Le elezioni e la legge che non c’è

agosto 31, 2012


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Nel ’93 era chiaro che il sistema era arrivato al capolinea: un sistema che stava in piedi solo più grazie alla corruzione, privo di idee e privo di uomini; un sistema che, per 40 anni, assorbendo e neutralizzando le novità – prima Nenni, poi Spadolini, poi Craxi – sostanzialmente non aveva dato agli elettori la possibilità di una scelta che non fosse una mera dichiarazione di identità. Nel ’93 la gente chiedeva di poter scegliere, aveva fiducia: fu il maggioritario a doppio turno per i sindaci, il sistema elettorale che ha funzionato meglio.

Ma per le elezioni politiche il “capolavoro” (tra virgolette) del Mattarellum, con la famosa scheda grigia alla Camera e il 25% dei deputati eletto con il proporzionale, diede ai partiti una riserva da cui ripartire. Berlusconi vinse con la duplice alleanza, a Nord con la Lega, al Sud con AN: anche quella una, sia pure paradossale, possibilità di scelta.

Oggi, nel buio della crisi, nessuno ha fiducia di avere un’idea che serva a risolvere, una proposta che valga a rianimare: meglio allora condividere con altri l’impopolarità di scelte dure. Se non si ha fiducia, difficile chiedere di aver fiducia: la vocazione maggioritaria diventa un ricordo, ogni partito sa di non avere potere coalizionale. Resta, negli elettori, la voglia di scegliere, ma ha orizzonti limitati, interni ai partiti, a soddisfarla bastano le primarie. Per il resto si accontentano del grado zero della scelta, non essere obbligati a sanzionare quella fatta da altri, via il Porcellum e il Parlamento dei nominati. Figlio di questa stanchezza è il proporzionale: in mancanza di visioni, facciamo la fotografia del Paese.

Proprio perché il proporzionale dà l’illusione di restituire un’immagine fedele, è un non senso distorcerla deliberatamente con il premio di maggioranza al partito che arriva primo. Se il premio fosse, come si dice, del 15%, e se il voto risultasse molto frazionato, potrebbe dare al primo partito un numero di parlamentari quasi doppio rispetto a quello guadagnato nell’urna, insufficiente peraltro a garantire la governabilità che ne sarebbe la giustificazione. Che il PD lo sostenga è comprensibile: ha capito che, giocando la carta della fedeltà identitaria, aveva buone possibilità di assicurarselo, ha fatto marcia indietro su alleanze spurie, e si è coperto a sinistra. Più difficile da capire è perché lo voglia il PdL: che Berlusconi, presentandosi di nuovo, non miri solo a mettere in sicurezza una parte del capitale di voti che aveva, e invece nutra maggiori ambizioni, fino alla “folle” idea di essere lui a beneficiare del premio di maggioranza? Sbaglierebbe dunque chi considera esaurita, dopo 15 anni di delusioni, la sua capacità di attirare elettori con le sue promesse? E’ pur vero che Berlusconi con la Lega non andarono distanti dalla maggioranza dei voti, e che anche levati i molti che non voteranno, quanti andranno all’UDC, gli improbabili passaggi a Grillo, resta ancora un importante bacino di voti. Un elettorato che dovrebbe essere recettivo di un programma seriamente liberale, credibile nell’impegno di rendere più efficiente la macchina dello stato e di recuperare quel delta di produttività che ci impedisce di uscire dalla crisi.

Il maggioritario a doppio turno servirebbe, anche come bandiera, a raccogliere e compattare i voti di quell’area: ma Casini non lo propone perché storicamente contrario, e non si vede perché gli altri partiti dovrebbero proporre un sistema che favorirebbe il formarsi di un concorrente che per ora non c’é. Se in quell’area restassero solo timide presenze, e questo facesse rifluire voti verso un redivivo Cavaliere, si potrà sempre spolverare la collaudata arma dell’antiberlusconismo e suonare la diana di guerra.

Stando così le cose, è inevitabile che invece di governi di legislatura, necessari per radicare le riforme necessarie, avremo governi che si fanno e si disfano nel corso della legislatura, funzionali a conquistare volta per volta fette di elettorato, o facendogli qualche favore, o evitandogli qualche dispiacere. La verità è che un sistema che consenta di far prendere la medicina amara non lo vogliono né i partiti che dovrebbero somministrarla né gli elettori che dovrebbero trangugiarla: e questa è probabilmente la ragione per cui un maggioritario a doppio turno non lo propone (convintamente) nessuno.

Quando poi lo spread dovesse salire, non pigliamocela con gli speculatori: se a rendere più efficiente la macchina dello stato, a evitare sprechi, ad aumentare la concorrenza non ci credono né partiti né elettori, perché dovrebbero crederci gli investitori?

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