ormai si è smarrito perfino il senso, che è stata fatta l’Italia. E di quella resta fatta: abbiamo solo cambiato metafore.

Ovvio che tutto questo non c’entra nulla con la richiesta leghista di sostituire Mameli con Va’ pensiero. Scelta singolare quella di Verdi, come dire del simbolo stesso del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Capisco che Il tamburo della banda d’Affori sarebbe stata una provocazione troppo scoperta, ma qualcos’altro potevano pure inventarsi. Al limite, un concorso: tra TAR, Consiglio di Stato, ricorsi, si stava sui giornali per anni

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