Il vero nodo è la produttività non la settimana cortissima

novembre 2, 1993


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Invece di licenziare operai in esubero rispetto ai piani produttivi, la Volkswagen ha proposto di ridurre la settimana lavorativa a 4 giorni, riducendo in pari misura il salario: un provvedimento temporaneo, che serve anche allo scopo, non secondario per l’immagine aziendale e la politica nazionale (ci saranno elezioni nel ’94 in Bassa Sassonia), di sottolineare il carattere congiunturale della crisi. Lo schema ha destato interesse: ci si domanda se possa essere adottato in modo più generalizzato per ridurre le drammatiche conseguenze della dilagante disoccupazione europea; e se ne approfondiscono le possibili implicazioni sul piano dell’eco, nomi d’impresa, su quello sociale e su quello più generale del rilancio dell’economia.

Per l’impresa, la riduzione parallela di orario di lavoro e salario ha effetti di segno diverso (positivi per minore affaticamento, negativi per maggiore incidenza di alcuni costi generali), 14 cui somma è moderatamente negativa (per cui il nostro contratto di solidarietà riconosce al datore di lavoro uno sgravio pari al 2Q% del costo del salario ridotto). Ma soprattutto, ha un limitato campo di applicazione: non serve quando la riduzione degli organici non è dovuta a Minore domanda, ma è finalizzata ad avere strutture gestionali più snelle, a eliminare livelli organizzativi e ricompattare le mansioni; è praticabile solo all’interno di uno stesso comprensorio, e non quando si richiedano spostamenti di manodopera tra luoghi di lavoro distanti tra loro.
La proposta Vw sembra dunque applicabile entro limiti precisi: sola per il lavoro diretto, in grandi complessi industriali, come provvedimento di carattere temporaneo.
Dal punto di vista sociale, o sociologico, è chiara la differenza tra una vita vissuta nella disperante attesa di un lavoro che non viene, ed una comunque an corata a ritmi. di lavora; tra il, portare a casa un salario, ridotto ma guadagnato, e un sussidio; tra il sentirsi inseriti nei rapporti sociali che si sviluppano sui luoghi di lavoro, e la solitudine, consolata solo da una solidarietà destinata ad affievolirsi nel tempo. Il capitale di conoscenze, di sapere materiale, in un caso viene mantenuto, pronto per la ripresa, nell’altro rischia di venire disperso. In assetto permanente il provvedimento, improponibile alle fasce medie produttive, potrebbe al massimo essere. interessante per pianificare l’inserimento dei giovani che non avendo ancora un pesante carico familiare affianchino ad una prima attività lavorativa ridotta il proseguimento della loro formazione professionale. Ma soprattutto la proposta ha il merito di ridurre la spaccatura tra occupati e disoccupati all’interno del sindacato e della società, ricompattando la solidarietà sul tema della riduzione dell’orario di lavoro, che percorre tutta la storia del movimento operaio.
Ma è sul piano della struttura produttiva europea che la proposta mostra limiti e rischi. Se il problema dell’Europa sta in primo luogo nell’incapacità di produrre nuove occasioni di lavoro, ‘ la proposta è senza conseguenze, dato che ripartisce solo in modo diverso, tra la popolazione, i posti di lavoro esistenti.
E’, nella migliore delle ipotesi, ininfluente ai fini della competitività delle aziende, se costo per unità di prodotto rimane invariato; e lo è ai fini del sostegno dei consumi, se la somma «salari più sussidi» rimane costante.
Si consolida il consenso intorno all’opinione che la causa prima dell’eurosclerosi sia da ricercarsi nella rigidità del mercato del lavoro: le difficoltà a licenziare hanno come conseguenza la riluttanza ad assumere e le regolamentazioni salariali e normative impediscono di sfruttare quelle opportunità che il mercato comunque crea di lavori meno inquadrati e meno protetti che pure potrebbero evolvere successivamente in lavori più tradizionalmente definiti. Si insiste sulla necessità che tutte le risorse di inventiva, tutte le disponibilità personali vengano mobilitate attivamente alla ricerca di occasioni di impiego; che i sussidi vengano impiegati in programmi e incentivi specifici e non alimentino una condizione di rassegnata aspettativa: saggi propositi, che però sono finora rimasti allo stadio di virtuose enunciazioni, comunque applicabili solo se tiene il contesto sociale.
C’è il rischio che lo «schema Vw» anziché evolvere verso condizioni di maggiore flessibilità, vada nella direzione opposta, facendo diventare vincolo per le imprese quello che è un obbiettivo distributivo per la società; sembra essere dettato più da considerazioni di equità nella divisione di una torta diventata più piccola che dalla necessità di aumentarne la dimensione.
Si tratta di non riproporre l’alternativa tra dinamica economica e sicurezza sociale, ma di tener presente che le imprese, perché di esse si parla, organizzano a fini produttivi risorse, capitale, lavoro, conoscenze: come un recente studio dimostra, a sostanziale parità di costo e disponibilità dei fattori, si notano, tra Usa, Giappone e Europa, differenze di produttività dell’ordine del 50%, spiegabili solo dalla diversa efficienza e innovatività con cui i fattori vengono organizzati.
Questo e il problema di fondo, da cui dipende il nostro futuro livello di vita: altrimenti c’è spazio solo o per risposte congiunturali, o per pauperistiche rinunce.

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