Il paragone con l'Iri? È sbagliato per difetto

febbraio 3, 2007


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Caro Direttore,

La presenza della Cassa Depositi e Prestiti (CdP) nel Fondo Infrastrutture Italiane (F2I) è finanziariamente rilevante e strategicamente decisiva. La CdP ha il 14,3% del capitale (senza contare, per evitare di parlare del sesso degli angeli, la Cassa di Previdenza dei Geometri e le Fondazioni bancarie). Il fondo é presieduto dall’ex presidente della CdP stessa e per presentarlo ai mercati si sono scomodati il Ministro Padoa Schioppa e il Viceministro Pinza.

Tramite la CdP, il Governo indicherà i settori prioritari di investimento. È una presenza, quella della CdP, che produce numerosi conflitti di interesse e distorsioni della concorrenza: questa è la sostanza dei rilievi critici mossi da Francesco Gavazzi (sul Corriere della Sera del 27 gennaio) e dal sottoscritto (sul Sole 24 Ore del 26 ). La replica di Vito Gamberale, intervistato da Massimo Mucchetti, induce a riprenderle.

Conflitti di interesse si producono al momento di selezionare gli investimenti. Se questi rispondono a logiche e convenienze di mercato, il Governo impegna inutilmente risorse. In caso contrario, la scelta, per gli altri soci, risulta subottimale: ed essi esigeranno di essere ripagati, in altro modo.

Le infrastrutture sono sovente monopoli naturali, regolati da contratti di concessione, con Authority indipendenti. Lo Stato ha comunque ampi poteri regolatori e autorizzatori, mentre come concessionario diventa un soggetto regolato e autorizzato. Se fa prevalere il ruolo di regolatore, danneggia se stesso in quanto investitore; in caso contrario danneggia i consumatori.

Il conflitto di interesse del Governo può diventare protezione per gli investitori privati (e assimilati), producendo una distorsione del mercato. Gamberale dice che ha gestito un monopolio per un privato: in realtà aveva da gestire un contratto. Avere il Governo come socio, renderebbe meno probabile che un ministro stracci il contratto e ne imponga uno nuovo: un privilegio per il concessionario, un’umiliazione per il Governo, che di fatto impegna danaro proprio a garanzia che rispetterà i contratti che ha sottoscritti. L’Italia, dice ancora Gamberale, è il paese delle cento piste e nessun aeroporto: F2I rimedierà investendovi. Il fondo Macquarie ha il 44,5% degli Aeroporti di Roma: non gli si può dar torto, se rimpiangerà di essersi messo in un playing field non proprio livellato.

Gamberale ci tiene a enfatizzare la differenza tra il suo fondo e quelli di private equity “ansiosi di rendimenti rapidi e altissimi”. Ma i private equity si confrontano con il mercato, appunto, dell’equity, non dei bond. F2I, non diversamente dagli altri fondi del genere, guarda non al mercato azionario, ma a quello delle obbligazioni trentennali. Il Tesoro potrebbe finanziare progetti infrastrutturali come fa la Banca Mondiale, emettere propri bond, oltretutto col rating del debito sovrano della Repubblica.

Più si approfondisce l’analisi e più viene da chiedersi quale sia il vero obbiettivo che spinge le due parti, quella pubblica e quella privata, a stare insieme in una partita che entrambi potrebbero giocare in trasparenza, senza vincoli reciproci, ciascuno facendo il suo mestiere. Viene il dubbio che qui ci sia qualcosa di più che non il solito scambio di favori reciproci, nel solito mondo in cui le azioni si pesano e a contare sono le relazioni. E si fa strada l’idea che la posta in gioco sia molto più alta: consentire a poche banche italiane, a portata di telefonata dai Palazzi di Roma, di esercitare il controllo su tutti i flussi finanziari in Italia, occupando anche il settore del credito non bancario. Con il che la costruzione di un capitalismo senza mercato sarebbe completata. Se così fosse, dovremmo riconoscere che erano sbagliati i paragoni al passato dell’IRI e delle Partecipazioni Statali. Sbagliati alla grande: per difetto.

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